Il Parco Bassani

Scritto da  Stefano Lolli

L'Addizione Verde: la città, il Parco Bassani e il Po nel 1986.Dall'Addizione Erculea all'Addizione Verde.

«Salì sul bastione alberato, e si trovò all'altezza della nebbia, che sulla città stava dileguando, e lì fuori, sul vasto sterpeto e sulle basse boscaglie e sui maligni acquitrini del piano, dai bastioni fino al Lagoscuro e al Po, stagnava uguale, come un immenso lenzuolo».

Corro come Scacerni, sulle Mura avvolte dalle prime brume dell'autunno. Io, podista, con lo stesso passo del «cacciatore e ladro» animato dalla penna di Riccardo Bacchelli: inseguo l'orizzonte che sfugge e s'allarga, senza riuscire perciò ad afferrarlo tutto. Invece che la bisaccia, riempio gli occhi dei piccoli dossi, degli arbusti, delle antiche pietre, dei nuovi sentieri fra gli orti e i cimiteri, dei giardini che si aprono come un sipario distante, che si squarciano di luci remote. Lo sguardo, ed il cuore, si colmano dell'energia dell'Addizione Verde.



Come della mia traballante e quotidiana maratona, è storia a sobbalzi, ed in fondo recente, anche quella del Parco Bassani: è stato semplice, persino istintivo iniziare a chiamarlo così, ancor prima dell'intitolazione ufficiale di inizio ottobre. Già da quando, poco dopo la morte del grande scrittore del Giardino dei Finzi Contini, è stata avanzata da Dario Franceschini - e immediatamente  accolta da sindaco e giunta - la proposta di archiviare la vecchia sigla, burocratica, che dalla metà degli anni 1970 lo protocollava nelle mappe del Piano Regolatore come Parco Territoriale Urbano, per scavarne invece l'anima più autentica, per rivelarne le vene pulsanti, appunto nell'opera di Giorgio Bassani.

Era Bassani, nel marzo del 1979, che plaudiva, in Camera del Commercio, alla proposta lanciata meno di un anno prima. A quella che, all'epoca, poteva apparire soltanto come una semplice, deliziosa utopia. Della suggestione di collegare il perimetro dell'antico Barco del Duca sino «a contatto col Po: una risposta morale ed estetica della città,» sorrideva lo scrittore, «al cambiamento del letto del fiume».

In quella prospettiva, Bassani chiedeva alla città, alle sue associazioni culturali e alle istituzioni, non tanto coraggio, ma soprattutto idee chiare: perchè «se saranno chiare le idee in proposito, penso che abbastanza rapidamente troveremo i soldi per realizzare l'opera. I dannati quattrini...».
Le idee, non dunque le utopie, in realtà erano già precise, per il ruolo di Italia Nostra e la determinazione del suo presidente Paolo Ravenna; per i "dannati quattrini" si doveva invece attendere ancora qualche anno.

Mentre si stava definendo il Progetto Mura, dal 1986 iniziò a prendere corpo la sistemazione a parco dell'area comunale di cento ettari che rappresentava il primo nucleo dell'Addizione Verde. Come l'aveva battezzata proprio Paolo Ravenna, al Symposium internazionale di architetti e urbanisti svolto nell'ottobre del 1978 al Teatro Comunale. «Ferrara sta per avere, e forse l'ha già, la nuova Addizione Verde», disse il presidente di Italia Nostra chiudendo il proprio intervento, «che rappresenta il naturale sviluppo della grande Addizione Erculea che ha fatto della nostra città la prima città moderna d'Europa. In tal modo, essa potrà continuare ad esserlo. Non dimentichiamo, quindi, le grandi e affascinanti responsabilità che per tutti noi ciò comporta».

Sono passati venticinque anni da quell'annuncio. Un quarto di secolo esatto da quel parto che avrebbe potuto restare solo lessicale; perché su tanti quarti di secolo, stagioni lunghissime nella vita degli uomini, le Mura e il parco hanno accumulato un tempo immemore nell'oblio della città: "Sono delle mura, non sono delle CASE, cioè non sono abitate da nessuno e perciò non sono legate ad alcuna memoria tragica o lieta", scriveva, nel 1919, Corrado Covoni. «Eppure la loro desolazione e tristezza è tanta che viene da piangere a guardarle». E nel legame inscindibile fra i Bastioni e l'Addizione Verde  - un aneddoto riferisce che fu lo sfoltimento di un pioppeto a rivelare il magico profilo delle Mura, orlate dai torrioni del Castello - l'antica emozione diventa vita quotidiana. Ed i venticinque anni diventano un istante: un momento, prosegue Govoni, in cui «la città è come se non esistesse, tanto è silenziosa».

Un'immagine del Parco.In questo caso, però, il silenzio non è il nostrano, caratteristico torpore ma, nella "profezia" di Ravenna, diviene sommossa culturale. Fonde utopia e responsabilità. Ma soprattutto apre un dibattito, a ogni livello, sulla modernità di riallacciare, nella pianificazione della città del futuro, le strategie urbanistiche che caratterizzarono al mondo l'età estense: la "città pentagona", dentro le cui mura gli architetti legano le parti medievali con quelle rinascimentali, che si spande, si orienta, si diffonde, che diventa, in un'immagine riportata ora nelle indicazioni del nuovo prg, parco - campagna. Ovvero laboratorio, fra i pochissimi in Italia, di integrazione fra l'ambiente, inteso come preservazione e uso pubblico, ed attività sociali, turistiche, soprattutto agricole.

«L'agricoltura non dovrà mai avere paura del Parco Bassani», sorride oggi Paolo Ravenna immaginando la decuplicazione degli attuali confini dell'Addizione Verde.
Timori tuttavia ce ne sono stati; alcuni silenziosi, altri sollevati con fermezza, in questi anni e decenni. Perché sull'area del parco, sin dal 1930, si sono susseguiti interventi e progetti non sempre coerenti con la destinazione attuale e le designazioni future; dall'antica "piazza d'armi" alla ferrovia dismessa Ferrara - Copparo, dalla proposta di un grande stadio calcistico che, negli anni '50, non venne approvata dal Consiglio comunale per una manciata di voti, sino alle idee più recenti che prevedevano un'area sportiva e servizi su tutta l'area, e strutture "aeree" sino al centro del parco.

Ipotesi questa (il cosiddetto "progetto Aymonino") contestata con forza, e che IN virtù di interventi di autorevoli esponenti del mondo culturale - da Bruno Zevi ad Antonio Cederna, da Ippolito Pizzetti allo stesso Giorgio Bassani - venne accantonata; o più coerentemente, sostituita dagli interventi concreti sulle Mura e nel parco. Il progetto generale, finanziato con gli stanziamenti del Fio (Fondo investimento occupazione), è stato sostenuto con determinazione anche dal Comune e dalla Cassa di Risparmio di Ferrara.

La sensazione è quella di aver dato vita a un'opera unica: il ripristino dei nove chilometri della cinta muraria, il collegamento, seppur ancora imperfetto, con il parco nella sua accezione più ampia, con la rete di poderi, percorsi, case coloniche, boschi, prati sortumosi, canalette e scoli che conducono sino alle sponde del Po. Che inglobano impianti sportivi esistenti, una discarica in fase di chiusura, addirittura un inceneritore di rifiuti solidi del quale si reclama il rapido smantellamento. Non sempre, tuttavia, le sensazioni - pur concretizzate, come nel caso delle Mura, da una robusta dose di quattrini, non più "dannati" ma alfine "benedetti" - centrano il proprio obiettivo. Nel caso di Ferrara, la scommessa può dirsi invece vinta: non solo per il plauso delle istituzioni culturali, né per la fitta serie di iniziative istituzionali culminate, nella primavera del '99, con la formale "inaugurazione" delle Mura restaurate da parte dell'allora ministro ai Beni culturali.

Un'immagine del Parco.A decretare il successo è soprattutto la gente. Ferraresi e turisti che, con intensità crescente, frequentano le ampie aree verdi, chi per fare sport - le Mura sono ormai un percorso conosciuto, in tutto il mondo, e invidiato oltre che per la bellezza, per la possibilità di dipanarsi in itinerari e fatiche sempre diverse -, chi per attività ricreative o naturalistiche, come la Vulandra o le osservazioni della fauna che si è insediata tra i laghetti e le dune erbose; chi semplicemente per una passeggiata, chi alla ricerca di un «luogo di convegni per gli innamorati» (è ancora Bassani a parlare), dentro la città ma «un tantino in disparte, riparati dagli occhi indiscreti delle balie».

Cresce la gente, cresce il numero di articoli, pubblicazioni, convegni, master universitari dedicati a quello che non è più soltanto un "caso ferrarese" o, per parafrasare il termine coniato alla vigilia del Symposium del 1978, un'Eccezione Verde: così come il recupero delle Mura, il ripristino del disegno storico del territorio diventa essenza stessa di modernità e sviluppo, esempio mirabile di integrazione fra gli spazi urbani (la città, la campagna) a servizio della collettività.

C'era, tuttavia, e c'è, ancora molto da fare. Innanzitutto l'ampliamento degli attuali 100 ettari che segnano oggi i confini del Bassani, la sua espansione sino alle sponde del Po e lo studio attento degli interventi che, via via, si susseguono dentro il suo perimetro (non considerando più tale soltanto quello odierno): impianti sportivi, piste ciclabili, interventi di carattere naturalistico e produttivo. Tutti fattori che richiedono un progetto operativo organico: c'è chi pone l'esigenza di dar vita a una sorta di Autorità delle Mura e del Parco (come un tempo esisteva un Provveditore alle Mura e alle Fosse), in grado di coordinare le azioni e gli investimenti, sia pubblici che privati.

Scelta che potrebbe risultare ancor più utile, se si pensa che proprio sul "successo" dell'Addizione Verde, del recupero funzionale delle Mura e dell'utilizzo popolare del Parco Bassani, anche per il comparto Sud della città - nell'amplissima zona tra l'attuale aeroporto, le aree agricole della Sammartina, il Po di Volano - si parla con insistenza di una destinazione a parco che leghi ambiente e attività produttive, che garantisca «una dotazione di spazi verdi per tutta la città, sia per il centro storico che per la periferia», scriveva nel 2002 Andrea Malacarne per l'Annuario del Cds, parlando dell'esempio dell'Addizione Verde, «rappresentano un esempio di sviluppo urbano equilibrato, studiato con interesse in Italia e all'estero».

C'era, e c'è, ancora molto da fare. La sintesi di un futuro che non attenderà altri venticinque anni è affidata a una fotografia che spalanca agli occhi una vertigine che nemmeno il podista più impavido potrà mai infittire delle proprie impronte: oltre la città adagiata, il Parco Bassani insinuato nelle campagne, la lama netta del Po che rinuncia a essere confine, le montagne si scheggiano e sbiadiscono nel cielo. Qui invece, alla latitudine del cuore, un puntino rosso, sovrimpresso alla pellicola, esplicita l'ipotesi di collocazione del Museo Nazionale della Shoah che, già incardinato a Ferrara, potrebbe trovare sede logica sulla Collina del Barco.

Là dove lo sguardo lanciato dal Torrione incrocia la prima sensazione del fiume; là dove il tormento del traffico in pochi istanti diventa quiete e offre occasione al pensiero. Dentro il primo margine di un giardino che sfugge all'arcadia, di un parco che non è rifugio ma prospettiva, di una Memoria che non si barrica nel passato. Dentro il cuore di una città che, ci sussurra Bassani, «è Ferrara e, al tempo stesso, un'altra cosa...».

Da Stefano Lolli