Rivali in laguna

Scritto da  Sergio Raimondi

Lo sbocco a mare del taglio di Porto Viro. Venezia, Ferrara e Porto Viro, "quel taglio che tanto pregiudicio e danno portò al nostro stato".

Così l'Aleotti commentò, nel suo libro Idrologia, la deviazione che i veneziani - partendo da Porto Viro - intesero imprimere alle acque del Po della Fornaci per poterne spostare lo sbocco a mare dalla laguna di  Chioggia- Venezia nella sacca antistante il porto ferrarese di Goro. Progettato fin dal 1559, ma iniziato  quarant'anni dopo, lo scavo di quella deviazione (più comunemente ricordato come il "taglio di Porto Viro") fu  concluso e attivato il 19 settembre del 1604.

Da tempo voluta, quell'operazione rappresentò per la Venezia di  quel tempo un risultato molto importante, sia perché fu una grande impresa di ingegneria idraulica e sia (e  soprattutto) perché permise alla città di raggiungere alcuni obiettivi strategici considerati, con alcuni altri, quanto  mai decisivi al tentativo di rilanciare la sua situazione economico- commerciale.


Ufficialmente giustificato come  provvedimento teso a fermare per quanto possibile il progressivo insabbiamento della laguna, in realtà quel  grande alveo artificiale - per quel che la scienza idraulica già allora lasciava prevedere - doveva invece trasferire  e praticamente scaricare nella sacca di Goro gran parte dei problemi e dei rischi che fino ad allora avevano  pesato nel delta veneto, con però l'aggiunta - ora - di qualche complicazione in più per i ferraresi.

Il Po a Porto Viro.Ma vediamo  come e perché questo avviene; cominciando col dire che, messa sempre più in difficoltà dopo che la scoperta  dell'America aveva fatto deviare nei porti dell'Atlantico gran parte del traffico mercantile che prima muoveva  dai propri porti mediterranei e sulle proprie navi, Venezia come non mai era finita - ora - per tollerare sempre  meno che i porti ferraresi (e in particolare quello di Goro) continuassero invece a monopolizzare gran parte del  trasporto fluviale (perché più breve e quindi meno costoso) delle mercanzie da e per la Lombardia.

Per di più,  nella città lagunare si temeva anche che - con l'ormai certa e imminente  "devoluzione" di Ferrara allo Stato  pontificio, cosa che poi avverrà nel 1598 - il porto di Goro potesse diventare anche un importante avamposto  militare di un "vicino di casa" molto più temibile del precedente. Magari reso ancor più temibile - perché questo  ipotizzavano le relazioni degli ambasciatori veneziani al loro Senato - se avesse poi realizzato, attorno al non  lontano Castello della Mesola, anche quella città-fortezza che gli Estensi da tempo andavano progettando.
Da qui  - attestano le fonti disponibili - i motivi reali di quel "taglio" fatto partire da Porto Viro, se e in quanto quella  deviazione avesse poi anche e soprattutto causato, con l'inevitabile interrimento della sacca di Goro, la  conseguente inagibilità del porto antistante. Obiettivi e ipotesi che in effetti, nel giro di pochi anni, saranno  puntualmente raggiunti, per di più accompagnati anche da alcune altre gravissime conseguenze per il nord-est  ferrarese.

Scrive infatti a questo proposito G.B. Aleotti nel primo capitolo della sua Idrologia che "gli signori venetiani mediante quel taglio hanno aperto una nuova foce al Po [...]. La qual opera, o per veder - rivoltando quivi il Po - di salvar la ruina che da lungi gli minaccia la loro laguna o per altre caggioni [che poi, in successiva occasione, il Nostro dettaglierà], ha otturato il porto della nostra città di Goro [...] che tanto servì a Ferrara per porto sicuro,  coperto da' venti et capace di molte navi".

E più oltre l'Aleotti - che di questi problemi ne era già stato e ne era  ancora direttamente investito stante il suo ruolo di 'inzegnero publico', prima per il ducato estense e, poi, per  l'amministrazione papalina - scriverà infatti che quel taglio "con tanto pregiudicio e danno del nostro Stato  [causerà poi anche] tante alluvioni davanti al Polecine di Ferrara [...e] con il tempo non solo s'ottureranno anche  il Po Morto e lo scolo della Bonificatione ma anche il Canal Bianco et la navigatione del Po di Ariano. Né è  sicuro altresì il ramo del Vollano et forsi...".

Va tra l'altro fatto presente a questo punto che - primo e per molto  tempo anche l'unico a Ferrara a rendersi conto dei guasti che quella deviazione avrebbe portato nel polesine  ferrarese, - l'Aleotti già nell'agosto del 1599, quando ancora ne stavano "palinando" il tracciato, aveva ben  segnalato al competente Provveditore che "gli speculativi giorgono che essi signori venetiani non lo fanno [il  taglio] solo per levare a Ferrara il Porto di Goro [...ma anche ] perché il Papa c'ha delle galere non si pensasse  talora qui tenerle per farsi padrone del mare [...e] perché le merci che per questo Porto entrano nel Po di Ariano  e vanno in Lombardia non ci possono venire senza prima andare a Venetia ove ci dovran lasciare il 13% [di  pedaggio]".

Il Po a Porto Viro.Il Papa Clemente VIII, dal canto suo, non poco contrariato per le notizie che gli venivano da Ferrara,  aveva fatto sapere ai senatori veneti che "queste [che stavano facendo a Porto Viro] son cose che non tolereria", anche perché gli risultava che se la deviazione era fatta per salvare la laguna - come si sosteneva ufficialmente a Venezia - anche se in verità, ma questo lo dimostrerà il tempo, a ben altro si mirava! - allora c'erano soluzioni alternative che avrebbero permesso di salvare, con la laguna, anche il delta ferrarese.

Sarebbe bastato - come ad  esempio annota il Nostro sempre nella sua 'Idrologia' - che "anci che il Po [...avessero fatto] voltar l'Adige la  Brenta et il Bachiglione". Proposta tecnicamente possibile e fattibile, ma che pur tuttavia vedrà Venezia  rispondere seccamente al papa che "quel taglio - come appunto riferisce l'Aleotti al duca di Modena in una  lettera del marzo del 1600 - lo fanno su' l'suo e che nel suo è lecito ad ognuno far quanto gli piace, ancor che  nuoccia al vicino".

Una dichiarazione, quella del Senato veneto, a dir poco stucchevole, ma che - anziché indurre il papa a mandare navi e soldati contro la Serenissima, come molti si aspettavano - gli darà invece motivo per inviare a Porto Viro alcuni suoi mandatari per ancora una volta tentare (almeno così sembra) una via  di compromesso. Non è ben chiarito, nelle fonti oggi disponibili, che cosa sia poi intervenuto a questo punto tra  Roma e Venezia; fatto è che - al rientro della commissione pontificia - Clemente VIII, probabilmente condizionato da "ragioni di Stato" ben più serie di quelle rappresentate da quella lontana e imprecisabile frontiera sul Po, risolverà la questione così scrivendo (il 15 Aprile 1600) al Legato di Ferrara "[...] e poiché la disgrazia nostra vuole che siamo in una conditione di tempi fastidiosissimi e che i garbugli del mondo [...] ci proibiscono di pensare a rimedij d'armi et eserciti, desideriamo ch'ella vada e vegga di finire questo nostro negotio con reputazione se è possibile et con manco danno e pericolo [...] avvertendo però che non lasci che  alcuno vegga questa lettera né sappia di tale nostra solutione".

Il Po a Porto Viro.Un testo che, in effetti, vedrà la luce solo alla  fine del XIX secolo, anche se già nel giugno del 1600 l'Aleotti (che di certo non lo conosceva) con evidente preoccupazione aveva scritto al marchese Bentivoglio che da confidenze ricevute da periti veneziani "[...] ho  compreso che anco loro sono sicuri [che il taglio di Porto Viro] sarà la ruina di Ferrara e che i Reverendissimi  Mandatari del Papa - [tra l'altro avvalendosi di una mappa "che non han volsuto ch'io vegga, acciò forsi io non  possa scoprire i suoi pensieri" ...] - hanno fatto relatione a Sua Santità a favore di Venezia".

Ma se quella fu la decisione del papa e fu certamente una decisione presa in buona fede, va pur detto che nel 1660 lo studioso cartografo ferrarese Alberto Penna, nel dettagliare nel suo Atlante del Ferrarese le conseguenze che il "taglio" di Porto Viro aveva poi provocato nel tempo allo Stato della Chiesa, assieme al devastante interrimento di buona parte della sacca di Goro e dei tre porti a essa prospicenti (e cioè i porti dell'Abate e di Volano oltre quello, logicamente, di Goro), dovrà anche aggiungere i disastrosi danni arrecati alla rete scolante dei 35mila ettari di terreni bonificati una trentina di anni prima dagli Estensi.

Rete scolante ora praticamente scomparsa ma che prima, essa funzionante, quei terreni "s'erano risanati e ridotti godibili e che hoggidì invece  [devastata essa dalle continue mareggiate provocate sottocosta da quella infausta deviazione] in buona parte sono  da tempo ritornati alla loro primiera infelicità, sterilità e acquosa natura produttrice solamente di canne".

Un  paesaggio, questo descritto dal Penna, destinato a restare tale per duecento anni e passa, se consideriamo che  solo verso la fine del XIX secolo se ne inizierà l'opera di ribonifica, in una prima fase con l'intervento della  Società Bonifiche Terre Ferraresi e, nel secolo successivo, con l'intervento integrativo e conclusivo dell'Ente  Delta Padano-Ente di Sviluppo. Un'opera di valore immenso sotto ogni punto di vista, questa della ribonifica,  portata avanti grazie anche al prezioso contributo dato dai Consorzi di Bonifica presenti e operanti negli stessi  territori fin già dal XVII secolo.

Oggi, quelle terre, trasformate in un grande e meraviglioso giardino, sono  stimate fra le più fertili del mondo. Ma nel dire orgogliosamente questo, va però anche ricordato, con il filosofo,  che chi non ha imparato la storia è costretto a ripeterla.