L’incontro con l’autore...

Scritto da  Luigi Dal Cin

...ovvero, piccoli appunti di un autore ferrarese sullo scrivere per ragazziLuigi Dal Cin

Il mio punto di vista è quello di uno scrittore che scrive per ragazzi. Uno scrittore per ragazzi che però non solo scrive libri. Il mio punto di vista è quello di chi viene anche chiamato, quasi quotidianamente, a incontrare i suoi giovani lettori nei cosiddetti 'Incontri con l'autore', in scuole e biblioteche in giro per tutta Italia. Giovani lettori che subito alzano la mano. E subito fanno domande sui libri. Ero molto teso al primo incontro con i miei giovani lettori. Era la prima volta che incontravo dei bambini che non conoscevo, ma che già avevano letto un mio libro, e che quindi – loro sì – già mi conoscevano. Mi ero preparato bene. Avevo ripassato tutto sulla letteratura giovanile e sulla psicologia dell'età delle classi che andavo a incontrare. In quel primo incontro, il primo bambino che alza la mano mi chiede: "Posso farti una domanda sul tuo ultimo libro?". E rimane lì, fermo, con la mano alzata. "Certo..." dico io, emozionato. "Nel tuo ultimo libro, – dice lui, serio – come hai fatto a incollare le pagine? ". Le domande dei bambini sono sempre molto interessanti. Come quando, ad esempio, di tanto in tanto, un bambino mi chiede incredulo: "Davvero sei uno scrittore?". "Sì, certo – rispondo sicuro – ho pubblicato più di 70 libri per ragazzi, in 10 lingue diverse!". "Ma allora – continua lui perplesso – se sei un vero scrittore: com'è che sei ancora vivo?". Intendendo che, in genere, gli scrittori di libri pubblicati sono già belli che defunti. Una volta una maestra mi ha confessato che al suo annuncio in classe: "Bambini, domani verrà a trovarci un vero scrittore!", un suo alunno si è subito voluto informare: "Ma viene vivo?". Un'altra domanda ricorrente è: "Come fai a scrivere così bene?". Quando però a chiedermelo sono i bambini di prima elementare, ho scoperto che il riferimento non è allo stile, bensì ai caratteri di stampa. L'ho capito una volta che un bambino, mostrando un mio libro aperto, haLe copertine di alcuni  suoi libri pubblicati in Italia. aggiunto: "Sì, scrivi benissimo! Guarda: sembra fotocopiato!" Su queste domande di solito riesco a cavarmela. "Perché scrivi libri?" è invece una questione più complessa. "Perché scrivi libri?", "Per chi li scrivi?", "Come fai?", "Da dove parti?": ecco in genere la sequenza delle domande. Sono le stesse domande che, in fondo, si trova ad affrontare chiunque decida di scrivere un libro per ragazzi: ed è proprio questo che loro vogliono sapere. Questo gli racconto durante l'incontro con l'autore. "Perché scrivi libri?". Quando si scrive un libro, si dice di solito, lo si fa per 'esprimersi' e per 'comunicare'. A me, a dire il vero, non piace molto la parola 'esprimersi': l'etimologia è 'spremere fuori da sé' e subito mi immagino lo scrittore come un tubetto di dentifricio. Io preferisco dire che scrivo 'per dire la verità (le mie scoperte, i miei sogni, bisogni, speranze, desideri, paure... soprattutto speranze) attraverso la finzione', e poi 'per comunicarla'. Sembra un paradosso pensare di dire la verità attraverso la finzione, eppure è proprio il modo tipico dei bambini: quando ad esempio, per spiegare la realtà, inventano storie con principesse, streghe, orchi, maghi... quando dicono: "facevamo che io ero...", e "facevamo che tu eri...". Si tratta di finzione, certo. Ma quanta verità dicono quelle storie! E poi c'è l'altro polo: la comunicazione. Se non ci fosse questo desiderio di comunicare lo scrittore terrebbe il proprio manoscritto nel cassetto e non lo farebbe leggere a nessuno. Tanto meno gli verrebbe l'idea di pubblicarlo. Ogni tanto aprirebbe il cassetto giusto per complimentarsi con sé stesso: "Ma guarda un po' come mi sono espresso bene!". Quando si scrive per bambini, trovo che il tutto vada ancora più attentamente spostato verso la comunicazione: anche nei momenti più ispirati, lo scrittore per ragazzi non può prescindere dal suo lettore. Scrivere per un lettore adulto è diverso: si può usare anche un linguaggio sperimentale, tematiche difficili, anche disperate volendo, si suppone sempre che l'adulto che leggerà sia in grado di elaborare tutto come chi scrive... per un bambino non sempre è così, e non tutto gli è utile. Sento una componente di 'responsabilità educativa' nello scrivere per ragazzi. Una 'responsabilità educativa' non esplicita: implicita. D'altronde, sono convinto che la vera letteratura sia proprio il campo dell'implicito. È chiaro: si può anche scrivere per sé stessi. Come si può canticchiare sotto la doccia. In tal caso non c'è bisogno di porsi particolari questioni sugli effetti fascinanti da creare in un lettore diverso da sé, né porsi ulteriori problemi di tecnica, di efficacia, di fascino o di comunicazione. Per canticchiare per sé sotto la doccia non è necessario essere intonati, né ricordarsi le parole. Ma se invece voglio cantare per un pubblico che è disposto ad ascoltarmi in un teatro, allora le cose cambiano. Ecco: se voglio scrivere un libro per ragazzi devo essere efficace nella mia comunicazione, che va pertanto modulata sul mio lettore e non più solo su di me. Se desidero che un bambino legga quello che scrivo devo chiedermi se quello che scrivo lo può davveroLe copertine di alcuni  suoi libri pubblicati in Italia. interessare, anzi, di più, se lo sa affascinare. Canticchiare sotto la doccia trovo equivalga a dire: "Scrivo solo per esprimermi". Credo che scrivere con un lettore di fronte sia l'attività esattamente opposta: è non accontentarsi di stare da solo, ma andare decisamente verso l'altro. Confesso che, come lettore, uno tutto intento a 'spremersi fuori di sé', m'interessa poco. M'interessa poco perché mi pare che a lui interessi poco di me. Invece, uno scrittore che viene verso di me, m'interessa: proprio perché viene verso di me. E allora: come comunicare con un libro? Come convincere un'altra persona, che non hai mai conosciuto personalmente ma che ti legge, ad entrare nel mondo narrativo che stai creando? Come affascinare, insomma, il lettore? Perché, adulto o bambino, il lettore si muove solo per fascino. È solo questo che ci spinge a leggere la pagina successiva. È necessario quindi conoscere le modalità 'fascinanti' da mettere in atto. E qui si entra nel mondo seducente delle tecniche di scrittura: l'invenzione, la costruzione della trama, la scelta del narratore, la caratterizzazione dei personaggi, la ricerca del linguaggio, la costruzione delle descrizioni, dei dialoghi... racconto tutto ai ragazzi, condivido con loro i miei strumenti da scrittore. "Ma ancor prima della tecnica lo scrittore deve avere un aiutante magico!". Questo rispondo ai giovani lettori quando mi chiedono quali caratteristiche debba avere uno scrittore per ragazzi. Deve avere un aiutante magico che, come nelle fiabe, gli indichi la via: per farsi vicino al nucleo più profondo del bambino che leggerà la sua storia. Per quanto possa sentirsi solidale con il mondo dell'infanzia, infatti, lo scrittore adulto resta un adulto, e dunque ha bisogno di quell'aiutante magico che io chiamo la "Penna bambina". La "Penna bambina" è uno strumento che sta dalla parte dei bambini e che consente allo scrittore adulto di esprimere il pensiero e il linguaggio adulto in una lingua non più parlata con gli altri adulti, ma mai dimenticata: la lingua dei bambini. Che lo scrittore per bambini riconosce come propria lingua madre. Non solo non l'ha rinnegata, quella lingua, ma l'ha tenuta viva, esercitandola quotidianamente. E attenzione: non si tratta solo di saper utilizzare vocaboli comprensibili ai bambini. Si tratta soprattutto di toni, di capacità nel creare corrispondenze tra il testo e ciò che il lettore bambino vive, di sapersi, insomma, mettere al suo fianco. Esiste in realtà anche un altro strumento che si può ugualmente utilizzare nello scrivere per ragazzi: io lo chiamo il "Dizionario adulto–bambino". Il risultato però non è lo stesso. Il "Dizionario adulto–bambino" è uno strumento che, ahimè, sta dalla parte dell'adulto. Traduce basandosi su aspetti generali, teorici, spinto magari anche da buone e sincere intenzioni educative, in una lingua, quella del bambino, che purtroppo – per vari motivi – gli risulta ormai estranea. Così lo scrittore parla al lettore bambino con una lingua oscura: non più al suo fianco, ma dall'alto al basso. Con il tempo mi sono convinto che la magica "Penna bambina" si riveli solo a chi sta davvero dalla parte dei bambini: a chi li considera davvero delle persone, qui e ora, nella loro dimensione di bambini, e non solo nella proiezione degli adulti che saranno. D'altronde, il vero scrittore per ragazzi sta sempre dalla parte dei bambini, per sua natura e vocazione. Altrimenti non è uno scrittore per ragazzi. È qualcos'altro: magari uno scrittore che scrive di ragazzi. Ma non per loro. Credo che se siamo convinti che il bambino che ci sta di fronte ha la dignità di una persona, con i suoi desideri profondi e le sue individuali caratteristiche e le sue specifiche aspirazioni, e se siamo convinti che il nostro compito non sia altro che quello di aiutare il bambino a far emergere i suoi desideri profondi e di aiutarlo a sviluppare le sue individuali caratteristiche e le sue specifiche aspirazioni, di aiutarlo insomma a trovare la sua strada con rispetto, senza imporgli la nostra, ecco: se partiamo da questo, penso che la maggior parte degli errori che possiamo commettere nei confronti di un bambino – come scrittori, insegnanti, educatori, genitori – vengano già evitati alla sorgente. Se coltiviamo questa convinzione credo sia più facile che la magica Penna bambina si riveli proprio a noi. "Perché scrivi libri?". A volte questa domanda ha però un Le copertine di alcuni suoi libri pubblicati in Italia.significato sofferto. Tradotta nel linguaggio adulto a volte significa: "Nel mondo succedono tante cose brutte: che senso ha narrare, che senso ha scrivere? A cosa serve?". Io rispondo la verità. Racconto che a volte lo scrittore per ragazzi diventa triste. E allora si chiede proprio questo: "Che senso ha scrivere storie che parlano di bellezza, di pace, di amore, di amicizia, di fiducia, di bene, di desideri profondi, di speranze, di sogni che si realizzano, quando nel mondo accadono cose brutte, cose cattive? Come ad esempio la volgarità, la violenza, la fame, la guerra?". Poi però lo scrittore si riprende subito e dice: "Adesso combatto contro le cose brutte! E lo faccio come so fare io!". E allora lo scrittore scrive un racconto che parla di cose belle, perché dei ragazzi lo leggano. E il mondo magari produce un'altra cosa brutta. D'accordo: lo scrittore allora scrive ancora di cose belle. E c'è una battaglia. Tra lo scrittore e quella parte del mondo che produce cose brutte. Chi vincerà? Quando chiedo chi vincerà, i bambini non hanno dubbi: "Lo scrittore!" gridano entusiasti. Io penso che vinceranno tutte quelle persone che provano – e aiutano – a esprimere e a comunicare i sentimenti, i desideri più profondi, le paure, le sofferenze, le speranze. Attraverso la parola. Per i piccoli, attraverso la parola, la narrazione, il racconto... Dimostrando così, da veri adulti, di stare davvero dalla loro parte.