Già questo distingueva il Premio Estense, così bene intonato allo spirito della città e alla sua grande tradizione umanistica. Altro punto da sottolineare è il coraggio di saldare in un'unica vocazione giornalismo e letteratura. Che era poi un modo di rifarsi alla legge italiana della "terza pagina", questa "invenzione" di Bergamini che è stata rispettata ed esaltata per gran parte del nostro secolo.
C'era - bisogna dirlo - in Granzotto, una naturale disposizione a difendere con molta grazia le doppie ragioni dei giudici: una famiglia che se, per le ragioni del tempo, è mutata nei suoi componenti, è rimasta sempre fedele alle motivazioni originarie. Granzotto si faceva interprete di queste diverse suggestioni e, volta per volta, sapeva illustrarle, appoggiarle alla giuria popolare che aveva e ha il compito di vagliarle, consentendo o negando la propria fiducia. Vorrei aggiungere che su questo secondo schema ha vigilato e tuttora vigila lo spirito dell'ingegner Piacentini, uno degli imprenditori illuminati della nuova Ferrara nata dalla guerra.
Se un ipotetico storico avesse la pazienza di scorrere il registro dell'Estense, alla fine avrebbe per simboli e per nomi quanto di buono e di bello è stato fatto nel nostro giornalismo. Si dovrebbe partire, oltre che da Granzotto e dal segretario Toni Cibotto, dai primi componenti della giuria e si avrebbe la giusta temperatura di un clima che, per fortuna, non è mai stato corretto gravemente, né - tanto meno - corrotto. Da Montanelli a Gaetano Afeltra, da Enrico Emanuelli a tutti i "giovani" come Leone Piccioni e quindi agli altri direttori e scrittori il nostro improbabile storico incontrerebbe quanto è stato scritto sui nostri giornali e sui nostri settimanali.
Ne verrebbe fuori una bella antologia che non sfigurerebbe certo con tutte le altre che sono state fatte da un punto di vista strettamente professionale o professorale. In trent'anni il Premio Estense ha disegnato un quadro con una grande varietà di luci, ricco di tutte le voci - quelle già famose e le altre che si sarebbero manifestate nella loro pienezza solo con il passare degli anni. Tutte le volte che i frutti dell'anno permettevano questa sorta di ricapitolazione generale, mi sembra che le due giurie dell'Estense l'abbiano saputa interpretare.
Una parola infine sulla cordialità e la semplicità della festa che si fa alla conclusione del premio. Un incontro dell'amicizia, dove per un giorno i contrasti e le contraddizioni si attenuano e si cerca quell'unità, quel senso della giusta comunione che dovrebbe essere la meta e l'ambizione di tali imprese dedicate alla scrittura.
Naturalmente, nel giro di trent'anni molte cose sono cambiate; quello che sembrava il tono vero ha subìto delle riduzioni e delle amplificazioni, tuttavia si è trovato sempre il modo di seguire le trasformazioni imposte dal tempo, dagli umori dei lettori.
Così non si è mai ceduto alla polemica per la polemica e - ancora un esempio - la giuria ferrarese non ha mai dimenticato o trascurato quello che è il clima naturale e storico della città.
Non si è mai trattato di un giudizio improvvisato: negli interventi che si sono susseguiti nelle diverse annate, lo spettatore libero da pregiudizi ha potuto prendere atto della capacità dell'altra e silenziosa famiglia, quella dei lettori. Una famiglia che non consideriamo sempre con il dovuto rispetto ma che, alla fine, è la padrona autentica delle sentenze definitive. Ebbene, anche sotto questo profilo va detto che l'Estense non ha mai tradito il proprio compito di indicazione, nel senso che non ha mai taciuto o sottovalutato i nomi giusti e si è sempre regolato sul metro dell'oggetti vita. Ecco dunque dove va cercata la sua "naturale eleganza" e, soprattutto, la sua indipendenza e la sua libertà.