Ogni elemento della tavola concorre a connotare il cardinale Ruffo come protettore delle Arti: le altre figure femminili - le Muse, forse - caratterizzate da strumenti musicali, maschere teatrali e volumi aperti in primo piano; il dio Apollo che, affiancato al mitico cavallo Pegaso, sovrintende alla scena. Su tutto si libra la Fama, a cantare le lodi dell'arcivescovo.
È curioso constatare come un personaggio di forza politica e capacità amministrativa del calibro di Tommaso Ruffo appaia all'epoca esaltato proprio per i suoi interventi in ambito culturale. E, sostanzialmente, si tratta delle operazioni da lui promosse e curate in ordine agli sviluppi della moderna architettura nel capoluogo già estense e nel territorio finitimo: infatti, è suo merito l'aver affrontato, fra l'altro, la riedificazione di un edificio in posizione cruciale nel tessuto urbano ferrarese quale il Palazzo Arcivescovile, che il restauro del 1990 ha convincentemente restituito alla collettività.
A questo è dedicato il bel volume che l'editore Corbo, per volontà della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, ha recentemente pubblicato (Palazzo Arcivescovile. Il Cardinale Tommaso Ruffo a Ferrara. 1717-1738, a cura di Carla Di Francesco e Antonio Samaritani). Si tratta di meritoria iniziativa che la Fondazione ha intrapreso per la «valorizzazione delle bellezze e delle ricchezze artistiche della nostra città» - come osserva nella presentazione Silvio Carletti, presidente della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Ferrara - e tanto più significativa in quanto dedicata a indagare un aspetto sovente trascurato dagli studiosi della storia architettonica e urbana di Ferrara, troppo spesso concentrati su episodi contigui alla grande stagione rossettiana.
In realtà, altre fasi di tale complessa vicenda vanno analizzate con cura: in particolare, quel diciottesimo secolo che assiste alla "rinascita", per opera dell'autorità pontificia, del patrimonio e delle potenzialità artistiche locali. Impostato secondo una prospettiva rigorosamente scientifica, il volume si articola in differenti saggi, che esplorano con puntuale competenza specifici angoli di visuale che concorrono a configurarci i precedenti insediativi dell'area, le motivazioni storiche, politiche e religiose che portarono al progetto, l'analisi attenta della struttura architettonica dell'edificio, della decorazione interna, le vicissitudini del manufatto successive alla sua erezione, nonché altri episodi che vedono coinvolta la figura del cardinale Ruffo.
Enrico Peverada (Il Palazzo Vescovile nel Quattrocento) indaga con ricchezza di materiale documentario le più remote configurazioni del sito che, nel 1441, il vescovo Giovanni da Tossignano ristrutturava e le cui vestigia sono ancor oggi parzialmente leggibili nell'attuale via degli Adelardi; in precedenza, sulla figura e sull'attività pastorale del prelato si sofferma Werther Angelini (Il cardinale Tommaso Ruffo, un politico nella Chiesa di Ferrara), che dipana l'aggrovigliata matassa di interessi amministrativi che il Ruffo si trovava a gestire; specificamente centrato sulla vicenda architettonica dell'edificio è il saggio di Angela Pampolini (Sul Palazzo Arcivescovile), che si è assunta l'onere di restituire, anche attraverso importanti acquisizioni archivistiche, le varie fasi del rapido cambiamento che, iniziato nel 1717 su progetto dell'architetto romano Tommaso Mattei, si concludeva, sotto la direzione del veneto Vincenzo Santini, già nel luglio 1720.
Angelo Samaritani (La serie pittorico-araldica nella tradizione erudita) concentra la propria ricerca sulla decorazione del Salone degli Stemmi del palazzo, identificando accortamente i diversi emblemi relativi ai vescovi, riapparsi nell'occasione del recente restauro cui ci siamo sopra riferiti.
Alla sorprendente decorazione tra XIX e XX secolo si intitola il contributo di Lucio Scardino (Esercizi d'ornato otto-novecenteschi), che mette così in luce un trascurato risvolto del monumento, nonché l'apporto di figure d'artisti che meriterebbero ulteriori approfondimenti. Carla Di Francesco (Il cardinale Ruffo costruttore a Ferrara: il "palazzo novo " di Belpoggio) analizza un altro intervento architettonico voluto dallo stesso committente: la villa suburbana costruita ex-novo nei pressi di Voghenza, nello stesso periodo in cui era attivo il cantiere arcivescovile. Di questa si analizza, rifiutandola, la tradizionale assegnazione al Mattei, per riportare l'opera in un ambito «di tipo classicista accademico» non lontano dalla scuola romana, ma piuttosto ancorato all'atelier dei Santini.
Di carattere squisitamente documentario si rivelano le pagine di Andrea Faoro (Il palazzo e i primi quattro successori del Ruffo) che, attraverso la lettura tenace delle carte, esamina le variazioni succedutesi nell'edificio sino al 1764. Italo Marzola ci offre (Il cardinale Tommaso Ruffo e il seminario diocesano) un sintetico excursus sulle attività pastorali e religiose del porporato, tradottesi nell'impegno dedicato all'educazione dei chierici.
In chiusura, viene riproposto l'utile saggio biografico redatto da Francesco Ruffo (Tommaso Ruffo, calabrese, cardinale e primo arcivescovo di Ferrara nel suo "cursus honorum"), fondato su una meticolosa ricognizione dell'Archivio Segreto Vaticano.