Eppure, i temi e i problemi connessi allo sviluppo sociale ed economico di una città sono ancora gli stessi. Anzi, si sono accentuati. Cala e invecchia la popolazione. Con tutto ciò che comporta un diverso modo di organizzare la struttura urbana di una città che, dopo essersi allargata, si restringe. Il lavoro legato alla produttività industriale sembra destinato a scomparire o a limitarsi in determinati settori. La rete del commercio tradizionale è in crisi da molto tempo. Il terziario, per quanto avanzato, non aumenta il numero degli occupati... E il lamento (o l'elenco dei problemi) potrebbe continuare. A Ferrara come altrove.
Siccome sono considerati temi e problemi comuni, finiscono per essere genericamente trattati e rimanere grosso modo irrisolti. Anche a Ferrara, nonostante la cura posta verso questi argomenti. Si è allargato il sistema universitario e contestualmente è aumentata la superficie delle attività produttive dismesse. È cambiato il modo di abitare sia il centro storico che la zona a esso circostante. Si è registrato anche qui lo spostamento degli abitanti verso la campagna. La misura davvero cospicua del territorio comunale ferrarese ha mantenuto pressoché inalterato (o quasi) il numero dei suoi cittadini.
Ma, è ancora pertinente quell'obiettivo di "città d'arte" posto alla fine del Novecento al momento in cui si redigeva, adottava e approvava il piano regolatore vigente? Con quali mezzi e finalità si persegue ancora il "turismo" - un turismo qualificato - quale componente economica? E cosa succede negli altri settori? Soprattutto - detto brutalmente e da parte di chi ha partecipato alla sua elaborazione - quel piano è ancora valido? E ancora e in modo più inquietante: Ferrara resta un "modello esemplare" di città pianificata? Nei tempi medi ha sempre saputo costruire alternative ai modelli in uso in quasi tutte le altre città della padania e il risultato è stato vincente. Adesso?
Ferrara è stata una capitale dell'agricoltura. È stata (e per certi aspetti lo è ancora, ma per quanto tempo?) un polo industriale di primaria importanza. È un centro commerciale di rilievo. Ha un'università antica e qualificata. Si continuano a fare interventi per migliorare ulteriormente tutta la città e non solo il centro storico. È stata un paradigma urbanistico. Ha prodotto una buona architettura, forse la migliore nel contesto dell'edilizia popolare.
La politica verso i luoghi monumentali - dalle mura alle piazze, ai singoli monumenti - ha costituito un supporto non piccolo nell'affermare la sua peculiarità e, a un tempo, la sua autentica vocazione culturale. Non solo. Con la cosiddetta "geotermia" si è dimostrata la sostenibilità dell'economia legata all'ambiente. La "cultura della città", in senso lato, ha contribuito ad arricchire anche materialmente i cittadini. Eppure, gli interrogativi continuano. Anche se la tanto discussa "addizione verde" si sta realizzando.
Capitale agricola non lo è più, ma la campagna così estesa continua ad avere una funzione economica consistente? Il dilagare delle abitazioni, spesso se non sempre, unifamiliari, oltre a intaccarne l'assetto, non altera il ruolo del suolo agricolo? Si riuscirà a riconvertire l'industria? E il commercio urbano potrà fare fronte all'invadenza degli iper-super-mercati? L'università si sta diffondendo in altre città dell'Emilia Romagna. La facoltà di architettura non è più la sola presente nella nostra regione. Adesso c'è anche a Cesena e a Parma.
Sia in Emilia che in Romagna, i problemi urbani (e gli obiettivi) si stanno uniformando e omologando. Molte altre città aspirano al titolo di "città d'arte". La "competizione" sollecita nuove iniziative. Impone, se si vuole competere, un approccio diverso ai fatti urbani e territoriali. Sia in Emilia che in Romagna, i problemi urbani (e gli obiettivi) si stanno uniformando e omologando. Molte altre città aspirano al titolo di "città d'arte". La "competizione" sollecita nuove iniziative. Impone, se si vuole competere, un approccio diverso ai fatti urbani e territoriali.
Senza nascondere i difetti o le scelte del piano regolatore vigente che alla verifica dei fatti si sono dimostrate inadeguate, si pone un oggettivo problema di continuità con il recente passato. Una "continuità" che per essere tale deve rappresentare un'autentica "discontinuità", una vera e propria soluzione di continuità. Non sto contraddicendomi clamorosamente. Cerco di spiegarmi meglio. Facendo nomi e cognomi.
Il governo del sindaco Soffritti - dall'inizio degli anni Ottanta - è stato un governo di rottura. Ha puntato verso obiettivi in netta controtendenza, non solo con quanto era successo fino a quel momento, ma anche nel confronto con altre città. In questi anni, in cui le altre città padane - in modo più o meno adeguato - si stanno rapportando a quel tipo di sviluppo, Ferrara appare un poco appannata. Di qui la necessaria "discontinuità" con l'operare consolidato per "continuare" a esercitare un ruolo. Per mantenere il prestigio conquistato.
(Attenzione. Non l'ha ordinato il dottore che una città debba essere competitiva. Tuttavia, in quest'epoca che, lo si voglia o no, tende al "globale", solo il "locale" - la specificità, la peculiarità economica e culturale di un luogo - può contribuire a individuare altrettanto specifiche strategie di miglioramento dello scenario urbano che, poi, si traducono in benefici per tutta l'economia cittadina).
Fra i tanti difetti del piano regolatore vigente - a cui però si era attribuito un tempo di "durata" che è già scaduto - quello maggiormente evidente mi sembra l'assenza progettuale nel definire un nuovo rapporto fra la città e la campagna. Proprio per non dimenticare che quel "rapporto" le ha consentito, fra l'altro, il mantenimento della cinta muraria...
Proviamo a dare un rapido sguardo al passato. Ferrara nel rinascimento, (quando diventò "Ferrara"). L'espansione urbana di Ercole d'Este, senza dimenticare l'assetto, le bonifiche, di Borso e quelle precedenti e quelle successive. La città si amplia e si consolida, mentre la campagna si conforma in modo definitivo. Un assetto - al pari della forma urbana definita dalla cinta muraria - in gran parte ancora esistente.
L'impianto della città nuova, le due addizioni, quella di Borso e quella assai più clamorosa di Ercole, sono omologhe alle coeve bonifiche. (Si pensi e si compari la bonifica della "castalderia" di Casaglia - 1450-60 - quella delle valli della San Martina - fine Quattrocento - con l'impianto urbano degli stessi anni per la nuova città attribuita a Biagio Rossetti). Senza ignorare - come è stato fatto finora - che la storia di Ferrara non finisce con la "devoluzione" allo Stato pontificio. La storia continua: se c'è un rapporto stretto fra città e campagna, questo avviene proprio nel XVIII secolo. C'è sempre stata una connessione - di forme, di economie, di investimenti e di raccolti - fra Ferrara e il suo hinterland agricolo. Un rapporto, come dicono gli storici, di "lunga durata".
Ritorniamo al presente. Ferrara nel secondo dopoguerra. La campagna continua a essere determinante. Fino a quale periodo? La conformazione urbana invece cambia. La città si espande e investe la campagna. La campagna resiste (ed esiste). Si arriva all'inversione di tendenza. Attivo - nel senso di attuattivo - recupero del centro storico. Riqualificazione della zona periferica. L'addizione verde. Riconversione (o almeno tentativi di riconversione) delle attività produttive. Potenziamento dell'università. Miglioramento, a volte strepitoso, delle attività culturali. Geotermia... In breve, si persegue un nuovo e diverso obiettivo economico e culturale: Ferrara "città d'arte".
Si perde di vista, magari semplicemente s'incomincia a sottovalutare, il rapporto con la campagna. E oggi? Anche a Ferrara - come altrove, ovviamente e purtroppo - nella campagna si riscontrano molte componenti "urbane". Da intendere non solo come allargamento dell'urbanizzato, ma proprio come destinazione di uso, come modo di abitare e vivere il territorio un tempo solo agricolo. Nella città sopravvive la campagna?
È noto. Senza campagna non c'è città. Oggi si ha la percezione che la "campagna" stia soccombendo e che dalla città si fugga. Il "suburbio", incrocio fra il rurale e l'urbano, diventerà dominante? A Ferrara - città d'arte e con una campagna che Montaigne definì "perfetta" - quale rapporto (o supporto) continuerà (se continuerà) a sussistere?
Sappiamo tutto (o quasi) della città. A Ferrara come altrove. Si prosegue nell'opera tesa a riqualificarla, a renderla sempre più vivibile. Alcuni problemi, tuttavia, non siamo (noi urbanisti) riusciti a risolverli. Come il traffico, per esempio. Nel periodo dell'espansione edilizia, pur progettando strade, assi di penetrazione, svincoli e chi ne ha più ne metta, ci siamo dimenticati di progettare i parcheggi.
Ora facciamo ricorso alle rotonde, ai semafori, in qualche caso ai parcheggi - spesso in zone che congestionano ulteriormente - mentre si continuano a ignorare ruolo, spazio, funzione e mezzi, del trasporto pubblico e a sottovalutare la matrice prettamente urbanistico-territoriale del traffico motorizzato.
Altri temi sono apparentemente chiusi. Risolti. Come quello della casa. Non esistono più coabitazioni e il numero dei proprietari dell'alloggio in cui si abita è fra i più alti d'Europa. Eppure, i mutamenti profondi dei nuclei familiari e nuove tipologie abitative richiedono risposte pianificatorie innovative.
E tante altre questioni richiedono metodi e programmi che non possono più ripetere quelli elaborati qualche anno fa. Specie se si affronta il tema "campagna" ormai considerata area di riserva dell'urbanizzato. L'argomento non ha valenze solo ferraresi. Ma a Ferrara la campagna - per la sua storia e la sua cultura - acquista una misura che può essere condizionante per lo sviluppo futuro.
A differenza di Bologna o di altre città, Ferrara non può essere considerata "area metropolitana". Non ha quell'insieme di comuni (un tempo piccoli e oggi ampiamente sviluppati) che attestandosi, appunto, alla "città madre" determinano - al di là delle dimensioni - la metropoli. Ferrara, semmai, continua a prospettarsi quale "città stato", città, con frazioni non grandi, circondata da un vasto territorio agricolo.
Questo territorio, per quanto indagato dagli storici, è in gran parte ancora ignoto (e ignorato) dai pianificatori. Il territorio ferrarese ha le stesse valenze culturali (e formali) dell'addizione erculea, e può rappresentare un contributo all'affermarsi delle intrinseche ed estrinseche qualità e potenzialità della città. In breve. La campagna appare come un territorio accantonato in cui rifugiarsi con la propria casetta o villetta. La campagna è troppo importante per il futuro di Ferrara per rimanere accantonata.
Riuscire a "visualizzare" il passato significa porre le basi per prospettare il futuro. Così si è verificato per la città storica. Lo stesso potrebbe manifestarsi per la città di domani. In particolare, per conferire ulteriori elementi qualitativi innescando un nuovo e diverso processo pianificatorio realmente proiettato nel nuovo secolo. Un processo che ponga la campagna al centro dell'urbano è oggi innovativo quanto impegnativo. Rappresenta una soluzione di rottura e, a un tempo, di continuità pianificatoria che investe la zona maggiormente trascurata in questi decenni.
Come hanno sempre sostenuto i vecchi saggi: conquistare una posizione richiede molto lavoro. Mantenerla è ancora più difficile.