Le muse in terrazza

Written by  Franco Patruno

Un ciclo di conferenze romane su aspetti e figure della cultura ferrarese.

La storia dell'incontro fra cultura ferrarese e romana può riservare ancora delle sorprese.
Perché utilizzo l'avverbio "ancora"? È evidente che alcuni classici delle arti figurative, della letteratura e della musica sono da secoli patrimonio nazionale. Conoscere Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, per esemplificare, è dato comune non solo dell'istruzione scolastica, ma è pure riconoscimento, anche se vago, di un sapere popolarmente diffuso e che oggi, con la frammentazione a quiz di un mosaico impazzito, è entrato nelle nostre case dall'archetipo che ha reso mitico Mike Bongiorno. E che permane, con buona pace sia degli apocalittici che degli integrati, come antipasto serale prima dei notiziari in guerra di audience tra Rai e Fininvest.

Nei testi scolastici, se si fa esclusione di qualche lodevole eccezione, tali classici vengono, come si suol dire, decontestualizzati. Il contesto di cui si parla non è, evidentemente, quello strettamente letterario; che, anzi, in fasi accese della passione semiotica, ha dominato la scena da par suo. Il contesto da intendere è, invece, quello della cultura cittadina, quel cantiere d'origine (o "officina" secondo l'uso consolidato), che non ha solo il significato di una fisica e geografica locazione, ma quello di un'appartenenza a un tessuto vitale che, tuttavia, non è un monolite senza interferenze.

È noto, infatti, che se Cosmè Tura è un genio di "natura e di grazia" , come direbbero i teologi, matura il proprio pellegrinaggio della mano e del cuore incontrando a Padova il Mantegna e, in un fuoco felicemente incrociato di multiformi fiammelle, assimila l'inusitata "drammaticità pacata" dei fiamminghi di passaggio e il cromo vivido che già era dei "gotici" di Rimini e di Bologna. Eppure, questo è il tratto splendente di una possibile etnica originalità, tali polivalenti incroci non determinano solo una storia visiva di rapporti, ma una precisa e individua cifra. Oserei aggiungere, con consapevole scelta estetica, che tale riconoscibile soggettività dell'opera è irripetibile.

Roma anche allora era una meta e tale rimarrà sino agli anni Sessanta, prima, cioè, che La dolce vita felliniana riducesse l'approdo a salotto, o Terrazza, secondo Ettore Scola, di invidiabili e invidiati fraseggi. Non c'era urgenza di aggiungere un posto a tavola anche per il giovane artista che si presentava, timido, accompagnato da Antonello Trombadori. Eppure, la Scuola Romana era tutt'altra cosa, come lo era il dibattito tra gli echi di un informale mutuato dagli States e il tentativo guttusiano di un realismo sociale che non voleva assumere i toni di una catechesi per un marxismo all'italiana.

Quando Melli fu riconosciuto come il più interiorizzato di quell'officina, non gli fu possibile, forse per una personalissima dignità che non bussa alle porte del mercato, finire i suoi anni con agi non meramente accademici. Oggi, lo sappiamo, è tra i grandi di quel periodo e molti a Roma si tolgono il cappello. Accenni, questi, di intersezioni tra Roma e Ferrara. L'acculturazione è reciproca quanto lo sono l'integrazione e l'incontro tra intuizioni che presto si diffondono e diventano comune patrimonio.

Una loro celebrazione avviene ora nella capitale. L'associazione culturale "Il Pozzo di Sichar" ha già proposto al Teatro Flaiano colloqui significativi con protagonisti del mondo artistico in campo letterario, cinematografico, teatrale e archeologico. Gian Filippo Belardo (autore, critico teatrale e redattore della terza pagina de "L' Osservatore Romano"), Giuseppe Costa (giornalista, insegnante di Comunicazione di Massa all'Università Salesiana) e l'ingegnere Mario D' Erma ne sono i promotori e gli organizzatori. Tali incontri hanno già visto la presenza e la collaborazione di Manlio Cancogni, Ferruccio Ulivi, Pupi Avati, Michele Piccirillo, Sabino Acquaviva, Montefoschi e Paola Saluzzi.

La filiale romana della Cassa di Risparmio di Ferrara si è significativamente inserita e ora ha accolto un progetto biennale che favorisca la conoscenza dell'apporto estense alla cultura romana. È una scelta appropriata e intelligente. La sede è nuova e prestigiosa: il Centre Culturel Saint Louis de France, estremamente selettivo, ospita tale progetto come unica presenza italiana.

Tornando all'avverbio d'inizio, "ancora", è da notare il punto di vista dell'approccio romano e delle possibili sorprese. Se si pensa a Michelangelo Antonioni, celebrato nel primo dei colloqui, la poetica dell'argine affascina gli ambienti della capitale e trascina verso il Po molto più incisivamente del mirabile Visconti di Ossessione. Se Visconti mutua dalla classicità del teatro verista un suggestivo mondo di forme proletarie, il regista ferrarese non ama il crepuscolo ed anche quel "grido" che, lancinante, squarciò il cielo nel 1958, s'è fatto presto universale.

Bassani, cantando dei Finzi Contini, non ci ha condotto solo a oleografici ricordi sui quali ha non poco ecceduto un grande come Vittorio De Sica. Eppure, anche i contorni di quella Ferrara, che tanto aveva stupito il De Chirico delle Muse inquietanti, non languiscono in pura evocazione. Oltre l'evocazione decorativa, infatti, c'è solo il vuoto. Il punto di vista produce la poliedricità dell'integrazione: De Chirico osserva una Ferrara simbolo metafisico del silenzio e della dilatazione degli spazi e Antonioni libera l'identità del luogo dall'affanno dell'essere capitale del silenzio.

Si incontrano le due osservazioni? Direi che si ammirano senza interferenze. L'inquietante delle muse è forse una domanda su una possibile comunicazione in un tempo sospeso, ma reale. Panica è invece l'estensione nell'illimite di Deserto Rosso; un illimite che vive della sostituzione dei colori, come alla ricerca di una possibile interiore comunicazione che liberi dall'angoscia. Forse, le "montagne incantate" dei suoi collage inseriscono non solo un tema nuovo, ma una proposta di quell'oltre la percezione immediata delle cose che aveva affascinato il mondo intero con Blow up.

Il mondo della cultura è intreccio ricco e complesso e nella sua accentuazione poetica è, come affermava Luigi Pareyson, come un prisma che facilita la molteplicità delle interpretazioni.
Non si tratta solo della storicizzazione dei punti di vista (e, quindi, solo di una storia delle oscillazioni del gusto), ma del valore di opere che rimangono vere muse inquietanti. Solo le forme che pongono domande suscitano autentiche inquietudini. La gioia della scoperta non nasce dopo, ma nell'attimo stesso della ricerca.

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