Quale futuro per la Fondazione

Written by  Sergio Lenzi

Sergio Lenzi riceve, per la Fondazione, il Riconoscimento Alberto V d'Este.Rinnovarsi, nel solco tracciato dalla Legge Ciampi.

Il vascello della Fondazione ha appena doppiato il Capo di Buona Speranza, emergendo tra i flutti e gli scogli, talvolta sommersi, che ne insidiavano la rotta. È una descrizione decisamente colorita e inusuale, per l'attività di un ente così formale, prudente e difficilmente influenzabile dalle sensazioni del momento. Però è anche vero che gli ultimi anni sono stati particolarmente intensi, sia sotto il profilo dello sforzo di rinnovamento, sia sotto quello della difesa di una identità e di una autonomia, nel solco della tradizione. Concetti apparentemente antitetici, rinnovamento e tradizione in realtà sono facilmente conciliabili.

Non può essere dimenticata la nostra volontà di rinnovarci nel solco del disegno tracciato dalla Legge Ciampi, e quindi con l'intento di ampliare la partecipazione ed il contributo della società civile, sia modificando gli organi statutari, sia e soprattutto dotandoci di una serie di regole interne, ma con evidenza esterna, per rendere sempre più efficace e trasparente la nostra attività a favore del territorio. Il che significa introduzione di poche e chiare indicazioni, utili per la redazione delle domande di contributo, per la loro valutazione ed infine per verificare l'esito dei progetti prescelti.



Nel frattempo e non in contraddizione con questi intenti, abbiamo dovuto difendere la nostra identità e autonomia, da una serie di pericolosi assalti, portati da più parti a sorpresa e con strumenti diversificati, a partire da una campagna di discredito sui media circa il ruolo e l'attività delle Fondazioni (ex) bancarie, arrivando fino all'introduzione nella legge finanziaria di disposizioni normative che avrebbero dovuto trovare il loro percorso di esame in ben altro contesto.

Il rischio era negare la natura privata dei nostri enti, riportandoci a una situazione di vassallaggio di poteri pubblici apparentemente locali, ma in buona misura con propensioni centralistiche. Per far ciò si è anche tentato di paralizzare la nostra attività, cercando di produrre uno scollamento tra la Fondazione e la società civile. Il tutto grazie a una disposizione che vietava di porre in essere, nel periodo transitorio, atti eccedenti l'ordinaria amministrazione tra cui le erogazioni poliennali e tutte le erogazioni superiori ai 25.000 euro. Ovviamente salvo previa autorizzazione della Autorità centrale, che avrebbe dovuto valutare (da Roma!) per esempio la congruità del preventivo per l'impianto di riscaldamento della scuola materna o la necessità di una particolare strumentazione all'ospedale di provincia.

È evidente l'incoerenza di queste previsioni innanzi tutto con il principio di sussidiarietà orizzontale posto dal nuovo articolo 118 ultimo comma della Costituzione. Ma anche va ribadita la necessità di assicurare alle Fondazioni come la nostra una capacità operativa snella e priva di pastoie burocratiche, per poter venire incontro alle esigenze del territorio con speditezza e concretezza, privilegiando il conseguimento del risultato alla codificazione astratta dei comportamenti. Ma da queste premesse, e dalle vicende giudiziarie che ne sono seguite, pare ora che sia possibile superare le contrapposizioni e aprire finalmente una fase di maturità nella struttura e nelle regole, secondo le aspettative espresse.

Quale futuro quindi per la nostra Fondazione? Innanzi tutto dobbiamo rendere merito alla norma, recentemente emanata, che ci consente di mantenere ancora per tre anni la partecipazione di maggioranza nella banca, riconoscendo così la differenza tra le realtà delle piccole Fondazioni e piccole Casse di Risparmio, come le nostre, e i giganti del credito.

Il rischio era di dover sciogliere un legame che non è mosso dal desiderio di interferire nelle reciproche realtà, ma esclusivamente finalizzato a mantenere il collegamento più stretto con il territorio, che certamente ha bisogno di una Fondazione che ne sostenga le iniziative culturali, di ricerca, di tutela delle categorie deboli e di sostegno alla sanità. Però ancor più in questo momento ha bisogno di una banca vicina, esperta del tessuto di piccole e medie imprese che sono la vera ricchezza economica di una realtà italiana, ben differente da quella del mondo anglosassone.

Il Dott. Bruno Bianchi, responsabile del servizio Vigilanza della Banca d'Italia, in una recente conferenza tenutasi presso la nostra Università, ha ricordato che nel nostro paese per piccola impresa si intende una dimensione aziendale ben diversa da quella riscontrabile negli Stati Uniti, in Inghilterra o in Germania. Queste imprese sono in difficoltà nel rapporto con le grandi banche, i cui centri decisionali sono lontani, e ignorano le situazioni specifiche. Una banca del territorio serve a farlo crescere con l'attenzione e il rispetto che anche il piccolo artigiano o coltivatore meritano.

L'aumento di capitale sociale che la Cassa di Ferrara ha intrapreso in questi mesi è significativo proprio per la volontà di rinsaldare la partecipazione dei piccoli azionisti. E ciò come parte di un disegno coerente con la capacità della Fondazione di ragionare con lungimiranza, senza interferire nell'amministrazione della banca ma lasciandola libera di indirizzare le proprie strategie di crescita e rafforzamento secondo programmi di medio periodo ed accompagnandola nella misura opportuna.

Nel frattempo, la Fondazione gode di una ricchezza prodotta a Ferrara, che invece di prendere la via delle grandi piazze finanziarie nazionali o internazionali, viene ridistribuita proprio qui. Con un primo effetto positivo che riguarda la indifferenza, per così dire, delle nostre rendite all'andamento negativo della borsa, poiché la maggior fonte di reddito della Fondazione rimane il dividendo percepito dalla banca, sempre in crescita negli ultimi anni.

E qui sta il secondo effetto positivo: la possibilità per la Fondazione, a fronte di questi gettiti, di generare nuova ricchezza grazie ai propri interventi. Ricchezza in senso lato, che comprende in primo luogo il significato più letterale del termine, poiché in ogni caso è significativa la quantità di risorse liquide che vengono reimmesse nel ciclo produttivo locale. Ma anche va considerato il beneficio riflesso che viene dai progetti realizzati nei diversi settori: qualità della vita, decoro architettonico dei luoghi, tutela sanitaria, trasferimento alle imprese degli esiti della ricerca scientifica, solo per citare alcuni degli effetti più immediati.

Ho la presunzione di aver descritto un quadro positivo del ruolo e delle potenzialità della Fondazione, per la città ed il territorio. Ma la domanda sul nostro futuro forse è ancora senza risposta. In realtà, forse non è necessaria una risposta, poiché il futuro che ci aspetta o meglio quello che ci immaginiamo per il nostro ente, non è fatto di cambiamenti radicali, né di decisioni epocali. Il futuro più coerente con i fini della Fondazione è fatto di piccoli passi, di attenzione alle richieste ed alle segnalazioni che ogni giorno ci pervengono, di uno sviluppo costante e meditato.

Vi è un termine che va di moda da qualche tempo, mi riferisco allo "sviluppo sostenibile", che sintetizza un nuovo modo di coniugare le opportunità di crescita economica con le esigenze di compatibilità ambientale. Vorrei coniare un nuovo abbinamento lessicale, per i nostri intenti e parlare quindi di "sviluppo consapevole", cioè di una serie di azioni che si pongano come parti di un percorso tracciato, dalla sua origine alle mete ancora a venire, ma già riscontrabile negli obiettivi, negli effetti e nelle implicazioni anche collaterali.

Questa a mio avviso deve e può essere l'azione della Fondazione. A patto che sia finalmente possibile lasciare alle spalle i contenziosi pregressi.