Il re fu talmente contento del lavoro eseguito dal restauratore che, dopo aver ospitato i dipinti nella sua anticamera a Napoli, ordinò di portarli a Capodimonte con l'intenzione, malgrado le promesse fatte al priore, di trattenere per sé la pala della Certosa.
Hackert, che si sentiva responsabile per aver consigliato lui stesso il restauro di quel quadro facendosi garante della restituzione, a Ferdinando IV, che cercava la sua approvazione sulla nuova collocazione, rispose: «Sua maestà mi perdoni, ma fa un cattivo effetto cosicché se non fossi stato sicuro che era l'originale, non lo avrei creduto. Mi permetta la maestà sua, questo non è dipinto per una galleria. Innanzi tutto Ribera lo ha dipinto per il posto sull'altare e per la cappella; ha messo lo scorcio della salma di Cristo in un punto della prospettiva che è calcolato precisamente per quel posto. Se il quadro non si trova al posto giusto non farà mai un buon effetto. Inoltre non è un soggetto per una galleria ma per una cappella dove ognuno dice le sue preghiere. Poi mi sembra ingiusto che la certosa perda un capolavoro della sua chiesa quando ha creato, per così dire, una propria galleria di quadri scelti non solo nella chiesa ma anche nell'appartamento del priore, che è una cosa veramente bella come sua maestà ha visto». Inutile aggiungere che queste parole convinsero il re, e la pala fu ricollocata nel luogo dove ancora oggi è possibile ammirarla.
Al di là delle motivazioni indicate da Hackert, certamente esagerate ma non eccentriche, l'aneddoto riassume e colora la posizione di una scuola di pensiero che si sta sempre più diffondendo, partendo addirittura dalle pagine di "Nuova Museologia", quando ancora la rivista era organo ufficiale del Comitato Nazionale dell'ICOM (The International Council of Museums), e cioè la ricollocazione nel sito originario di quel patrimonio artistico che vi è stato, per le più svariate ragioni, rimosso, ovviamente laddove è possibile in considerazione delle norme sulla sicurezza e sulla conservazione delle opere d'arte.
In questo senso, l'occasione che ci si appresta a realizzare nel Tempio di San Cristoforo alla Certosa di Ferrara è sicuramente un caso esemplare, e non soltanto in riferimento al lavoro in sé (maestoso e impegnativo), quanto anche in relazione alla sinergia fra istituzioni che si sono unite per renderlo possibile, ciascuna ben consapevole che senza una reciproca collaborazione e un riconoscimento rispettoso dei ruoli nulla sarebbe possibile, e che diversamente il singolo sforzo, per quanto generoso, resterebbe vanificato.
Non è il caso di ripercorrere in queste pagine la tormentata storia della Certosa, della sua chiesa e dei monaci; basti ricordare lo spartiacque del 1801, anno in cui l'edificio viene secolarizzato e l'ordine abolito con la conseguente dispersione di una parte delle opere e il riallestimento di San Cristoforo a opera dell'Arciconfraternita della Morte - alla quale fu affidato nel 1816 da papa Pio VII - che utilizzò anche quadri provenienti da altre chiese con una cura e una progettazione degne di nota, adattando inoltre all'abside certosina il coro della distrutta chiesa di Sant'Andrea (1870).
La chiesa, insomma, divide la sua storia in due momenti: il momento certosino e quello ottocentesco, ciascuno dei quali ha eguale diritto di preservarsi nella memoria collettiva.
Per questo, a partire dalla fine degli anni Novanta, quando le esigenze di restaurare l'edificio si fecero impellenti, e le riflessioni sull'uso museografico (nel senso qui rappresentato attraverso l'aneddoto su Hackert) del patrimonio artistico divennero mature, iniziarono ricerche, indagini, ragionamenti che sortirono in una bozza progettuale proposta da Rita Fabbri, Giuliana Marcolini e - per i Musei d'Arte Antica - Elisabetta Lopresti, volti a restituire l'edificio alla città e al suo pubblico.
L'obiettivo da raggiungere era di riuscire a soddisfare da una parte le esigenze storiche e dall'altra quelle estetiche, mettendo cioè d'accordo lo storico e il semplice visitatore; esigenze alle quali va aggiunta quella del fedele, perché è sembrato fondamentale che questa chiesa non diventasse un ennesimo museo ma, soddisfacendo le imprescindibili necessità museali, continuasse a svolgere le sue funzioni liturgiche.
Il progetto, perciò, puntò a riportare nella chiesa tutto ciò che di certosino (e perciò di provenienza monastica) poteva essere recuperato, intervenendo con le opere di qualità pervenute nell'Ottocento (e cioè quando al complesso certosino si attribuisce l'attuale funzione civica), compreso il magnifico coro intarsiato dell'ex chiesa di Sant'Andrea.
Tuttavia, le idee, come sempre, restano inutili fin quando non trovano modo di concretizzarsi in un'azione; ed è proprio in questo passaggio dall'idea all'azione che il ripristino di San Cristoforo diventa davvero esemplare, riportando il Tempio a essere quasi una trasposizione contemporanea di una fabbrica medievale.
E' così che il restauro architettonico è iniziato nel gennaio 2004, promosso dall'Amministrazione Comunale che ha finanziato l'intervento con la partecipazione della Regione Emilia-Romagna e del Ministero ai Beni Culturali.
Il progetto, coordinato dall'Ufficio Restauri del Servizio Beni Monumentali del Comune, è stato affidato a un pool di professionisti (Andrea Malacarne, Carlo Bassi, Massimo Dalla Torre, Rita Fabbri, Giuliano Mezzadri, Giovanni Paolazzi, con la consulenza storica di Giuliana Marcolini); i lavori, diretti da Andrea Malacarne, sono stati affidati alla CMR di Filo d'Argenta e saranno ultimati verso la metà del 2005.
Contestualmente, in continuo contatto con la direzione lavori dell'edificio, i Musei d'Arte Antica del Settore Attività Culturali del Comune, in accordo e condivisione con la Soprintendenza per il Patrimonio Artistico e Demoetnoantropologico di Bologna, hanno iniziato la lunga opera di riordino e restauro degli arredi e delle opere che verranno ricollocate grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara che, per quanto si concretizzi in un impegno economico davvero imponente, lascia trasparire un'anima attenta alle problematiche culturali della città, e dà sostanza e nuova linfa a quell'idea di civica responsabilità troppo spesso dimenticata nella nostra contemporaneità.
E' così che risulta già finanziato il restauro del Ciborio, nonché la disinfestazione di tutto quel materiale ligneo (i cori dei transetti e arredi liturgici) ancora presente nel Tempio nel momento in cui si è aperto il cantiere edile, e soprattutto i progetti di restauro realizzati per le tele dal Laboratorio degli Angeli di Maricetta Parlatore, e per i legni dal Laboratorio di restauro di Sandro Salemme, grazie ai quali è già possibile istruire procedimenti amministrativi per l'affido dei lavori a una decina e più di laboratori di restauro.
Insomma, la macchina è in movimento, e sarà ulteriormente oliata grazie a una convenzione al momento in itinere tra Amministrazione Comunale e Fondazione Cassa di Risparmio, che metterà definitivamente e formalmente in collaborazione diretta e alla pari queste due istituzioni ferraresi.
Per completare il clima di collaborazione va sicuramente aggiunto il rapporto con la Soprintendenza bolognese, che non soltanto contribuisce al progetto con le sue competenze tecnico-scientifiche, ma mette a disposizione di San Cristoforo opere restaurate e conservate nella locale Pinacoteca, nonché si fa garante della ricollocazione nei transetti delle due pale del Bastianino, passate in epoca napoleonica alla competenza della Pinacoteca di Brera e oggi conservate a Ferrara.
E infine, nella considerazione più volte ripetuta che la chiesa deve avere accorgimenti museali pur continuando a svolgere la sua importante funzione liturgica, va ancora una volta ricordato lo spirito di cooperazione della Curia Arcivescovile di Ferrara e Comacchio, con la quale si è studiato il procedimento inverso, vale a dire il modo più opportuno per far sì che la funzione liturgica possa accogliere accorgimenti e necessità museali.
Non c'è che dire, Hackert ne sarebbe orgoglioso.
Uno spaccato del complesso architettonico del tempio, oggetto del restauro.
1. Cappelle laterali con pale d'altare di N. Roselli (XVI sec.), raffiguranti episodi della vita di Gesù, e ancone di E. Aviati (XVI sec.). Alle pareti, quadri del Bastarolo (XVI sec.), G. Venturini (XVI sec.), G.B. Cozza (XVII sec.), G. Avanzi (XVII sec.), G. Masi (XIX sec.),
F. Parolini (XVIII sec.), Dielaì (XVI sec.), A. Ridolfi (XVII sec.), F. Naselli (XVII sec.)
2. Transetto di destra con pala d'altare del Bastianino (XVI sec.), raffigurante "Il Giudizio Universale", e ancona di E. Aviati (XVI sec.) nella quale sono incastonate tempere del Bastianino raffiguranti le Sibille. Alle pareti, quadri di B. Cesi (XVII sec.), F. Naselli (XVII sec.), Scarsellino (XVI sec.). Coro del XVI-XVII secc.
3. Abside con pala d'altare del Bastianino (XVI sec.), raffigurante "San Cristoforo", e il coro intarsiato dei Canozi di Lendinara, proveniente dall'ex chiesa di Sant'Andrea del XV sec. Ciborio del XVII sec. e, alle pareti, quadri di G. Avanzi (XVII sec.). Sull'arco presbiteriale, quadri di Bononi (XVII sec.).
4. Sagrestia con armadi e stalli del XVIII sec. Alle pareti, quadri di Nicolò Pisano (XVI sec.) e di Bononi (XVII sec.).
5. Cappella invernale con quadri di G. Ghedini (XVIII sec.), F. Naselli (XVII sec.).