E così, con la medesima sobrietà, e con la semplicità che ha da sempre contraddistinto lo stile dell'Associazione, vogliamo oggi ricordare che sono trascorsi altri settanta anni, e la Ferrariae Decus ha oggi un secolo di vita. Non possiamo, però, evitare di contraddire il fondatore, dicendo subito che tutt'altro che modesta è stata l'opera dell'associazione, e che, anzi, moltissimo deve anche la Ferrara del nostro tempo a tutti coloro che nel corso dei decenni, riconoscendosi nei medesimi scopi e nelle finalità associative, hanno dato e continuano a dare lavoro e intelligenza per la conservazione delle testimonianze materiali della civiltà artistica ferrarese.
L'Associazione per la tutela dei monumenti storici e d'arte Ferrariae Decus, dunque, nasce nel 1906 con lo scopo di salvare da dispersione, manomissione o distruzione l'immenso patrimonio architettonico e artistico prodotto dalla Ferrara storica e in particolare estense, e di incentivarne conoscenza e consapevolezza in un pubblico di cittadini attenti e nelle istituzioni municipali, attraverso azioni concrete mosse da un profondo impegno morale, culturale e civile. Un compito davvero non semplice, assolto con l'incessante attività di un secolo che via via, nel corso del tempo, si è andato modificando per adeguarsi alle mutate condizioni culturali, economiche, istituzionali e sociali della città.
Se, infatti, oggi la Ferrariae Decus è saldamente presente e vitale a Ferrara nella promozione della cultura cittadina, anche assieme ad altre associazioni, ben più difficili e irti di ostacoli sono stati i suoi primi decenni, nei quali, pressoché da sola e spesso inascoltata, si batteva con i mezzi della conoscenza, della ragione, del convincimento, per impedire demolizioni, per salvare palazzi e affreschi, per restaurare chiese e case, per conservare i cotti decorativi degli edifici. La presenza del sodalizio sulla scena cittadina nei primi decenni è strettamente legata alla figura di Giuseppe Agnelli, direttore della Biblioteca Ariostea, che ne fu il presidente indiscusso fino al 1940, anno della sua morte: allievo a Bologna di Giosuè Carducci, intrecciò una solida amicizia con Corrado Ricci, compagno di corsi universitari, che proprio nel 1906 diveniva direttore generale alle Antichità e Belle Arti del Ministero dell'Istruzione Pubblica.
A Carducci, e in particolare al Carducci dell'Ode a Ferrara si ispirano gli ideali dell'Agnelli, che coglie il valore etico del glorioso passato estense come sprone per un futuro di rinascita economica, culturale, spirituale della città ormai riscattata dal giogo della Chiesa, della "vaticana lupa cruenta"; l'Italia da poco unita è la speranza, e la Ferrariae Decus il mezzo per mettere al lavoro quella parte della cittadinanza colta che condivide questi ideali. "In voi e intorno a voi scaldate i cuori al culto delle memorie antiche, guidate la coscienza popolare a rispettare il passato se vuole avviarsi sicura all'avvenire, ottenete dalla città e per la città i mezzi a che si mostri degna della sua stagione di gloria", sprona il presidente all'adunanza generale del 1908.
Questa Ferrara, quella della Ferrariae Decus, è effettivamente in grado, nel senso che ha cultura, sensibilità e capacità, di proporsi come attiva protagonista della tutela, fiduciaria degli organismi che lo stato unitario si è dato a questo scopo, identificati nella Direzione generale ma anche, in sede locale, nell'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti, divenuto successivamente, nel 1910, Soprintendenza. Con l'amico Corrado Ricci, direttore generale alle antichità e belle arti fino al 1920, l'Agnelli stabilisce un contatto epistolare quasi quotidiano, dal quale emerge come non ci sia monumento, edificio, restauro, problema in qualche modo legato alla storia cittadina che la Ferrariae Decus non abbia trattato direttamente o non abbia discusso, al di là di quell'attività di restauro sul campo per la quale è più nota.
L'Agnelli e i soci più attivi segnano in questo periodo, e fino al 1940, la storia del restauro a Ferrara, costituendo valida supplenza per soprintendenti privi di mezzi e affaccendati in altri luoghi della regione o, per l'area ferrarese, su alcuni singoli puntuali temi come i restauri a Casa Romei e all'abbazia di Pomposa, il consolidamento di Santa Maria in Vado e del Duomo e, negli anni Trenta, il recupero museale del palazzo di Ludovico il Moro.
Impossibile prendere in esame l'infinita e capillare attività della Ferrariae Decus in questi importantissimi trentaquattro anni della presidenza Agnelli: non si può però non ricordare che l'acquisizione allo Stato del palazzo di Ludovico il Moro (1921) è uno dei successi del rapporto Agnelli- Ricci, a lungo discusso tra loro a partire dagli anni in cui l'associazione si impegnava nel primo ciclo di restauri alla palazzina di Marfisa d'Este, interrotti nel 1915; impossibile poi non ricordare come, con i lavori alla facciata delle chiese del Corpus Domini (1909), Santa Maria Nuova (1921), e poi San Gregorio (1931-32), San Giacomo (1935), Santa Agnese (1936), la Ferrariae ha fissato suoi criteri di restauro che, seguiti per decenni, hanno impresso a Ferrara quel volto color cotto che anche oggi la caratterizza: questi interventi, che si basavano sull'eliminazione dell'intonaco dalla facciata, sul "ripristino" delle aperture quattrocentesche e il recupero dei cotti decorativi, sono parte fondamentale di uno degli obiettivi più cari alla Ferrariae Decus, quello della cura del decoro urbano: analogamente a quanto faceva sugli edifici religiosi, infatti, l'associazione si prodigava fin dai primi anni nel restauro degli edifici civili (la casa di Biagio Rossetti, 1911; il portale di via Voltapaletto 46 e altri) dimostrando un interesse che non esitiamo a definire pionieristico per il patrimonio culturale diffuso secondo una filosofia lucidamente sintetizzata dal presidente nella relazione generale del 1909: "La Ferrariae deve...intendere ai monumenti minori, alle cose nostre le quali serbano, se vogliamo dire così, un carattere di intimità; anche le più tenui testimonianze sono parole del passato, servono alla ricostruzione di quel periodo storico che Ferrara ebbe degnamente nel mondo nome di Sovranità".
Di anno in anno, attraverso un'attività incessante su temi del quotidiano, ma anche con la presenza nelle commissioni di restauro dei grandi complessi monumentali (il ciclo dei lavori al Castello Estense, e al palazzo Comunale, entrambi della metà degli anni Venti, la Ferrariae Decus si afferma come presenza costante della cultura cittadina e si conquista la fiducia dell'amministrazione comunale, per la quale negli anni Trenta l'ufficio tecnico diretto dall'ingegner Giuseppe Stefani assume il prezioso ruolo di consulenza. In questo periodo, si moltiplicano i lavori come quelli già visti sulle chiese, ma anche a portali e facciate di case come quelli all'antico Vescovado di via degli Adelardi, le case di via Mazzini 24-34, di via Carri 14-18, di via Carbone 15, solo per citarne alcuni tra i tanti portati a compimento nella seconda metà del decennio.
Sono lavori che codificano la prassi e sanciscono la moda del mattone a vista per le facciate ferraresi, ornate anche dalla delicata decorazione architettonica in terracotta che la Ferrariae conserva con devozione per quanto ritrovato al di sotto degli intonaci e integra con formelle di nuova produzione. È la definitiva consacrazione dei temi sviluppati in "Quel che resta di Ferrara antica" che Eugenio Righini, attivo consigliere della Ferrariae Decus, aveva pubblicato tra il 1910 e il 1912 e che rimane ancora oggi un riferimento ineludibile non solo per la conoscenza della città prerossettiana e delle diverse ornamentazioni in cotto che vi si trovano, ma anche per i principi di restauro adottati nei lavori condotti dall'associazione, ispirati allo storicismo di Luca Beltrami: "Badate: io sono mediocremente entusiasta - anzi senza reticenze, non sono entusiasta affatto - della tendenza bolognese a rifare, talvolta ex novo il vecchio a base di interpretazioni di documenti e di verosimiglianze archeologiche.
Quello che invece ammiro a Bologna è il restauro accurato, coscienzioso, alla scorta di dati di fatto irrefutabili, ma è soprattutto la conservazione amorosa anche di frammenti...".
E', ancora, la necessità di ribadire l'equilibrio e la moderazione come comportamento anche e a maggior ragione nelle situazioni più spinose e di vasto respiro, come quella del progetto di "risanamento" di san Romano (1937), elaborato dall'architetto Di Fausto per conto del Comune, che si portava dietro massicci interventi di ripristino in presupposto stile medievale sulla piazza, sulle botteghe del Duomo, sul palazzo della Ragione, sul palazzo di San Crispino: una sorta di follia collettiva che sviluppò un vivace e contraddittorio dibattito interno dal quale solo le dimissioni dell'Agnelli, poi ritirate, fece rinsavire l'ala "modernista" dell'associazione. La guerra e la scomparsa di Agnelli segnano la fine del decennio, che aveva visto l'associazione operare nel restauro così attivamente non tanto attraverso fondi propri, ma con elargizioni in denaro del senatore Niccolini, del grand'ufficiale Arlotti, di Vittorio Cini, la cui donazione permise di proseguire anche in tempi così difficili il programma dei lavori (casa Pisani, 1942- 43) e di cominciare a pensare a un tema, quello del recupero delle mura, che ha visto la Ferrariae Decus fortemente impegnata fino alla metà degli anni Cinquanta.
Nel frattempo si succedono alla presidenza Giulio Righini, fino al 1944, Arturo Giglioli, fino al 1948; nel 1949 viene eletto Girolamo Zannini, la cui presidenza, durata fino al 1972, corrisponde a una vera ripresa dell'opera su più fronti tipica dell'associazione, che torna a prodigarsi nei lavori di restauro (tra questi, ricordiamo solo il monastero di Sant'Antonio in Polesine e la chiesa di Sant'Apollinare, recuperata a seguito dei danni bellici), ma che tende anche a modificare, in relazione al mutamento dei tempi, i propri orizzonti. Lo studio storico particolarmente attento pubblicato dalla Ferrariae Decus sul palazzo della Ragione non valse la salvezza dello storico edificio; la demolizione del palazzo negli anni immediatamente successivi alla guerra provocò aspro dissenso e una seria frattura nei rapporti di collaborazione con il Comune, nel quale, evidentemente, erano modificati anche gli obiettivi nei confronti della politica di intervento sulla città storica.
L'associazione, sconfitta, si dedica allora con capillare assiduità alle mura estensi, che gli eventi bellici e post bellici avevano fortemente depauperato: sollecita riparazioni e manutenzioni, ma soprattutto si dedica a una operazione umile e complessa nello stesso tempo, tanto efficace da condurre a una tutela pressoché completa: esegue, infatti, a opera dell'appassionato Guido Magnoni Trotti, lo studio catastale con verifica delle proprietà, dell'enorme quantità di edifici e aree interne ed esterne alla cerchia muraria; un lavoro di anni, che tra il 1953 ed il 1955 porta alla notifica dei decreti di vincolo a cura della Soprintendenza per i beni Architettonici (che allora si chiamava "ai Monumenti").
Gli esiti di questa campagna di vincoli a tappeto, sia pure con qualche "negazione" e trasgressione, sono accolti anche dal Comune e così in quei complicati anni di crescita edilizia, in generale non favorevoli alla conservazione, ma piuttosto attenti alle istanze della ricostruzione e dello sviluppo urbanistico, Ferrara, al contrario di tante altre città, accetta l'idea che le mura sono una parte cospicua del suo patrimonio e sceglie per il loro futuro recupero. Nel cinquantenario della sua costituzione, la Ferrariae Decus è riconosciuta come "Ente morale per la tutela dei monumenti storici e d'arte" con D.P.R. n. 278 del 2 gennaio 1956. Da due anni la sede sociale era diventata Casa Romei, segno del rapporto ormai più che consolidato con la Soprintendenza ai Monumenti, con la quale, fra l'altro, Zannini e i suoi avevano attivamente collaborato per il ciclo di lavori postbellici, che avevano condotto al recupero di decorazioni e affreschi, e all'allestimento museale degli interni: oltre che le collezioni civiche dei marmi e degli affreschi staccati (staccati quasi tutti, peraltro, a cura della stessa Ferrariae nel corso dei decenni precedenti), trovò una giusta collocazione al piano terreno di Casa Romei, la serie di cotti architettonici che nel corso della sua attività l'associazione aveva recuperato come campionature da edifici in restauro o in demolizione, o addirittura acquistato. Un altro museo, come a suo tempo, prima della guerra, quello del Duomo, fortemente voluto dalla Ferrariae Decus come ulteriore tassello della cultura ferrarese, ma in questo caso nella particolare accezione di raccolta di "cose le quali serbano... un carattere d'intimità", secondo la lezione dell'Agnelli.
Restauri, studi, pubblicazioni, pareri e sollecitazioni continuano anche negli anni successivi, sotto la presidenza di Arturo Malagù, di Giorgio Franceschini, di Francesca Zanardi e, oggi, di Giacomo Savioli. Ma nel frattempo quella delle associazioni è diventata una schiera nutrita e rafforzata; la Soprintendenza, a partire dagli anni Sessanta, ha sempre più rinvigorito la sua presenza fino a stabilire a Ferrara una sua sede operativa, e il tempo delle infuocate battaglie contro il Comune per la difesa di monumenti piccoli e grandi dalla demolizione è concluso. E questo anche con il contributo sostanziale della Ferrariae Decus, alla quale per questo vogliamo augurare almeno un altro secolo di vita!