Pomposa, abbazia benedettina

Scritto da  Carla di Francesco

Abbazia di Pomposa, La cena di S. Guido con l'Arcivescovo Gebeardo di Ravenna, affresco.Pomposa, per otto secoli centro di cultura e spiritualità, è oggi una delle mete più frequentate dal grande turismo.

"Monasterium IN Italia princeps": ecco la definizione che di Pomposa ci ha lasciato Guido Musico, l'inventore della scrittura musicale, più noto come Guido d'Arezzo. Monaco nell'Abbazia per diversi anni, egli fu testimone diretto del momento di maggior fulgore spirituale e potenza economica di Pomposa, divenuta sotto la guida del Santo Abate Guido, il ravennate, un vero pilastro della civiltà benedettina; non è possibile avvicinarsi oggi alle mutilate ma ancora splendide fabbriche abbaziali senza rimandare la mente a quel magico secolo XI, che si schiude per Pomposa con la dichiarazione di Abbazia imperiale da parte di Ottone III; un secolo denso di storia, dominato dalla presenza di Guido, abate (morto nel 1046) che accresce e risana l'Abbazia sotto ogni aspetto, da quello economico-amministrativo a quello spirituale, a quello architettonico-artistico.

Particolare dei fregi della facciata.A Guido i monaci pomposiani dedicano una profonda e duratura devozione, tanto da raffigurarlo a quasi tre secoli dalla morte, assieme al fondatore dell'Ordine - San Benedetto - negli affreschi del Capitolo e della Deesis del refettorio.
È però soprattutto nella cena miracolosa del refettorio che si perpetua la santità del grande Abate: al pasto frugale a cui Guido invita il Vescovo di Ravenna Gebeardo, tramuta l'acqua in vino; e mentre Gebeardo trasecola, e il suo seguito sussulta, l'abate e i tre monaci che gli sono accanto sono atteggiati alla più grande tranquillità; il miracoloso avvenimento non li stupisce, perché l'Abate è testimone e successore di Cristo.

La santità di Guido è stata per i monaci un riferimento essenziale: per la loro istruzione egli invia a Pomposa San Pier Damiani, che vi rimane due anni, conducendo il rinnovamento religioso del convento. Anche le visite dell'Imperatore Ottone III e la frequentazione di Bonifacio di Canossa, marchese di Toscana, inquadrano la Pomposa di Guido come una delle più alte espressioni benedettine del momento, che proprio in quegli anni veniva rinnovata sostanzialmente anche nel suo aspetto: la riconsacrazione della Chiesa di Santa Maria, nel 1026, suggella il completamento dell'opera di Guido.

 

 

Abbazìa di Pomposa, L'ultima cena, affresco.All'antica basilica del VII-VIII secolo si aggiunge l'atrio dalla volumetria essenziale, ma ricamato dalle più raffinate ed enigmatiche decorazioni che mai si siano potute vedere fino a quel momento sull'area deltizia: secondo recenti studi, questa facciata era, al tempo della sua costruzione, arricchita di colori anche sulle celebri fasce zoomorfe; ma l'attuale tonalità calda del cotto lumeggiato dai geometrismi giallo-rossi, dai bacini multicolori, dagli elementi in pietra, ha insieme quell'equilibrio e quel fascino che non permettono alla fantasia di spingersi oltre.
Le decorazioni, tutte di derivazione orientale, stupiscono per la loro presenza nell'atrio benedettino: ma pure Mazulo, l'architetto, le ha sapute distribuire con grande armonia nella struttura. Mazulo doveva esserne orgoglioso, tanto da lasciare testimonianza di sé nella lapide che chiede ai posteri di pregare per lui.

 

 

L'Abbazia di Pomposa, con il celebre campanile.L'eccezionalità del monumento-Pomposa è lampante all'interno della Chiesa: qui le stratificazioni storiche, che sono la somma di episodi artistici diversi per epoca ma tutti di altissima qualità, sono fusi a formare un insieme sorprendente.
All'impostazione dello spazio basilicale di tipo bizantino-ravennate contribuiscono anche i capitelli, le colonne di spoglio e perfino un mosaico pavimentale provenienti da Ravenna; nella navata centrale il pavimento impreziosisce lo spazio; le pareti, certamente affrescate anche in precedenza, sono state dipinte tra il 1351 e il 1360 da maestri di ambiente bolognese, tra i quali spicca il caposcuola Vitale, direttamente coinvolto nell'abside.
Gli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento e dell'Apocalisse si allineano ordinatamente sulle pareti, il Giudizio Universale sulla controfacciata; nell'abside il Cristo benedicente entro mandorla tra schiere di angeli, santi e sante, gli evangelisti, i dottori della chiesa, le storie di Sant'Eustachio: una vera e propria Biblia Pauperum con tanto di didascalie poste a esplicitare con ancor più forza il significato delle singole scene.

 

 

Particolare della decorazione della facciata. L'arcaismo delle forma - basti notare che in pieno Trecento è qui pressoché annullata la nozione dello spazio all'interno degli episodi narrati - forse testimonia la precisa volontà di richiamo a tempi passati, quelli di maggior intensità spirituale e morale dell'Ordine in genere e di Pomposa in particolare: ultima impresa artistica a Pomposa, questi affreschi vengono eseguiti con un programma iconografico volutamente nostalgico, dettato dai monaci pomposiani che sentono il declino benedettino e vivono la decadenza della loro abbazia.
Nel 1553 i monaci, che al tempo di Guido erano più di cento, decimati dalla malaria e ridotti a poche unità, sono costretti ad abbandonare Pomposa per rifugiarsi a Ferrara. Le strutture, lasciate a se stesse, crollano in buona parte: si perdono così, tra l'altro, il secondo chiostro, intitolato a San Guido, la Torre dell'Abate e la biblioteca, che era stata uno dei tanti gioielli della cultura pomposiana.

Le vicende più disastrose per Pomposa terminano solo all'inizio del nostro secolo, quando viene riscattata dall'oblio e dalle distruzioni con l'acquisto da parte dello Stato, e i pochi resti della struttura benedettina salvaguardati da una provvida campagna di restauri (1920-1930).

La collocazione lungo la strada Romea, antico tracciato che congiunge Ravenna a Venezia, fa oggi i Pomposa uno dei monumenti più visitati d'Italia dai turisti che, anche di passaggio, sono richiamati da lontano dalla maestà del campanile romanico, opera di Deusdedit (1063), che svetta sul paesaggio piatto del delta ferrarese.

Carla di Francesco
Soprintendente ai beni ambientali e architettonici delle provincie di Ravenna, Forlì, Ferrara