In effetti, questo riesame ha determinato una profonda revisione degli stereotipi critici che avevano per molti decenni - a cominciare dalle pagine memorabili del burckhardtiano Kultur der renaissance in Italien (1860) - insistito sulle componenti teoriche della riflessione albertiana e susciterà - ma ne sono certi per primi gli studiosi che l'hanno condotto - non poche polemiche. Soprattutto nell'ordine delle ipotesi restitutive o completative operate con l'uso di strumenti informatici e i tecnologie multimediali, alla ricerca dell'autentico e originario pensiero architettonico di Leon Battista Alberti: a Rimini; a Firenze; a Mantova.
Gli oltre trenta saggi che incorniciano le schede del catalogo offrono - com'è sin troppo facile da intuire - una mole pressoché sterminata di spunti e questioni: fra questi ci preme accompagnare con qualche sottolineatura uno dei nodi cruciali dell'esperienza albertiana, e cioè il soggiorno presso la corte estense di Ferrara. Vale la pena di aggiungere che né la mostra né, malauguratamente, il catalogo riescono a districare del tutto il problema, su cui tuttavia affacciano dei suggerimenti significativi.
Tra Leon Battista Alberti e gli Estensi esiste, anzitutto, una consuetudine d'ordine letterario.
L'umanista aveva dedicato, ancora giovane, la sua commedia pseudoantica Philodoxeos proprio a Leonello; a questa si erano aggiunte le dediche, nel 1441, di un trattatello morale di notevole rilievo, il Theogenius, e quella di un'operetta sul cavallo, De equo animante, che ricordava la partecipazione di Alberti come giudice al concorso per la realizzazione di un monumento equestre al padre di Leonello, Nicolò; e a Meliaduse, abate della vicina Pomposa, erano stati offerti i Ludi matematici.
Tale attiva frequentazione con i signori di Ferrara ha fatto più volte avanzare l'ipotesi di una sua concreta partecipazione nel progetto dell'arco noto come Volta del Cavallo e del campanile della cattedrale che, al di là di un'autografia certo non indubitabile e documentata, ma anzi sostanzialmente respinta dagli estensori del catalogo, risultano tuttavia all'evidenza per lo meno imbevuti di un forte spirito albertiano.
E che l'architettura albertiana sia stata importante per lo sviluppo successivo della città estense emerge anche da ulteriori circostanze. Anzitutto, si deve forse proprio a Leonello - che aveva richiesto al fiorentino un articolato commento del trattato di Vitruvio, unico testo classico di teoria dell'architettura scampato alla distruzione della civiltà romana - il motivo ispiratore della più famosa opera dell'Alberti, quel De re aedificatoria che per tutto il secolo resterà insuperato punto di riferimento per l'architettura rinascimentale. Il commento non fu redatto e, morto Leonello nel 1450, fu il pontefice Nicolò V a divenire il destinatario della densissima riflessione.
Tuttavia, l'interesse degli Estensi per tale trattato - che, nella sua divulgazione manoscritta acquisisce subito fama e autorità nelle corti signorili italiane - non si spense; tant'è vero che abbiamo notizia di come Ercole si sia affannato in più occasioni per recuperarne una copia. L'8 marzo 1484 egli dava incarico al suo ambasciatore a Firenze di cercare uno dei manoscritti, a qualsiasi prezzo; non reperendone alcuno, gli ordinava di insistere presso Lorenzo il Magnifico per avere in prestito il prezioso esemplare (forse di mano dello stesso Alberti) in possesso di quest'ultimo.
Il 29 marzo il manoscritto gli veniva concesso, ma ne era anche sollecitata una pronta restituzione, dato che per il signore di Firenze costituiva una sorta di livre de chevet. Sappiamo che il manoscritto fu fulmineamente ricopiato, dato che già il 18 aprile veniva riconsegnato, impiegando alla bisogna almeno una ventina di frenetici amanuensi. Ne risultò un codice - oggi alla University Library di Chicago - colmo di inesattezze, ma bastante a soddisfare una precisa esigenza della corte ferrarese.
Ci pare - ed è una nostra ipotesi su cui vorremmo presto ritornare - di poterla mettere in puntuale collegamento con le nuove iniziative proposte da Ercole, alla fine della guerra con Venezia, per lo sviluppo urbano della città. In sostanza il duca necessitava del più moderno e innovativo testo di pianificazione urbana per dare vita a quel rivoluzionario assetto - successivamente condotto a termine da Biagio Rossetti - che da allora conosciamo con il nome di Addizione.