La mirabile mostra milanese Le Muse e il Principe. Arte di corte nel Rinascimento padano, curata nel 1991 da Alessandra Mortola Molfino e Mauro Natale, ha contribuito in modo determinante a riproporre all'attenzione degli studiosi e degli amanti del bello, fra gli altri spunti, quello straordinario prodigio dell'arte rinascimentale che fu la miniatura ferrarese ai tempi di Lionello e di Borso d'Este.
Si può ascrivere alla fertilità di quella mostra lo stimolo a riconsiderare in modo mirato il tema della miniatura alla corte degli Este, prendendo le mosse dal contributo fondamentale di Hermann Julius Hermann.
Puntualmente, partendo proprio dal testo di Hermann nella efficace traduzione di Giovanna Valenzano, l'Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, assieme alla Fondazione della Cassa di Risparmio, si è fatto carico di questo impegno scientifico, aprendo una nuova collana di saggi relativi alla miniatura ferrarese nell'ambito dell'attività condotta dall'Archivio della Miniatura dell'Istituto stesso, scientificamente diretta da Giordana Mariani Canova e Ranieri Varese.
Il saggio di Hermann venne pubblicato a Vienna nel 1900 nell'ambito della "Scuola di Vienna", che tra fine Ottocento e inizio Novecento impresse una vera e propria svolta evolutiva alla critica estetica e dell'arte in Europa grazie all'apporto di intelletti di particolare intuito e di raffinata capacità speculativa, quali Franz Wickhoff e i suoi allievi Julius von Schlosser e, appunto, Hermann.
È rilevante ricordare che tale "scuola" può vantare il non trascurabile merito di aver teorizzato e applicato un metodo di approccio all'opera d'arte rigorosamente filologico, fondato sullo studio severo, diretto e analitico dell'opera e, al tempo stesso, dedicando notevole impegno all'esame e ai valori dello stile come espressione di abilità e padronanza tecnica.
Da tali premesse non poteva non conseguire un particolare interesse, da parte di quel gruppo di studiosi, soprattutto per l'arte del Rinascimento italiano, massima espressione di perfezione stilistica; e, non di meno, un'attenta considerazione della grande dignità di quelle che tradizionalmente venivano definite impropriamente "arti minori", contestualizzate, come le "maggiori", nella cultura e nel gusto della committenza e studiate nella loro evoluzione in rapporto alla trasformazione di questi.
Di qui l'attenzione precipua di Hermann alla miniatura e, in particolare, alla miniatura di casa d'Este, data la nutrita presenza presso le collezioni di Vienna di codici prodotti nell'ambito della corte ferrarese o a essa dedicati, e considerando pure il legame dinastico che la casa d'Austria non dimenticava di avere con gli Estensi.
Di grande interesse è il saggio introduttivo di Giordana Mariani Canova al testo di Hermann. In esso, la prefatrice ricorda, fra l'altro, come l'opera costituisca il primo ampio saggio in cui si focalizzi monograficamente una sola scuola miniatoria, inquadrandone le logiche di sviluppo nella specifica situazione artistico-culturale e ricostruendone le vicende attraverso l'analisi delle opere, della formazione degli artisti e dei committenti, come si diceva, con il supporto di una rigorosa e ricchissima documentazione d'archivio.
Per parte sua, Mariani Canova integra le considerazioni di Hermann con circostanziate valutazioni maturate alla luce dell'evoluzione dei contributi storico-critici a lui cronologicamente successivi e dell'individuazione di testimonianze miniatorie a lui sconosciute.
Importante è il lavoro di Hermann circa la periodizzazione della miniatura estense. Dopo un primo nebuloso esordio, essa assume i connotati di vera arte al tempo di Niccolò III, mentre la sua età dell'oro coincide con il periodo di massimo splendore della corte estense all'epoca di Lionello, di Borso e di Ercole I.
Particolare intuito dimostra l'autore nel rilevare come l'arte miniatoria, pur registrando la specificità del gusto di ciascuno di tali principi, riesca a proporre e a difendere una sua linea di continuità, e a individuare il proprio filo di congruenza in quella nobiltà formale arricchita da emotività che, a ben osservare, è in effetti riscontrabile in tutti gli esempi migliori della miniatura ferrarese.
Non è inutile rilevare inoltre come la sensibilità culturale di Hermann lo induca a rapportare lo slancio assunto dall'arte miniatoria di corte con lo sviluppo via via impresso dai principi d'Este alla loro biblioteca, proprio a partire da Niccolò III. E a tale proposito egli non lesina spazio e notizie. Così come, parallelamente, individua in Guarino Veronese, chiamato da Niccolo come precettore del figlio Lionello, un ulteriore vitale apporto alla crescita intellettuale e uno stimolo all'evoluzione del gusto nell'ambiente di corte e nella città tutta, dal quale anche l'arte miniatoria assume nuova linfa.
Dei preziosi codici appartenuti a Lionello oggi individuati e riconosciuti, nonché consultabili presso le attuali sedi di conservazione, Hermann non ne conosceva alcuno; l'unica documentazione a lui nota relativa a tali libri era quella d'archivio. Tanto più apprezzabili risultano dunque le sue deduzioni circa la portata innovativa e la qualità della miniatura presso la corte del dotto e raffinato marchese.
L'avvento della stampa e l'attivazione della prima tipografia a Ferrara nel 1471, nonché l'affermarsi di nuovi interessi poetici e letterari e di una diversa sensibilità alla corte estense, contribuirono non poco all'evoluzione del gusto per il libro miniato, con il superamento del modello che era stato tanto caro a Borso.
L'epoca di Èrcole I, che pure produce splendide opere miniate (si pensi al Breviario del duca, ora alla Biblioteca Estense di Modena), assiste dunque al cambio della guardia tra gli artisti attivi in questo settore: si determinano diversi orientamenti del gusto, soprattutto grazie allo stretto contatto con la corte di Milano (Alfonso d'Este sposa Anna Sforza, Beatrice d'Este sposa Ludovico il Moro); emergono nuovi miniatori, mentre i vecchi, già attivi per la corte, partono da Ferrara in cerca di altre committenze.
Rimane invece ancora intensa e vivace l'attività decorativa dei manoscritti destinati a istituzioni e comunità religiose (Cattedrale, Certosa, Monastero di San Giorgio in particolare), più intima e sobria, e produce altre meraviglie della grande stagione ferrarese.
Il lento ma ineluttabile declino della miniatura estense inizia fatalmente alcuni decenni prima di quello dinastico: gli ultimi capolavori sono l'Officio di Alfonso I, ora al Museo Calouste Gulbenkian di Lisbona, ma le cui miniature a piena pagina - asportate fra il 1859 e il 1900 - sono alla Strossmajerova Galerija di Zagabria, e il Messale del cardinale Ippolito I, ora alla Biblioteca Universitaria di Innsbruck.
A chiosa delle proprie considerazioni, Hermann ripropone il ruolo sostanziale e primario del mecenatismo di corte nello sviluppo della miniatura ferrarese rispetto ad altre realtà rinascimentali, Firenze in primis, presso le quali invece differenziata e molteplice era stata la committenza.
Di grande utilità per lo studioso, ma anche per il curioso, risulta l'appendice di corredo con i profili biografici dei miniatori attivi all'epoca di Lionello e Borso d'Este, non presente nell'edizione originale del testo e curata da Federica Toniolo. Ciascun profilo fa il punto sulle attuali conoscenze circa gli artisti e costituisce un opportuno aggiornamento delle notizie e della bibliografia riportate da Hermann. Così pure opportunamente aggiornata nella bibliografia e nelle fonti viene diligentemente trascritta l'appendice di documenti già presente in Hermann.
Come in ogni caso simile, è preziosa la ricca bibliografia finale in ordine cronologico, con segnalazioni che partono dal 1556: essa viene a dare corpo a un vero e proprio repertorio bibliografico completo di questa area tematica. Non si può, da ultimo, omettere un cenno all'apparato iconografico del volume - che richiederebbe ben più circostanziata considerazione - connotato da un proprio logico percorso, coerente con il testo, di cui costituisce insostituibile integrazione.
Splendidi i due sedicesimi a colori con illustrazioni a piena pagina, grazie ai quali è possibile smarrirsi a proprio piacimento nel vortice dei "girari" e degli altri motivi ornamentali ricorrenti nella miniatura ferrarese, godendo della perfezione anche dei minimi dettagli, che i sapienti ingrandimenti consentono di apprezzare più agevolmente che negli originali dalle dimensioni ridotte.
Assieme al testo di Hermann, reso facilmente accessibile nella traduzione italiana, il volume ci restituisce la visione storico-critica e iconografica finora più ricca e completa di uno dei momenti di maggiore intensità e di particolare stimolo della nostra cultura, riproponendolo nell'attuale frangente storico in cui, per contrastare i crescenti indizi di una diffusa grossolana volgarità, è quanto mai opportuno recuperare e promuovere una seria educazione del gusto, stimolando una più rigorosa riflessione su ciò che è veramente bello.