La nuova azienda rappresenterà infatti un banco di prova per verificare la possibilità di attivare analoghe iniziative, non solo d'intesa con la Berco, ma anche con altre grandi imprese (o anche in assoluta autonomia, come è già accaduto tante e tante volte in aree abbastanza vicine).
La nuova fabbrica vede la luce dopo anni di incontri, riunioni e discussioni: tutti confronti a senso unico (e anche monotoni, con il tempo). Da una parte le istituzioni e le associazioni d'impresa che chiedono un "coinvolgimento territoriale" della Berco; dall'altra la fabbrica che dichiara disponibilità a considerare proposte compatibili con gli obiettivi e gli interessi aziendali. Impegno e buona volontà non bastano per stimolare la voglia d'impresa o per migliorare la situazione occupazionale.
La Berco accetta l'idea di realizzare una parte della produzione all'esterno dello stabilimento, ma è costretta a rivolgersi ad aziende oltre il Po e il Reno. Insomma: col tempo gli incontri hanno rischiato di produrre soltanto chiacchiere. L'unico fatto positivo è rappresentato da una circostanza: nella dimensione, nella forte ripresa produttiva e nel rinnovato successo della Berco c'è un'implicita "responsabilità" a trovare una soluzione. E la soluzione è arrivata con la proposta dell'amministratore delegato della grande impresa, Gianni Bertoni.
Ognuno ha fatto (e continuerà a fare) la sua parte: il Comune, la Berco e 15 lavoratori che si costituiranno in società. Si è puntato sui giovani e quindi sulla continuità dell'iniziativa: proprio per questo si sono create tutte le condizioni per far decollare il progetto senza i rischi normalmente legati alla costituzione di una nuova impresa.
Il Comune si è impegnato a costruire il capannone (attraverso un mutuo venticinquennale che sarà rimborsato dalla nuova società); si è impegnato anche a fornire tutta l'assistenza necessaria per superare le difficoltà burocratiche e amministrative che si registrano nella fase di avvio di un'attività industriale (da quelle tecnico-urbanistiche a quelle sanitarie e ambientali). L'impegno della Berco parte dalla formazione dei lavoratori-proprietari e diventa essenziale nelle fasi successive: la fornitura di macchine e attrezzature (una sorta di prestito d'uso) e l'accordo produttivo.
Alla nuova fabbrica viene riservata un'adeguata attività nella metalmeccanica tradizionale, con uno spazio specifico per le serie non altissime. Sul piano pratico, il rapporto si concretizzerà in termini abbastanza semplici: da una parte la Berco garantisce la commissione di produzioni già concordate, dall'altra si esegue e si fattura il lavoro (e ci dovrà essere anche un valore aggiunto, quanto meno per consentire alla nuova azienda di pagare il mutuo sul capannone).
Tutto facile, dunque? No, anche se non ci sono rischi concreti.
Stiamo parlando di una nuova impresa, un'iniziativa che ha senso soltanto se sarà in grado di produrre condizioni di lavoro e di reddito stabili e migliori di quelle precedenti. In questo caso, il successo aziendale dipenderà soprattutto dalla possibilità di produrre a costi minori della Berco. Non è un obiettivo utopistico: l'esperienza insegna che la piccola impresa ha un vantaggio sulla grande fabbrica, quello della flessibilità. Con attrezzature appropriate ai volumi di attività, si eliminano le diseconomie che si riscontrano nella grande dimensione, notoriamente più rigida.
L'esigenza di flessibilità è testimoniata anche dalla stessa Berco, che all'inizio di marzo è riuscita a raggiungere l'accordo con il sindacato sul prolungamento del lavoro al sabato. Nella piccola unità produttiva, una questione di questo genere si risolve in qualche ora e non dopo tre mesi di discussioni e di riunioni. Con le sue serie "corte", con la possibilità di passare rapidamente da un prodotto all'altro, la nuova azienda dovrebbe risultare complementare alla grande fabbrica (che potrà così insistere sull'automazione).
L'obiettivo della nuova società che nasce a Copparo non è tanto quello di lavorare di più, quanto piuttosto quello di lavorare diversamente: una circostanza che dovrebbe assicurare quei margini di cui abbiamo accennato. Vista all'estremo, l'iniziativa stimolata e sostenuta dalla Berco è molto interessante. Si tratta infatti di vedere come possa avere successo una nuova piccola impresa industriale in un'area alla quale da sempre si attribuisce una vocazione esclusivamente agricola.
Su questa esperienza saranno dunque puntati gli occhi di molti osservatori. Qualche economista (a partire - forse anche per le origini - da Patrizio Bianchi, direttore del laboratorio di politica internazionale di Nomisma) sta già studiando il progetto, rifinendo con etichette scientifiche un'iniziativa costruita sul campo per far convergere su obiettivi comuni esigenze e interessi apparentemente diversi. Si parla di "incubatoio industriale", di "gemmazione d'impresa", di "spin off", di "progetto pilota".... E a settembre alcuni di questi esperti parteciperanno anche alla cerimonia di cui si è parlato all'inizio, per poter esaminare da vicino il nuovo "modello" di Copparo.
Tutte analisi scontate. Sarà molto importante, invece, l'orgoglio di questi quindici giovani che si apprestano a costruire con le loro mani (come si diceva duemila anni fa) il proprio destino. La piccola fabbrica sarà affidata - al di là delle favorevoli condizioni in cui potranno lavorare - alla loro voglia di fare impresa.