Economia e cultura (I)

Scritto da  Patrizio Bianchi

Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, al Teatro Comunale di Ferrara per la stagione lirica di Ferrara Musica 1995.Il teatro è la tipica espressione di una realtà locale che si sente "capitale".

Cultura ed economia sono strettamente legate tra loro, ben al di là del peso economico che il giro d'affari del settore ci indica.
Fin dall'antichità, cultura ha significato la capacità di comunicare un insieme di valori e di parole di riferimento non solo per le classi dirigenti, ma anche per i ceti emergenti.
Il rapporto tra cultura ed economia varia da paese a paese e può anzi essere assunto come una spia della natura vera di una nazione e dei suoi problemi.


All'interno dell'immenso mondo della cultura, possiamo prendere a esempio il teatro - la prosa, la danza, i concerti, l'opera lirica. L'Italia è caratterizzata da un policentrismo che non ha uguali in nessuna altra parte del mondo, con una frammentazione della produzione che moltiplica i costi e non permette di valorizzare appieno le grandi risorse di cui disponiamo.

Oggi, in Italia ci sono 872 sale teatrali che svolgono una regolare attività. Di queste, 97 sono in Emila Romagna. Una sala ogni 65 mila abitanti sul territorio nazionale; una ogni 40 mila in Emila Romagna.
Un tessuto connettivo ben ramificato, che dimostra la densità dell'articolazione civile di questo paese, e di questa regione in particolare. Il teatro, infatti, è la tipica espressione di una realtà locale che si sente "capitale" e che ha quindi bisogno di creare spazi stabili ed evidenti del consumo culturale. I teatri italiani ed emiliani sono infatti essi stessi monumenti della nostra storia, una storia di frammentazione nazionale ma di grande vitalità locale.

A riprova di questa constatazione, valga l'esempio della Francia dove all'affermazione dell'assolutismo monarchico ha corrisposto un'azione centralizzante nella produzione artistica fin dal momento in cui - ed era il 1672 - Luigi XIV ha fondato l'Académie Royale de Musique per produrre e distribuire in esclusiva la "vera" opera nazionale. La centralizzazione politica ha implicato una forte omogeneizzazione culturale, ma anche un impoverimento produttivo in tutte le realtà periferiche, che ancora oggi sono culturalmente provincia di una Parigi che è unica vera capitale della cultura francese.

In Italia, no. Mille teatri per mille città che vogliono rivendicare una propria identità e autonomia. Non di meno, questa autonomia è stata pagata con una larga dipendenza dal bilancio pubblico e con una dispersione produttiva che ancora oggi fa sì che spettacoli anche di rilievo rimangano confinati a un circuito che comunque resta locale. Torniamo all'esempio emiliano. Nel 1993 il settore ha avuto un volume di attività di circa 172 miliardi. Di questi, circa 100 sono stati finanziamenti pubblici statali, regionali e locali; 42 miliardi sono stati spesi dal pubblico che ha assistito agli spettacoli; 16 miliardi sono i proventi ottenuti in tournée in Italia e all'estero; e 15 miliardi sono sponsorizzazioni ed entrate aggiuntive.

 

Il Teatro Comunale di Ferrara.I teatri sono di proprietà pubblica all'88% e il restante 12% di proprietà privata è usualmente dato in affitto. Le entrate derivate dalla vendita dei biglietti sono circa un quarto del totale e ciò in parte si spiega con la dimensione delle sale che, pur avendo in molti casi un grande valore storico, hanno una capienza media limitata a 470 posti. In Emila Romagna ci sono un Ente Autonomo (Bologna), sei teatri di tradizione (Parma, Piacenza, Modena, Reggio, Ferrara e Ravenna), altre novanta sale, un centro di produzione pubblico e due centri privati di produzione di prosa, cinque centri di produzione di prosa per ragazzi e un centro di ricerca.
Se si calcola che tutto questo fa riferimento a una popolazione di 4 milioni di abitanti, risulta evidente che ci si trova di fronte a una dotazione teatrale che non ha uguali in alcuna parte del mondo. Certamente non in Francia o in Inghilterra, ma neppure in Germania si può riscontrare una tale eccezionaiità di dotazione di strutture teatrali.

Ma il confronto non regge neppure se mettiamo in paragone questa dotazione teatrale con quella delle grandi capitali europee: Londra e Parigi, con popolazioni che nell'area metropolitana raggiungono tre volte l'intera popolazione emiliana, non hanno nel loro insieme il numero di sale, in particolare di sale dedicate all'opera e al balletto, che si registrano in questa regione.
I teatri diventano così una sorta di metafora del nostro paese: un paese di mille città, ognuna capitale di se stessa, che ci ha lasciato un patrimonio culturale ineguagliabile ma disperso, asserragliato nei confini locali, geloso di se stesso e a volte incapace di aggregarsi e costituire quella massa critica necessaria per diventare protagonista internazionale. Per tornare al nostro esempio: sul palcoscenico regionale sono stati presentati nel 1993 diciassette opere, per un totale di 117 recite; di queste, 16 sono state prodotte localmente (111 rappresentazioni) e una è stata importata (6 rappresentazioni); quattro spettacoli sono stati frutto di coproduzioni locali e uno di coproduzione internazionale.

 

Una scena della recente rappresentazione del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini Vi è dunque una eccezionale capacità di organizzazione, ma questa rimane largamente confinata a livello locale, spesso sovrapponendosi con altri centri produttivi italiani. Non c'è dubbio che, in una situazione come quella italiana, una certa ridondanza sia motivo di stimolo competitivo, cosicché il vedere, nello stesso periodo, un Barbiere di Siviglia in scena a Ferrara e a Venezia è un'occasione di confronto; nondimeno, ciò avviene largamente a carico del bilancio pubblico e, perciò, diviene necessario interrogarsi sulla possibilità di ampliare la fruizione di un tale bene, di porlo a carico effettivamente di chi ne usufruisce.
Per la prosa, del resto, in Emilia Romagna sono stati offerti quasi 500 titoli diversi; di questi, però, solo l'1% si è fermato in regione per più di 30 repliche e, all'opposto, quasi la metà non sosta per più di una o due serate in regione.

Questo tipo di considerazione potrebbe facilmente essere esteso alle biblioteche, alle case editrici, alla ricerca universitaria, alle altre cento facce dell'industria culturale. In Italia, e specialmente in Emilia Romagna, abbiamo una tale ricchezza di realtà, da trasformare il paese in uno scrigno di eccezionali opportunità culturali, che però i cittadini delle singole città non sembrano voler cogliere in tutta la sua rilevanza, essendo questo un fatto quasi ovvio, una sorta di naturale condizione che viene assunta come un dato.

Peraltro, tale condizione, proprio perché ritenuta ovviamente locale, rischia di rimanere confinata in un ambito che ormai non ha dimensione sufficiente per poterlo sostenere, se non a carico dell'intera collettività.

La via alternativa non è certo il taglio di queste attività, né la ricerca di soluzioni miste, nelle quali si innalzano i prezzi dei biglietti al punto da ridurre notevolmente le possibilità di accesso alla cultura a vasti strati della popolazione, pur senza riuscire a coprire per intero i costi e dovendo così ricorrere nuovamente a un sussidio pubblico che si configurerebbe come sussidio al lusso.
La via alternativa sta nel considerare l'intera offerta dei teatri locali come un palcoscenico regionale in grado di predisporre una varietà di spettacoli rivolti a pubblici diversi: non solo a un pubblico locale, o nazionale, ma anche a quello internazionale che ritrova in questa regione, come a Londra, Parigi, Salisburgo, Avignone, eventi culturali straordinari.

Tuttavia, è necessario sottolineare come questi "grandi eventi" divengano accettabili solo se riescono a far radicare nelle nostre città le grandi personalità in grado di "fare scuola" e quindi di far crescere l'offerta culturale della regione e, con essa, la società - come è accaduto, per esempio, a Ferrara con il Comitato Ferrara Musica che riesce a raccogliere intorno a sé ogni anno, ormai da molti anni, una nutrita serie di personaggi e di gruppi per rappresentazioni di rilevanza mondiale.

Nel contempo, però, tutto questo potrebbe essere facilitato dalla creazione di situazioni atte a trasformare le nostre diverse realtà locali in un'unica area urbana, con zone abitate e campagne, con realtà autonome ma collegate, con istituzioni culturali distinte - perché nate dalla storia locale - eppure unite in un'unica rete. Trasformare la frammentazione in molteplicità è la via per far crescere questo paese che rischia di essere talmente insensato da disperdere le proprie tradizioni e le proprie speranze in mille rivoli tra loro non convergenti.

(I - continua sul prossimo numero)