I fondi comuni di investimento sono uno dei nuovi strumenti finanziari di maggiore successo e diffusione. La ragione del loro successo risiede nel fatto che costituiscono uno straordinario strumento per la diversificazione del portafoglio. Consentono infatti, anche a un risparmiatore modesto, di impiegare il proprio denaro su una molteplicità di attività (cosa che, prima della nascita dei fondi comuni, era prerogativa esclusiva di chi deteneva patrimoni rilevanti). Nella determinazione di un portafoglio di fondi comuni di investimento mobiliare, il risparmiatore razionale deve tener presenti alcune variabili individuali, in modo da poter formulare, con l'assistenza della banca, le scelte più adatte a soddisfare i propri bisogni.
La prima variabile da valutare è la funzione del risparmio. Si tratta di un investimento temporaneo (per esempio, in attesa di disporre diversamente del denaro) o di una scelta di lungo periodo (volta, per esempio, a costituire un fondo di natura previdenziale)? Nel breve periodo, devono senz'altro essere privilegiate le attività a basso rischio, soprattutto quelle a reddito fisso, mentre nel lungo periodo si potrà optare anche per configurazioni più "spinte" del portafoglio, puntando a temperare il maggior rischio di oscillazione dei valori con una diversificazione più attenta.
Tempi più lunghi = Ventaglio di scelte più ampio
Un altro fattore da tenere in considerazione è la propensione al rischio. Si sostiene da più parti che esista un rapporto diretto tra grado di rischio e redditività; se questo è valido nel breve periodo, è altrettanto vero che tende a non esserlo più nel medio/lungo periodo su mercati maturi. Questo suggerirebbe, dunque, di non considerare più la differenza tra fondo azionario e fondo obbligazionario come determinante in questo senso, quanto piuttosto quella tra mercati maturi e mercati emergenti. Da questo punto di vista, quindi, tanto i fondi obbligazionari, quanto quelli azionari devono essere presenti in maniera strutturale nel portafoglio di ogni risparmiatore, che orienterà la propria scelta mettendo in rapporto la propria propensione al rischio con il contenuto e la vocazione del fondo.
Più propensione al rischio = Maggiore vocazione ai mercati emergenti.
Da prendere in considerazione è anche la competenza specifica in campo finanziario. Questo elemento deve condizionare il livello di delega attribuito al gestore, quindi il grado di specializzazione dei fondi scelti. Solo un livello di competenza medio alto consente infatti di limitare la delega, orientando i propri investimenti su mercati specifici. Quando poi la delega dovesse porre limiti settoriali, oltre a quelli geografici, il livello di competenza necessario dovrà essere ancora più elevato.
Più competenza = Più specializzazione.
In ultima istanza, la consistenza del patrimonio, costituendo un limite alla possibilità di diversificazione, vincola a sua volta il livello di delega. Chi dispone di un patrimonio di modesta portata dovrà affidarsi a pochi prodotti a bassa specializzazione e di basso livello di sofisticazione. Solo con il crescere delle disponibilità è possibile operare una politica di diversificazione più spinta, usufruendo di molti prodotti specializzati e sofisticati.
Più disponibilità = Più prodotti specializzati.
Passando ora dalla scelta della tipologia alla scelta di prodotto, credo che esista oggi la perniciosa tendenza, da parte del risparmiatore, a fondare le proprie scelte su elementi quali la performance di breve periodo e l'immagine del marchio. Bisogna assolutamente ricordare che il rendimento dell'ultimo periodo non è un indice della qualità delle scelte effettuate dal gestore, né una garanzia di uguali rendimenti per il futuro. Inoltre, in un'ottica di medio periodo, non bisogna tanto puntare all'eccezionalità della performance, quanto all'analisi delle politiche di impiego seguite dal fondo, che sono l'unico vero parametro sul quale fondare una scelta matura.
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