Ebbene, viaggiando lungo la rotabile invasa di macchine e autotreni, s'incontrano paesi che danno il senso di un tempo antico, nei quali il ritmo di vita è ancora dolce, i sentimenti resistono alla dilagante ondata dell'erotismo e l'amicizia è ritenuta un bene da non lasciare da parte in un angolo. Uno dei luoghi più curiosi e stravaganti, accucciato sotto il fiume che ogni tanto si arrabbia e provoca disastri, è senza dubbio Garofalo, che deve la sua notorietà a un grande pittore: Benvenuto Tisi.
A dire il vero, i documenti attestano senza alcuna possibilità di smentita che l'artista è nato a Ferrara nell'anno di grazia 1481 - durante il periodo in cui nel cielo del Ducato splendeva la cometa di Ercole I, che aveva chiamato Biagio Rossetti a dare un nuovo volto alla città - ma in terra polesana, e in particolare a Garofalo, il fatto che la sua famiglia venisse da lì ha sempre indotto a ritenere il pittore un proprio figlio "lontano da casa". Non per niente, qualche studioso locale, innamorato della cosiddetta ombra del campanile, volendo attenuare il legame di Benvenuto con gli artisti operanti a Ferrara, ama insistere tuttora sulla stretta amicizia con il Giorgione.
Una tesi che del resto ha attratto pure il grande Longhi, che nella sua famosa Officina Ferrarese suggerì la necessità critica di riesaminare gli anni giovanili del Garofalo e, nello stesso tempo, di acclarare la portata delle suggestioni a raffica dello "Zorzi di Castelfranco" su una serie di opere che, a suo avviso, del laborioso Benvenuto rappresentavano forse i momenti espressivi più felici. O, per lo meno, un risultato di alta qualità, intorno al quale - per la verità - le nuove leve degli studiosi si sono mosse con attenta sollecitudine.
Accennato al "parente", come diceva il Ruzante, di Benvenuto Tisi, ovvero sia alle radici della sua famiglia, c'è da precisare che in quel di Garofalo hanno sempre ritenuto il grande Benvenuto uno di casa, ignorando il particolare della nascita, il debito con Domenico Fanetti e la sua vita all'ombra della casa d'Este. E più ancora certe revisioni degli esegeti che a partire dal Burckhardt - e più tardi dal Venturi - hanno tirato fuori la carta dal mazzo degli eletti comprendente Mazzolino, Ortolano e il Dosso. Insomma, al paese degli avi nessuno ha prestato orecchio alla definizione di «ritardatario di provincia in vesti di personaggio di moda», chiuso in un suo mondo aperto soltanto a certi richiami di natura religiosa e contadina.
Sotto la "banca" del fiume è invece rimasto sempre un grandissimo, degno di stare nella scia del suo amato Giorgione, per cui da almeno un secolo a questa parte fra chiesa e osteria si è continuato a parlare del figlio illustre e della necessità di salvare almeno la sua casa.
Un problema divenuto col trascorrere del tempo sempre più assillante, poiché già all'epoca del cavalier Benito un camerata autorevole aveva deciso che ne andava del buon nome polesano, per cui si era addivenuti a un accordo con i Beghi, padroni della casa, e il comune di Canaro: in cambio di un fienile, la casa dei Tisi sarebbe divenuta un bene pubblico. Sulle ali dell'entusiasmo, in data 1933, l'Accademia dei Concordi di Rovigo ha provveduto a proprie spese a far restaurare - nel tranquillo viale che porta al cimitero e, più avanti, alla ferrovia - e sistemare il piccolo edificio dall'aria dimessa e povera. Il risultato è stato quasi miracoloso perché tra muratori e floricoltori ne avevano fatto una "chicca" per esteti in vena di passeggiate.
Disgraziatamente, quelli del comune di allora si sono scordati di far registrare la cosiddetta permuta - o scambio che dir si voglia - per cui, dopo la guerra ultima e perduta, il giorno in cui i soliti zelanti si sono ricordati della casa di Benvenuto Tisi, il problema legale è divenuto un ostacolo insormontabile. Prova ne sia che, nonostante le riunioni, i dibatti et similia, la casa del Garofalo è sempre rimasta in stato di abbandono. A vederla, una pena dell'animo.
Come possa accadere che nessuno al municipio di Canaro abbia frugato nei vecchi archivi alla cerca di una soluzione che lascia in pena solo il parroco di Garofalo, monsignor Bernardino Merlo - giornalista, oratore e, soprattutto, direttore della Biblioteca del Seminario di Rovigo, da lui riportata a nuova vita - è difficile capire.
Stando alle voci l'immobile dovrebbe figurare «segnato d'ipoteca», e certe imposte pagate dall'Accademia dei Concordi, però tutto questo non ha impedito che nel frattempo la casa del Garofalo, la stalla e altre stanze, nonché il brolo ormai in abbandono, siano state acquistate da nuovi "paroni".
Morale della favola, è tempo di restituire al Garofalo la sua casa avita e, magari, di farne un piccolo museo per la razza degli appassionati d'arte - assai più numerosi di quanto lo scetticismo italico non insinui. Esaurito il capitolo della magione, volendo soddisfare il gusto del particolare inedito, non sarà male aggiungere un piccolo episodio risalente agli anni trionfanti del Duce, chiamato da Balbo (uomo di fierezza indomita) semplicemente Mussolini. Il Guf di Rovigo aveva ottenuto un alto punteggio ai Littoriali, ricevendo un invito a presentarsi nella capitale a palazzo Venezia.
Guidava la comitiva Anteo Zamboni il quale, dopo aver esposto il programma, ha spiegato in stato di visibile emozione che intenzione della dirigenza era organizzare entro l'anno a venire una mostra su Benvenuto Tisi, meglio noto come il Garofalo.
All'udire la nuova di una mostra d'arte, il Caporale d'onore della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale si è inarcato all'indietro e con tono imperioso ha domandato: «È già iscritto al Partito?»
Stando alle confessioni dei presenti, nessuno ha avuto il coraggio di svelare l'arcano: un «Sì» scandito coralmente avrebbe chiuso l'intervento di Anteo Zamboni, che ha dato poi prova di grande umanità, durante la stagione turbolenta di Salò.