Antichi splendori e trascorse miserie di un luogo di delizia

Scritto da  Anna Maria Visser Travagli

Uno scorcio della Loggia degli Aranci della Palazzina di Marfisa d'Este.La difficile storia della Palazzina Marfisa.

In fondo a corso Giovecca - poco prima del settecentesco arco trionfale, voluto da papa Clemente XI, che chiude la strada - si eleva la Palazzina di Marfisa d'Este: costruzione nobile e armoniosa, scandita da un ritmo architettonico misurato e contenuto.
Venne fatta costruire alla metà del XVI secolo da Francesco I d'Este, terzogenito di Alfonso I e Lucrezia Borgia, affacciata sulla "via maestosa" - la Giovecca, di recente costruzione, ricavata colmando il fossato delle vecchie mura medievali - dove seguendo una tradizione urbanistica consolidata, gli Estensi incentivarono la costruzione di edifici prestigiosi.
Una serie di modeste case preesistenti fu acquistata di fronte alla chiesa di San Silvestro; in parte queste furono riadattate e in parte demolite per costruire la Palazzina, fulcro nobile della residenza, con le caratteristiche di una costruzione di svago e chiamata in origine i "casini di San Silvestro".


L'intervento architettonico mirabile e aggiornato fu parte, sempre nella migliore tradizione estense, di un grande disegno urbano arditamente concepito da Francesco d'Este. Proprietario di Palazzo Schifanoia, che era la sua residenza su via Scandiana, con la costruzione della Palazzina su via Giovecca, il successivo acquisto di Palazzo Neroni (poi Bonaccossi) su via Cisterna del Follo e l'integrazione dei giardini e degli spazi verdi con percorsi, logge e piantamenti, venne definendo con un'organizzazione razionale tutto il settore sud-orientale della città, ancora in larga misura marginale e inedificato.

Oggi vediamo la Palazzina isolata dopo le dolorose demolizioni di fine Ottocento, gran parte del  giardino è stato occupato negli anni Trenta dai campi da tennis del Tennis Club Marfisa e il giardino di Schifanoia è stato pressoché cancellato dagli edifici della Caserma, costruiti agli inizi del Novecento; è difficile dunque riconoscere questo straordinario disegno, inserito come un intervento di grande qualità all'interno di una città-giardino, quale divenne la Ferrara estense nel corso del Cinquecento.

L'imminente restauro di Palazzo Bonaccossi e la riapertura del passaggio attraverso la Loggia del Cenacolo, che costituiva il fondale architettonico dell giardino di Marfisa verso la Palazzina, potrà restituirci, anche se non compiutamente, la qualità degli spazi architettonici e il senso dell'intera sistemazione che equilibrava in modo mirabile aree verdi e volumi costruiti.

 

La facciata della Palazzina su Corso Giovecca.La Palazzina era ed è il vero "gioiello" di questo sistema; concepita planimetricamente come la nobilitazione dello schema tradizionale della casa ferrarese, con il grande androne passante al centro, che termina nella loggetta tripartita aperta sul giardino, che traguarda con un "cannocchiale" prospettico l'opposta Loggia del Cenacolo; ai due lati sono le sale d'abitazione con i relativi vani di servizio.
La volumetria degli ambienti, con i soffitti a volta gioiosamente decorati "a grottesche", qualifica l'intera costruzione, senza renderla aulica e schiacciante, anzi la dimora ha la misura e la dimensione della residenza privata, dove si respira un atmosfera intima e  quasi famigliare.

La tradizione ha poi identificato la Palazzina con Marfisa, la figlia maggiore di Francesco, ritratta in sembianze infantili - assieme alla sorellina Bradamante - entro medaglioni sovraporta affrescati nella loggetta, chiamata appunto dei Ritratti, che è rivolta verso il giardino; recano nelle mani dei fiori, evocando giochi infantili nei giardini della residenza.

A Marfisa questa casa fu molto cara, ne diventò proprietaria per eredità paterna e vi abitò ininterrottamente fino alla morte, avvenuta nel 1608, quando ormai già da dieci anni gli Estensi erano stati costretti a lasciare Ferrara e ai duchi era subentrato il potere papale, che fece della città non più una splendida capitale, ma una legazione di frontiera del vasto Stato della Chiesa.
Marfisa non volle seguire il duca Cesare d'Este e la corte a Modena, ma rimase a Ferrara appartata e discreta nella sua dimora, amata e rispettata dal popolo ferrarese. Fu una delle grandi donne estensi, bellissima e dal carattere fiero e indipendente, quasi incarnando attraverso il nome, Marfisa, che il padre le aveva dato in omaggio all'eroina dei poemi cavallereschi di Boiardo e dell'Ariosto e poi più tardi del Tasso, l'anima guerriera e indomita del personaggio letterario.

Marfisa deriva da un mito e diventa essa stessa un mito, con versioni diverse, che cambiano nel tempo fino a trasformarla nel tardo Ottocento e nel primo Novecento, senza alcun fondamento storico, in un'amante terribile, assetata di sangue; secondo una leggenda popolare, il suo fantasma ogni notte usciva dalla Palazzina su un cocchio fiammeggiante seguito da un corteo di ombre, gli amanti, uccisi da lei nei pozzi a rasoio e nei trabocchetti della sua casa; la tremenda visione svaniva alle prime luci dell'alba.

«...Chi furono questi morti, quegli scheletri vestiti d'abiti di velluto e di seta, e con le spade d'argento? La leggenda non dice e il popolo non sa. Furono giovani ardenti e assetati di voluttà, attratti da una bellezza ineffabile che diedero la vita per un'ora d'amore e per un bacio solo.
E la donna? Fu bellissima e bionda ed ebbe nome Marfisa. La leggenda non dice altro che innamorava e faceva morire...».

 

L'ingresso alla Sala Grande.Con queste parole Nino Barbantini nel 1905 descrive la leggenda di Marfisa in questa occasione e in altre con uno scopo preciso: promuovere il recupero della Palazzina deturpata dal degrado. Infatti quando più visibile e "dolorosa"  diventa la decadenza dell'edificio, più si consolida questa leggenda truce e dalle tinte fosche, che esprime in qualche misura l'identificazione popolare con il monumento e il desiderio di una sua "redenzione". La decadenza era iniziata, si può dire, subito dopo la morte di Marfisa; gli eredi Cybo di Massa e Carrara, avendo Marfisa sposato in seconde nozze Alderano Cybo, non abitarono la palazzina e vi insediarono, fino al 1756, un amministratore che provvedeva alla manutenzione.

Dopo iniziarono le affittanze e le vendite, con vari passaggi di proprietà, finché nel 1861 fu acquistata dal Comune, che intendeva farne la sede della scuola di ingegneria idraulica; la scuola non si fece e nella Palazzina disabitata si installarono i "senza tetto". Gravissimi furono i danni ai soffitti decorati; verso il 1890 un fabbro aveva impiantato la sua fabbrica nelle sale nobili, il fumo annerì le tempere del soffitto della Sala dei Banchetti e un principio d'incendio distrusse la volta della Sala di Fetonte. È il momento più cupo della storia della Palazzina.

Nel 1643 era già stato venduto ai conti Bonaccossi il palazzo in fondo al giardino e le case attigue alla Palazzina erano state affittate a famiglie di modesta condizione; anche la Loggia degli Aranci fu affittata e utilizzata di volta in volta come laboratorio, magazzino per foraggi, fonderia, fabbrica di sapone.
Alla fine dell'Ottocento il degrado giunse a un punto tale che il Comune ordinò lo sgombero dei locali pericolanti e ne deliberò la demolizione, escludendo - oltre alla Palazzina - la Loggia degli Aranci per il suo valore artistico.

Pochi "spiriti eletti" concepirono il disegno di un recupero integrale della Palazzina di Marfisa e se ne fecero promotori. Primo fra tutti Giuseppe Agnelli, la più importante figura di intellettuale e studioso ferrarese del tempo: direttore della Biblioteca Comunale Ariostea, presidente della Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia Patria, ispettore onorario del Ministero per le Antichità e le Belle Arti. Dopo esser riuscito a far restaurare gli affreschi del Salone dei Mesi di Schifanoia e a trasformare il palazzo in museo, impegnò le sue energie per la Palazzina di Marfisa. Nel 1906 fondò l'associazione Ferrariae Decus, società per la tutela dei monumenti storici e d'arte, con il deliberato intento di convogliare i finanziamenti degli enti cittadini e le sottoscrizioni dei soci su progetti mirati di restauro e di recupero.

Nel 1909 Agnelli ottiene dal Comune in consegna la palazzina come sede della Ferrariae Decus e inizia i restauri, con essenziali lavori strutturali per la sicurezza dell'immobile. Riesce anche ad avviare il restauro delle volte decorate ed è quasi commovente leggere le sue relazioni alla Società, quando descrive la riscoperta, sotto ragnatele e vari strati di polvere, dei ritratti di Marfisa e Bradamante bambine.

Dalle sapienti ripuliture di Giuseppe Mazzolani e di Enrico Giberti riemergono le aeree composizioni "a grottesche" della Sala Grande, gli splendidi vasi colmi di fiori, sotto un verde pergolato sorretto da cariatidi, della Sala del Camino, la fantasmagoria mitologica, ricca di amorini, fauni e baccanti della Sala delle Imprese. Le parti mancanti vengono integrate in modo mimetico, riproducendo i moduli decorativi degli originali, opera della bottega dei Filippi, con interventi diretti di Sebastiano, detto il Bastianino, il grande caposcuola della pittura ferrarese del Cinquecento.

Tutto viene però bruscamente interrotto dalla Grande Guerra e, dopo il 1918, Agnelli fatica a trovare fondi per la Palazzina e i lavori ristagnano. Anzi, con suo rammarico, l'area del giardino già occupata da una società di ginnastica viene trasformata nel 1930 in circolo del tennis.

 

Un dettaglio degli affreschio della Sala Grande.Solo il sodalizio fra Agnelli e il  senatore Pietro Niccolini, nominato presidente della Cassa di Risparmio, permette di risolvere la situazione. Il Niccolini, uomo colto e sensibile, fu il sindaco che deliberò nel 1898 la costituzione del Museo Schifanoia, divenendone poi direttore; eletto deputato al parlamento e poi nominato senatore del regno ormai al termine della sua carriera politica, con gesto da vero mecenate, per celebrare il centenario della Cassa di Risparmio nel 1938 decide di far restaurare la Palazzina e di acquistarne l'arredo interno. Affida il coordinamento dei lavori e la responsabilità della sistemazione a Nino Barbantini, che giovane si era battuto per la "causa" di Marfisa. Barbantini nella sua carriera aveva assunto prestigiosi incarichi nei musei veneziani e aveva realizzato numerose importanti mostre e allestimenti museali.

Torna a Ferrara e con guida sapiente fa restaurare la Palazzina nel gusto del ripristino ambientale, condotto però con grande equilibrio e intelligenza, senza forzature e falsificazioni.
Una volta compiuti i restauri, acquista mobili e arredi cinquecenteschi di notevole pregio per restituire alle sale l'atmosfera dell'epoca estense, secondo i dettami dello storicismo.
L'effetto finale di questa rievocazione è di grande suggestione ed esprime la raffinata cultura del curatore; tutto l'insieme è di tale organicità e coerenza da lasciare ammirati e la Palazzina di Marfisa si può annoverare fra le più riuscite e le più importanti, anche se tardive, realizzazioni museali ispirate alla corrente dello storicismo.

La storia di "Marfisa" è stata recentemente trattata in un ampio e prestigioso volume promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, curato dalla Direzione dei Musei Civici di Arte Antica, edito da Gabriele Corbo, con l'apporto di numerosi specialisti che hanno affrontato i vari argomenti, dalla vicenda edilizia, alle decorazioni murali, ai "personaggi" della Palazzina, al mito letterario di Marfisa, al restauro e alla musealizzazione, fino alla proposta di un nuovo restauro, con le schede esaustive di tutti i mobili e gli arredi della casa-museo.
Un "omaggio" a Marfisa, ad un luogo amato dai ferraresi e apprezzato dai visitatori, che emana un fascino tutto particolare, nella rievocazione garbata e "affettuosa" del Rinascimento.