La rinascita del giardino che non c'è

Scritto da  Gianni Venturi

Il dettaglio della Pianta di Bolzoni con la Palazzina e i suoi giardini."La speranza che altre generazioni e altri tempi rimaterializzino i perduti giardini."

Strana e appassionante storia quella dei giardini a Ferrara! Nel tempo del suo massimo splendore, la città estense aveva costruito, non solo architettonicamente e urbanisticamente ma soprattutto come proiezione dell'immaginario culturale, un sistema di giardini che la resero famosa nel mondo e che servirono a creare quella particolare forma architettonica conosciuta con il nome di delizia.

 


Eppure, con la devoluzione del 1598 che vide gli Estensi abbandonare la città ed essere sostituiti dal potere pontificio, quei giardini - segno e simbolo del paradiso instaurato dal dominio estense - vennero immediatamente «disfatti e spianti» come nostalgicamente scrive il Penna accingendosi a narrarne la perduta magia e la miseranda sorte. Cadono così nell'oblio - o rimangono riferimenti solo puramente letterari - i giardini delle delizie cantati dall'Ariosto, dal Tasso, da intellettuali e scrittori di ogni parte d'Europa, espressione di un'utopia: la corte come paradiso terrestre, la città luogo del potere, ma di un potere che fa leva sull'immagine costruita dal mito di una libertà interiore di cui quella corte è garanzia e, nello stesso tempo, ideale architetto.

Nessun luogo d'Europa ha saputo caricare di un'ideologia così precisa i propri luoghi di delizie; e nessuno ha saputo così audacemente interpretarne e sfruttarne la carica simbolica e mitica assieme. Proprio per questo, il nuovo potere rappresentato dai Cardinali Legati ha voluto e saputo cancellarne le vestigia, operando - in certo senso - una specie di damnatio memoriae.


La ricostruzione del giardino fatta dal Medri nel 1938.La qualità e il prestigio della città difesa dalle mura e che di quella difesa ha saputo fare un luogo paradisiaco, restano tuttavia tra le grandi imprese della insuperata stagione estense, hanno - per un periodo storico di quasi due secoli - reso possibile il grande sogno rinascimentale della città ideale. Ma la storia è anche e soprattutto storia di oblio e di dimenticanza, di rovina e di sussulti e stratificazioni legati al divenire e all'alterna vicenda delle umane sorti - per dirla col Poeta - e ciò che ieri è stato cancellato, rimosso, rifiutato, può e deve rivivere almeno come patrimonio della memoria, come pietas che riscatta la nostra contemporaneità: l'antichità come futuro.

Chi osservi oggi le precise immagini di una città affidate al tratto netto e topograficamente esatto della pianta del Bolzoni, nell'insula urbanistica costruita tra Schifanoia e Palazzo Bonaccossi, tra la Giovecca e la via Dio ti Salvi (odierna via Cisterna del Follo) si accorge che il genius loci che gli intendenti di storia dei giardini identificano con lo spirito e la caratteristica ideale, filosofica, artistica e naturale del luogo in cui si costruisce il giardino, si esprimeva attraverso una relazione e raccordo di giardini, broli, boschetti che formano non solo l'accordatura - o, meglio, l'intavolatura per usare un termine musicale - di uno dei luoghi più complessi e famosi dell'architettura e urbanistica ferraresi.

In altri termini, la qualità architettonica dei luoghi che formano la grande insula urbanistica tra Schifanoia e la Palazzina è regolata dal ritmo impresso dai giardini che si svolgevano con scansioni sapienti e grande senso delle proporzioni tra i punti architettonici fissi di Schifanoia, del palazzo Bonaccossi e della Palazzina: i tre luoghi monumentali che avevano assorbito e reso possibile il disegno architettonico-urbanistico voluto dal marchese Francesco. Se è dunque agevole riconoscere l'importanza e la centralità del giardino nella stratificata composizione dei luoghi architettonici - i palazzi e la Palazzina - meno lo è riconoscere lo stile di quei giardini e la loro attinenza col genius loci.


Il Tennis Club Marfisa nel 1933.Le testimonianze scritte, le carte, le ricostruzioni, tra cui spicca un appassionato studio di Gualtiero Medri del 1938, poco ci dicono della reale configurazione di quei giardini.
Le generiche distinzioni: giardino, giardino grande, boschetto, rimandano a tipologie di giardino piuttosto che alla effettiva configurazione di questi; ma è anche vero che la funzione che esprimono li riallaccia alla gloriosa stagione del giardino all'italiana come si era venuta configurando tra Quattro e Cinquecento nel nostro paese e che sarà di  modello al più elaborato e formalmente complesso giardino francese che per secoli - almeno fino alla rivoluzione copernicana del giardino all'inglese, nato e diffuso in Europa dall'Inghilterra nel diciottesimo secolo - rappresenterà il modello indiscusso del paradiso della natura.

Ci sono esempi piuttosto notevoli di un giardino all'italiana sviluppatosi intorno a edifici di non particolare estensione e imponenza. Questi giardini rappresentano il vero fulcro del complesso, ne segnano - per così dire - lo stile. Si pensi, per esempio, a villa Lante nel Lazio, dove alla struttura architettonica della villa non particolarmente importante si affiancano - e ne disegnano il senso - quegli straordinari giardini che tuttora sono tra le più gloriose realizzazioni dell'arte dei giardini.

Ma la Palazzina di Francesco d'Este - costruita come si sa all'inizio della Giovecca e fulcro della delizia di San Silvestro, conosciuta con il nome ben più affascinante e romantico di Marfisa - non esibisce importanti giardini, tali da gareggiare con quelli delle più famose delizie cittadine e del contado: Belriguardo, Belfiore, Belvedere, la Montagnola, e con i giardini che ritmano nel giro pacato dell'orizzonte difeso dalle mura i percorsi della corte, a iniziare dalla via Ducale e attorno alle mura stesse.

 

Il giardino della Palazzina Marfisa oggi.Luoghi di delizia, teatri della corte, immaginario del principe a cui la delizia di San Silvestro si adegua senza tuttavia incidere in modo determinante su quel sistema, forse a causa della relativa modernità di quei "casini" di San Silvestro rispetto al sistema delle delizia, e anche alla strutturazione della Giovecca che si ebbe al tempo di Ercole II. Non va dimenticato che Francesco marchese di Massalombarda, fratello di Ercole II, non tornò dall'esilio che dopo l'assunzione del ducato del nipote Alfonso II (cioè, post 1559), e che l'acquisto di palazzo Neroni, oggi Bonaccossi, fu stipulato solo nel 1572, mentre la delizia di Schifanoia era già sua come eredità paterna già nel 1534. Due delizie, dunque, San Silvestro e Schifanoia, allacciate dal nodo importante del palazzo Neroni e tessute - si può dire - da un sistema di giardini, boschetti, loggiati che le rendono uno dei poli più complessi e arditamente innovativi della Ferrara cinquecentesca.

Il progetto del marchese Francesco non riuscì però a eliminare ciò che di irrisolto restava tra le tre residenze e non tanto per la presenza di una serie di casupole dimesse poste proprio all'inizio della Giovecca - che in un certo senso contraddicevano la raffinata semplicità della facciata della Palazzina adorna dello splendido portale - quanto per la complessa diversità degli affacci, dalla sublime orizzontalità di Schifanoia alla turrita presenza di palazzo Neroni, così attardato nei moduli quattrocenteschi di palazzo e fortezza insieme, che si scontravano nella loro ufficialità con la più svelta immagine della palazzina (casual si potrebbe dire oggi).


La Loggia del Cenacolo di Palazzo Bonaccossi, verso la PalazzinaSicuramente, l'ideologia della delizia doveva e poteva venire affidata al sistema dei giardini che ne permettevano la circolarltà; i giardini erano a loro volta investiti da una funzione squisitamente teatrale se la grande Loggia o Teatro - ancor oggi fortunatamente esistente - in qualche modo ne sanciva la funzione particolare. È indubbio poi che i giardini declinavano la sintassi tipologica della grande arte giardinesca rinascimentale, senza però le novità manieristiche, almeno per quanto i documenti in nostro possesso ci informano.
Non si dice se quei giardini erano forniti di quegli artifici che la nuova moda conseguente all'idea della Maniera disseminava nei giardini delle meraviglie delle capitali della bizzarria e del capriccio: Pratolino a Firenze, Bomarzo, villa Lante, Caprarola, villa d'Este a Tivoli solo per citare i casi più noti e che in letteratura, in quegli anni, Tasso immortalava nel giardino di Armida.

A Marfisa si registra solo la presenza del modello originario del giardino all'italiana, formulato sulla divisione tra giardino e boschetto che rappresenta, forse, la più geniale tra le idee mentali sul e del giardino.
Si è spesso detto che la divisione tra bosco e giardino, tra selvatico e giardino secondo la più diffusa versione toscana,   corrispondeva all'idea di esemplare in due diversi stati (l'originario stato di natura e l'intervento umano che lo rende giardino) e la capacità dell'uomo di piegare, con la fiducia che caratterizza l'umanesimo, la hyle ovvero la natura caotica e primigenia  della virtù umana, all'arte che interpreta ed esegue il volere. 

Anche a Marfisa dunque si fronteggiano il bosco e il giardino che solo assieme giustificano la valenza poetica e ideale del giardino inteso come luogo edenico, luogo più bello, perduta sede dell'originaria felicità umana che solo il volere del principe e della corte può restituire al mondo rivendicandone il possesso e il privilegio.


Uno scorcio del giardino.Nella delizia di San Silvestro, probabilmente, l'idea che sorregge non solo il complesso della delizia nell'ideologia di corte, ma la stessa funzione simbolica dei giardini doveva operare a renderlo contemporaneamente luogo cortigiano e paradisiaco insieme. In questa esplorazione di un luogo che non c'è - o, meglio, non c'è più - va ricordato il senso e il valore delle logge che adornano i giardini. Quella del Cenacolo che univa il lato posteriore del palazzo Neroni al boschetto, forse in asse con il loggiato posteriore della Palazzina e la gran Loggia o Teatro, giustamente famosa ai suoi tempi per la funzione perfetta che svolgeva come scenario e palcoscenico assieme per rappresentazioni teatrali già numerose al tempo del marchese Francesco, ma celebri in quello di Marfisa.

Da sempre logge e loggiati erano parte integrante dell'architettura dei giardini.
Famosi al tempo dei Romani (si ricordino le celebri descrizioni del giardino di Cicerone a Tusculo o quella della residenza di campagna di Plinio) passarono a modello dei giardini rinascimentali con funzione anche teatrale: esemplare al proposito l'odeo Cornaro a Padova, primo esempio in un cortile quattrocentesco di una casa urbana usato a svolgere compiti teatrali.
Gli esempi a Ferrara, una delle capitali del teatro nel Rinascimento, potrebbero essere molti: da quello del palazzo di don Giulio d'Este a quello del Palazzo dei Diamanti, fino alla perfetta e armonica struttura di un cortile come quello di palazzo Naselli Crespi, ma non così esplicitamente sottolineati come la gran Loggia della Palazzina.

Con il restauro novecentesco, con la funzione museale che è il nuovo destino di un luogo mitico di Ferrara, fino alle romantiche leggende ottocentesche su Marfisa e i suoi amanti, la Palazzina ha trovato una nuova dignità e nuove valenze; non così il giardino che, desolatamente, continua a essere un luogo che non c'è.


Il giardino della Palazzina in una cartolina del 1938.Abituati a una nuova percezione visiva che ci consegna anche dopo il restauro un'immagine del luogo fondamentalmente non veridica, i giardini di Marfisa non godono più nemmeno del privilegio della testimonianza letteraria o artistica: sono solo immaginati in funzione e in riflesso di ciò che noi sappiamo o vogliamo sapere della Ferrara rinascimentale - o, meglio, del suo mito. La Loggia del Cenacolo, i campi da tennis che occupano lo spazio del boschetto, rimandano a mitologie novecentesche nelle quali la memoria della città si riconosce o, forse, crede di riconoscersi.
Dei giardini, invece, poche e sparute citazioni di un pasticcio architettonico, botanico e giardinesco ci rimandano un'idea confusa ma, soprattutto, falsa di ciò che doveva essere, ben lontani dalla perfezione stilistica di chi, proprio nel Novecento, ha affidato ai giardini - con un falso che diventa arte e arte del giardino - l'esempio più alto di ciò che questi dovevano essere nel Rinascimento: e nel caso penso, per esempio, alla Gamberaia di Settignano.

Chissà, la speranza è che altre generazioni o altri tempi storici rimaterializzino i perduti giardini. Forse la città sentirà la necessità, urbanistica e storica, di rimemorizzare quel tracciato tra Schifanoia, Palazzo Bonaccossi e la Palazzina di Marfisa; forse ad altri sarà concesso di far rivivere una Ferrara che non c'è più. È una speranza e un augurio insieme.