Tra i mille e più premi letterari che fioriscono e si abbiosciano in Italia, il Premio Estense dopo trentadue anni è ancora nella sua prima giovinezza, e questo suo perdurare in verde età è dovuto innanzitutto a una sua virtù connaturale, a una felice intuizione di Gian Antonio Cibotto che lo ideò, parlando con Edgarda Piacentini: i concorrenti sono giornalisti che, di anno in anno, raccolgono in volume quei loro scritti che meritano di superare il confine dell'effimero quotidiano per diventare documento di un'epoca. Gianni Granzotto, nel ventennale del premio e - ahinoi! - l'ultimo della sua presidenza e della sua vita terrena, ha scritto che i lettori ferraresi scoprono in questi libri «una chiave per capire il mondo, i grandi e i piccoli avvenimenti, i paesi sconosciuti, il cammino delle idee, le trasformazioni che si succedono sotto i nostri occhi: la vita, la vita che viviamo».
Quindi ogni anno nei libri in concorso troviamo il riverbero dei fatti dell'anno precedente, con le testimonianze e le meditazioni sull'evoluzione del pensiero umano attraverso il progresso, i conflitti, i tormenti, le mode, le degenerazioni, i fanatismi, le balordaggini, i vizi e le virtù.
Lo spettacolo inverecondo offerto dalla corruzione di alcuni premi letterari mi costringe a dire che un altro motivo di tanta freschezza dell'Estense va ricercato nella sua assoluta indipendenza, anch'essa congenita.
Perché, nata l'idea, la bella Edgarda Piacentini, allora giornalista collaboratrice del settimanale Vita, e Gian Antonio Cibotto, spirito bizzarro e quanto altri mai ricco di talenti, corsero a esporre il loro progetto a Gianni Granzotto, il quale ne afferrò subito l'importanza e disse, come se lo avesse già studiato nei particolari: «Ne faremo un premio serio, indipendente, e non correremo il rischio che si concluda con la consegna dell'Aquila Estense a un giornalista e di un diadema di strass a Miss Lidi Ferraresi».
Quindi, una corsa a Ferrara a trovare Giorgio Piacentini, padre di Edgarda, presidente dell'Unione Industriali, uomo probo, liberale e progressista, che diede al premio un'impronta duratura e - oserei dire - inalterabile, garantendo indipendenza di giudizio alla giuria cosiddetta tecnica. E in trentadue anni mai ci fu una sia pure larvata interferenza da parte dei successivi presidenti dell'Unione: generosi, ma fedeli all'antica tradizione secondo la quale «i signori ferraresi sono signori».
Di qui è scesa per li rami l'indipendenza dei giurati preposti a sottoporre alla cosiddetta giuria popolare composta da quaranta cittadini ferraresi - che è sempre stata salvaguardata con grande scrupolo - ed essa ha tale reputazione che gli editori interessati non tentano mai di esercitare alcuna pressione per ottenere un voto di preferenza.
Del resto, il muro della volontà dei giudici ferraresi è invalicabile, tanto più che il dibattito finale per l'assegnazione dell'Aquila Estense si svolge pubblicamente e ogni anno per noi forestieri è uno spettacolo affascinante ascoltare gli interventi delle lettrici e dei lettori che difendono con passione pari all'acume - talvolta perfino con accanimento - l'autore prescelto tra i quattro in gara. Questa intima seppur diffusa correttezza è un altro coefficiente della freschezza del premio, proprio come se ci trovassimo in un gruppo di giovani idealisti non ancora contaminati dagli interessi di parte.
E poi... e poi c'è l'argenteo amalgama ferrarese: questo premio poteva nascere e mantenersi vigoroso e rubizzo soltanto a Ferrara, credete a me che son passato attraverso tutte le guerre di questo secolo. La città è aristocratica e austera, ma i suoi cittadini sono aperti, espansivi, ospitali tal che ci si sente catturati da un'atmosfera impareggiabile.
E non posso rinunciare a rievocare, solo di sfuggita, quelle serate conclusive del premio, quando ci si ritrovava tutti nella villa di Jolanda Piacentini a Fossanova San Marco per un convivio festoso e fastoso, e sono sicuro che gli anziani sono tentati di ricordare la Ballade des dames du temps jadis per ripetere con nostalgia: «Mais ou sont les neiges d'antan?».
Certo, da trent'anni assistiamo a una rivoluzione che ogni giorno trasforma il mondo sotto i nostri occhi e i ragazzi d'oggi si divertono con Internet, per loro più facile del gioco dell'oca; sono accaduti fatti - come la caduta del Muro di Berlino - che nessun politologo avrebbe osato prevedere; siamo passati, imperterriti o quasi, dalla minigonna al topless; donne e uomini si sono resi schiavi della televisione; i genitori non fanno domande se la figlia va in vacanza con il suo ragazzo, ma non sono cambiati i ferraresi, sempre prodighi di calore umano nella gioiosa accoglienza. Ed è questa loro linfa che tanto contribuisce a mantenere vigoroso il Premio Estense.
Nel 1985 abbiamo pianto la scomparsa di Gianni Granzotto, nume tutelare del Premio Estense. In quell'anno l'Unione Industriali - presidente Renato Saini - donò alla città la copia della più famosa bocca da fuoco del Rinascimento: la doppia colubrina chiamata "Regina", fusa da Annibale Borgognoni nel 1556 per Ercole II, che ammiriamo in piazza Castello. E in quello stesso anno l'Unione Industriali decise di affiancare al Premio il "Riconoscimento Gianni Granzotto. Uno stile nell'informazione", consistente in un modello in argento della Regina, da attribuire ogni anno a una personalità italiana vivente che, operando nel campo dell'informazione, si sia distinta per correttezza, impegno e professionalità.
Il suo valore, che onora la memoria di Gianni Granzotto, è dimostrato da coloro che lo hanno ottenuto: tra questi, Indro Montanelli, Alberto Ronchey, Eugenio Scalfari, Enzo Biagi, Arrigo Levi, Geno Pampaloni, Ugo Stille e, nel 1996, Piero Angela.