L'artista e la città

Scritto da  Roberto Pazzi

Scorcio di una Ferrara deserta: Corso Ercole I d'Este.Rimanere o andarsene? Il difficile rapporto di Ferrara con i suoi artisti.

Ci ha insegnato Baudelaire che la madre di un poeta, accorgendosi della vocazione artistica del figlio, subito maledice la sorte, «Ah! que n'-ai-je mis tout un noeud de vipères/ Plutôt que de nourrir cette dérision!».
Non diversamente la città, almeno dall'età borghese, si comporta con chi sabota le arti e i mestieri cui si consegna la sua nomenclatura; la comunità cittadina della provincia, soprattutto, dove il numero dei predestinati alle arti non può che essere esiguo, non ama chi sente sfuggire al consenso e alla replica del suo gusto, delle sue scelte, delle sue ritualità, chi è estraneo al suo anelito all'introspezione, al bisogno di confermarsi uguale ai compagni di viaggio, pago delle opportunità offerte dall'ambiente dove si è nati. Ferrara, la patria del Novecento di De Pisis, Govoni, Bassani, Antonioni, Caretti, Previati, non sfugge a questa legge.


A un primo sguardo parrebbe costume generale di tutti questi creativi, in settori che spaziano dalla poesia alla narrativa, dalla pittura al cinema e alla critica, l'esiliarsi dalla loro città, tanto più amata ed evocata quanto maggiore la distanza chilometrica dalla loro nuova residenza.

In taluni di loro la nostalgia e l'elegia della memoria diventa la corda di quasi tutta la loro opera, come mostrano diverse pagine narrative di Giorgio Bassani, raccolte per volontà dell'autore nell'unico volume intitolato Il romanzo di Ferrara. Come avrebbe mai potuto nascere la trasfigurazione dei Finzi Contini e del dottor Fatigati rimanendo qui?

Chi scrive è rimasto, non ha mai abbandonato Ferrara e non prevede di farlo; e conosce sulla sua pelle che cosa gli sia costato raggiungere, rispetto alla sua città, quella distanza che sola consente la trasfigurazione poetica anche nel romanzo. La città del dottor Malaguti, il mio romanzo dedicato a Ferrara, esce nel 1993, dopo cinque opere ambientate nella Russia imperiale, nell'antica Roma e nell'Egitto di Cleopatra.
Forse la distanza necessaria per trasfigurare la città non era spaziale, fisica, geografica, non era legata a un trasferimento del corpo in un paesaggio lontano da quello padano; no, non questa lontananza mi occorreva, ma una tutta interiore e temporale.

Era l'accumulo silenzioso delle stagioni della memoria che doveva favorire il rovesciamento pirandelliano del canocchiale, l'attemparsi, il farsi vecchio, sempre qui, tra corso Giovecca e viale Cavour, con lo stesso gusto del viaggio avventuroso nel mondo - che pure ho visitato grazie alle traduzioni dei miei libri, non rinunciando mai a nessuna opportunità - tenendo presente, come diceva la Yourcenar, che «dovendo vivere in un carcere non si vede perché non se ne debbano almeno esplorare le pareti».

Preferisco affidare il senso di questo viaggio da fermo, nella mia città, a una poesia inedita:

L'orizzonte

Scorcio di una Ferrara deserta: la piazza del Municipio.Bambino che sei che ti fai vecchio
e guardi indietro dove s'è persa
la via: le svolte agli angoli
- sono andato a destra o a sinistra? -
le soste e gli incontri
- avevo voltato qui o più tardi? -
Mi sforzo di ricordare
insegne, scritte, vetrine,
semafori, pali della luce,
targhe delle auto,
tutto un bosco delle meraviglie
dove corrono altri come me
che cercano di uscirne
al più presto e non sanno
quello che so io,
che ai limiti del bosco
intravedo lo stesso sprofondo
che mi faceva tremare
davanti all'orizzonte del mare
quando le navi cadevano nel vuoto,
oltre la linea del nulla.


Ma torniamo a chi ha abbandonato la città nella prima metà del secolo, a chi ha capito presto che se fosse rimasto non sarebbe mai riuscito a coltivare la sua passione creativa, ad alimentarla e ad aprirle delle possibilità di un'udienza più ampia di quella offerta dalla provincia.

La pittura, presto riconosciuta da De Pisis sua corda più autentica rispetto alla letteratura, come il cinema per Antonioni andatosene giovane, avevano e hanno ancora bisogno di un mercato e di un mondo di stimoli, esperienze, contatti, che solo nei luoghi dove la varietà e molteplicità dell'offerta pulsa possono darsi: le metropoli di Milano e Roma e, all'estero, un tempo, Parigi.

Che cosa poteva dare Ferrara, ai primi del secolo e più tardi, negli anni Trenta, a chi cercava di confrontarsi con dei maestri? Il rischio, per chi restava, era allora il solipsismo, il richiudersi in una dimensione solitaria e vagamente anacoretica, lontana dalle novità di pensiero più audaci, da quella che una volta si definiva hegelianamente «la verità del  Tempo».

Il discorso qui si fa complesso, perché la mia mente corre subito alle due eterne possibilità schiuse all'intelligenza creativa che si esprima nella parole: Manzoni a Milano e Leopardi a Napoli. I due massimi poeti dell'Ottocento giunsero per vie opposte al vertice della loro arte: il primo condividendo un'atmosfera culturale molto moderna e in contatto con Parigi e le novità di pensiero europee, in un fervore intellettuale tutto lombardo, aperto al dibattito e al confronto anche polemico delle idee; il secondo a Recanati, tutto chiuso in sé, al di là di qualche sporadico contatto epistolare come quello con il Giordani, costretto a un dialogo più coi morti che coi vivi, ripercorrendo nella ricca biblioteca paterna tutto il percorso della civiltà classica prima di approdare a scoprire nel romanticismo la propria irripetibile e originalissima voce.

Non mi sentirei di dover affermare che sia regola assoluta per l'artista andarsene, né rimanere. Una regola forse non c'è: si può arrivare al vertice delle proprie possibilità espressive in entrambi i modi. È la qualità della vita che è forse in discussione. Chi di quegli artisti ferraresi possedeva una vera vocazione contemplativa e claustrale, lirica e solitaria? Forse De Pisis? Forse Bassani? Non mi pare.

 

Scorcio di una Ferrara deserta: Corso Ercole I d'Este.Diverso è il discorso per Antonioni, perché il cinema lo necessitava all'espatrio, pena il dilettantismo se fosse rimasto a girare qui, tra il mercato del pesce di Goro e la caccia in botte nelle Valli di Cornacchia. Oggi è vero che i termini della questione sono un poco mutati: il fax in casa, l'aeroporto a 54 chilometri, il telefono, il cellulare, fra poco internet, eliminano le distanze e consentono una rete di rapporti così fitta e rapida da fare di Ferrara, per i suoi ritmi rallentati e provinciali, un provvidenziale spazio di meditazione e di concentrazione per la mente creativa. Tutto è così veloce da travolgere e sconvolgere, anche il necessario momento di silenzio e solitudine che accompagna sempre l'idea quando prende forma.


Per questo tanti talenti creativi negli ultimi decenni sono fuggiti dalle grandi città, come Milano e Roma, cercando nella solitudine della campagna e delle piccole città il buen retiro dove il mondo potesse essere reinventato.

Mentalmente mi rivolgo a quei giovani che oggi si affacciano alla loro alba creativa nella mia città, e ce ne sono fra i poeti e i fotografi, i cineamatori e i narratori - di recente è uscita a cura del Comune di Ferrara una interessante antologia - Elettriche poesie. Poesia d'avanguardia a Ferrara (1980 - 2000), con testi di Calura, Donegà, Gruber, Guerra, Kober, Pagani, L. Perfetti, Roversi, Strano, Tani e Villani.

Possono rimanere o possono andarsene; dipende da quello che si prefiggono di ottenere dalla loro arte, se la vogliono vivere come mezzo o come fine. Se la vita è il loro fine, e l'arte il mezzo, hanno l'esempio di molti che hanno preferito la notorietà alla serietà.
Se è l'arte il fine e pongono la loro vita al servizio dell'arte, offro loro - se me lo concedono - l'esempio della mia vicenda.