Antiche trame da salvare

Scritto da  Nello Forti Grazzini

Arazzi delle Storie di San Giorgio, ''San Giorgio e il drago'', particolare, Ferrara, Museo della Cattedrale.Gli arazzi del Museo del Duomo di Ferrara, opere sublimi della manifattura estense.

Il progetto della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara di finanziare il restauro degli otto arazzi con le Storie dei SS. Giorgio e Maurelio del Museo della Cattedrale prefigura un intervento tra i più meritori effettuati da questo ente, che da molti anni concorre generosamente alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio artistico della capitale estense.

 

 

L'imminente trasloco del Museo della Cattedrale - che avrebbe comunque obbligato a rimuovere gli arazzi - rappresenterà il momento ottimale per procedere al rassetto di quei grandiosi tessuti istoriati; il degrado degli arazzi, offuscati dalla sporcizia, con porzioni di ordito messe a nudo dalle cadute della trama, è infatti evidente da tempo, ma resta ancora circoscritto ad aree limitate, mentre i lineamenti generali delle composizioni e la maggior parte dei dettagli sono tuttora leggibili, e le gradazioni cromatiche, pur sbiadite, mantengono una certa forza.

Si è dunque in tempo per procedere senza tradire il disegno originale, restituendo ai manufatti la solidità strutturale e la piena godibilità estetica. Gli otto arazzi, tessuti da Giovanni Karcher tra il 1550 e il 1553 - quattro dedicati alle Storie di San Giorgio, patrono di Ferrara, e quattro a quelle di San Maurelio, anch'egli patrono e primo vescovo della città - sono opere della massima importanza sul piano storico e artistico. Costituiscono infatti l'unica testimonianza superstite a Ferrara della produzione della manifattura, attiva in città nel XVI secolo.

Rappresentano, inoltre, l'unica serie preservatasi completa e rimasta nell'edificio cui era specificamente destinata; in tutti gli altri casi si hanno testimonianze parziali e disperse che a stento restituiscono un'idea del ruolo decorativo e simbolico degli arazzi in età rinascimentale. Secondo un diffuso punto di vista odierno, l'arazzo, essendo traduzione di un modello originale (il cartone), sarebbe il prodotto di un'arte "minore".


Arazzi delle Storie di San Maurelio, ''Il popolo di Ferrara accoglie Maurelio'', particolare, Ferrara, Museo della Cattedrale.Nei secoli passati, invece, lo si vedeva come forma d'arte del massimo pregio: la tessitura aggiungeva alla venustà del modello dipinto (eseguito solo in tale funzione) il fascino della lenta, difficile e costosa realizzazione della trama di lana e di seta, talora arricchita da lumeggiature in oro e argento; inoltre, gli arazzi erano ambiti in quanto, pur offrendo effetti decorativi paragonabili a quelli degli affreschi, erano leggeri, maneggevoli, facilmente trasportabili e utilizzabili nelle più varie sedi e situazioni.
A Ferrara, nell'ambito della corte, la fortuna degli arazzi datava ai primissimi anni del Quattrocento e per tutto il secolo i signori estensi furono acquirenti appassionati di arazzi e detentori di un fornitissimo guardaroba di panni di vario formato - da muro, da letto, bancali, antiporta, spalliere - dei quali facevano un uso continuo nel Castello e nelle ville suburbane, esponendoli anche per le strade in occasione di entrate trionfali o portandoli con sé nei viaggi. Perfino il Bucintoro, battello che trasportava i signori sul Po, navigava completamente ricoperto di arazzi.

 

I panni più monumentali e preziosi erano acquistati nelle fabbriche fiamminghe, ma a Ferrara erano aperte piccole manifatture, dirette da arazzieri chiamati dalla Francia e dalle Fiandre, che generalmente eseguivano manufatti di qualità corrente; in qualche caso furono eseguiti in città anche arazzi di grande impegno: dal binomio costituito dall'arazziere Ruben (detto Rubinetto o Rubichello di Francia) e da Cosmé Tura, come cartonista, erano sortiti, poco dopo il 1470, i più preziosi arazzi ferraresi del XV secolo, quali un grande Giudizio di Salomone menzionato negli inventari della corte, o i due paliotti delle Pietà, riproducenti uno stesso, drammatico modello turiano, oggi nella Collezione Thyssen e al Museo di Cleveland.


f06_12_popupL'uso rovinava gli arazzi, il cui ricambio era continuo; i panni consunti erano sostituiti dai nuovi, ferraresi o transalpini, e in tal modo la collezione si aggiornava alle modificazioni del gusto. Tra la fine del Quattrocento e i primi tre decenni del Cinquecento le manifatture ferraresi chiusero, per quanto, anche sotto la reggenza di Alfonso I, continuasse l'acquisto di arazzi fiamminghi. La produzione locale fu rilanciata dal 1536 per volontà di Ercole II, con la chiamata di abilissimi arazzieri brussellesi (celebrati anche nelle Vite del Vasari) che forse erano già stati a Ferrara come restauratori degli arazzi di corte: i fratelli Nicola e Giovanni Karcher, e Giovanni Rost.

 

Il primo e il terzo rimasero a Ferrara per pochi anni; la fabbrica ferrarese operò dunque sotto la direzione di Giovanni Karcher che, in venticinque anni - fino alla morte che lo colse nel 1562 - produsse decine di arazzi, commissionati in massima parte dalla corte. Meno nota, e comunque più ridotta, fu la produzione successiva della manifattura, fin verso al 1580, sotto la direzione di Luigi Karcher, figlio di Giovanni, per impulso di Alfonso II.
Negli arazzi di Giovanni Karcher, l'intento decorativo si saldava spesso a contenuti umanistici riletti in chiave fiabesca, secondo la consuetudine locale, al fine di esaltare le origini, le virtù e le gesta del committente, Ercole II, e della sua schiatta.

Per le prime due serie, la Gigantomachia (1536-1539) e le Deità di Ercole (1540-1543), il duca aveva richiesto disegni al più fecondo inventore d'arazzi disponibile allora in Italia, Giulio Romano, del quale furono copiati i cartoni per gli arazzi di Dosso e Battista Dossi.


Arazzi delle Storie di San Maurelio: ''Decapitazione di San Maurelio'', particolare, Ferrara, Museo della Cattedrale.A partire dalla serie delle Metamorfosi (1543-1545) non si ricorse più a interventi "esterni": i cartoni furono progettati da Battista Dossi e dipinti dallo stesso, assistito da Camillo Filippi e Bernardo Bellone. Le principali serie posteriori furono quelle dei Mesi e Stagioni, con raffigurazioni delle residenze estensi (cartoni di Battista Dossi e Luca d'Olanda); le Grottesche (Luca d'Olanda, Camillo Filippi e Girolamo da Carpi); le Aquile Bianche di contenuto araldico (Luca d'Olanda); i Cavalli (Luca d'Olanda, Camillo Filippi e Jacopo Argenta); le Città (con vedute di Ferrara, Modena, Reggio, Carpi e Brescello, da cartoni di Leonardo da Brescia e Guglielmo Boides); poi ancora Storie di Ercole, Paesaggi e Virtù, i cui modelli furono appaltati a Leonardo da Brescia, che fu anche cartonista della serie delle Pergoline, per la camera da letto di Ercole II, di cui sopravvivono un soggetto completo e due frammenti al Musée des Arts Décoratifs a Parigi.

 

Tra i tardivi arazzi ferraresi sopravvissuti, due episodi della Vita della Vergine, commissionati dal Duomo di Como e ancora reperibili in loco. Il fatto che gli arazzi di Giovanni Karcher fossero principalmente destinati alla corte fu la causa della loro successiva rovina: dopo la morte di Alfonso II e la devoluzione di Ferrara, gli arazzi estensi passarono a Modena e là sopravvissero per altri due secoli, fino alle razzie rivoluzionarie del tardo Settecento e alla definitiva dispersione. Nel XIX secolo, a Modena non sopravviveva più alcun arazzo ferrarese: i pochi scampati alla rovina erano passati a collezioni private e usciti dall'Italia.

 

Di Giovanni Karcher rimasero sempre a Ferrara gli otto arazzi del Duomo, preservati per secoli con infinita cura dai canonici, esposti solo in occasione delle feste religiose, finché non furono collocati nel Museo della Cattedrale.
Le circostanze della loro esecuzione sono chiarite dal contratto, stipulato il 15 ottobre 1550 e preservatosi presso l'Archivio di Stato di Ferrara, con il quale l'arazziere si impegnava a tessere le opere in due anni, usando buoni filati di lana e di seta, attenendosi al disegno stabilito nei cartoni «facti per magistrum Benvenutum de Garofalo, et magistrum Camillum de Filippis, cum sui frisiis magni prout sunt frisii picti per magistrum Lucham flamengum».

 

Le opere stesse, contrassegnate coi monogrammi di Giovanni Karcher e recanti le iscrizioni «FACTUM FERRARIÆ», dimostrano che, a parte un ritardo nella consegna di almeno due arazzi datati 1553, i termini del contratto erano stati rispettati: proprio la buona qualità dei materiali ha fatto sì che si siano potuti preservare fino a oggi.

 

Le loro bordure, di grande effetto decorativo e di aspetto molto "laico", ricolme di festoni di frutta e nastri sostenuti da angioletti, corredate degli emblemi del Capitolo del Duomo, di ovali monocromi con scenette complementari relative ai due santi sui montanti laterali, e con l'aggiunta di sorprendenti animali e fantasie grottesche, riflettono le felici invenzioni di Luca d'Olanda, pittore nordico che aveva lavorato con Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova, a Ferrara, dal 1545 al 1554.

Arazzi delle Storie di San Maurelio, ''Maurelio rinuncia al trono di Mesopotamia'', particolare, Ferrara, Museo della Cattedrale.Garofalo e Camillo Filippi, i cartonisti, erano pittori tra i più noti della "scuola" ferrarese del XVI secolo. L'estensione dei rispettivi interventi si desume abbastanza chiaramente dall'analisi stilistica delle scene. Nelle quattro Storie di San Maurelio, il ritmo solenne e equilibrato dei gruppi figurati, di evidente estrazione raffaellesca, ben accordati con gli scenari architettonico-prospettici, le pose magniloquenti, le fisionomie ben caratterizzate, lo stile rinascimentale, ispirato a modelli romani e ravvivato da qualche estro manieristico, manifestano i modi dell'anziano Garofalo, solo o affiancato da Camillo Filippi (nella seconda scena, appiattita dall'affollarsi di figure, e nella quarta, dove i personaggi si disperdono di fronte al paesaggio urbano).

 

 

Al Filippi, decoratore aggraziato ma dai modi più ingenui e meno monumentali, competono invece per intero i modelli delle quattro scene relative a San Giorgio, nelle quali non è traccia della ritmica pausata e solenne della sequenza maureliesca, e prevalgono un gusto narrativo più immediato e didascalico, e uno stile più slegato, con figure di minore imponenza sulle quali hanno la meglio gli ampi scenari naturali (per la cui definizione non escluderei una corposa collaborazione di Luca d'Olanda).

 

Il risultato è assai piacevole nel primo arazzo, dove la tenzone col drago si trasfigura in una svagata fiaba, ma nei successivi soggetti, il piatto narrare del Filippi riesce meno coinvolgente e l'occhio, anziché seguire il suggerimento implicito nel gesticolare delle figure che vorrebbero fermarlo sulle visioni del laborioso, prolungato martirio, si trattiene sui rigogliosi erbari dei prosceni o si perde nella dolcezza dei paesaggi.

 

Scaturite, dunque, in fase progettuale, da una collaborazione tra più artisti, le Storie dei SS. Giorgio e Maurelio rivelano una notevole disparità delle matrici figurative; ma l'unità dell'insieme fu asseverata grazie all'effetto omogeneizzante delle bordure e, soprattutto, della trascrizione tessile operata dall'arazziere, che accordò sul piano materiale e cromatico le diverse parti del ciclo, attenuando gli sbalzi stilistici tra i modelli. Karcher non si limitò a copiare i cartoni: li armonizzò, li perfezionò, dando una dimostrazione di come i modelli pittorici potessero addirittura essere arricchiti tramite il riporto nel medium tessile. La fabbrica ferrarese era in ottime mani.

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