Monti veniva infatti da un mestiere che a Venezia s'era, per così dire, caricato quanto mai di sensi e anche di sentimenti della storia: viveva in sostanza la forma italiana con la coscienza e con la poesia di chi sa bene come in questo paese esista un così lontano e continuo universo formale da rendere quasi impossibile rimuoverne la storia.
Come Giacomo Leopardi nella sterminata biblioteca di Recanati, Paolo Monti stava ore e giorni davanti alle foto Alinari e, bofonchiando come era solito fare, finiva per ammettere che sì, di più era impossibile fare. E che i confini erano già tracciati, cosicché bisognava variare l'intensità, piuttosto, caricare le tensioni conoscitive dell'immagine fotografica. E non illudersi troppo. Di queste varianti di tensione interne, l'opera di Monti è un registro continuo.
Davanti all'architettura egli aveva un modo di mettere a punto tutto il suo regime di sensibilità. Basta sfogliare i libri bellissimi di Eugenio Battisti dedicati a Brunelleschi, quello di Loredana Olivato per Mauro Codussi, oppure quello più recente su Leon Battista Alberti, o la ricerca di W. Aralan che registra la stagione gotica nella Venezia più segreta, per rendersi conto che è un'apparenza tradizionale, un assetto normale quello che si aggira principalmente in queste carte: ma che è nell'interpretazione, proprio come per un violinista, che si evidenziano le differenze.
Questo è un discorso che a Monti piaceva molto, poiché egli era lettore di poesia e ogni rilievo diretto a percepire i livelli della qualità lo trovava assolutamente d'accordo. La bellezza della forma "pre-formata", così italiana; la dura necessità di essere "nuovo", trattenendosi, però, in un antico meraviglioso e seducente; sono eventi che Paolo Monti conosceva alla perfezione e di fronte ai quali egli stesso si poneva come in un climax rettorico che non chiedeva mai progresso e spettacolo, ma densità - appunto - e intensità di cultura.
Aggirarsi per Ferrara fu per lui come assistere a una riemersione di volumi ammirevoli, di colori coinvolgenti, di cieli straordinari. Per un veneziano di adozione, i cieli di Ferrara sono più lagunari e adriatici.
Sotto la mobilità poetica, esalta ancor di più scoprire il miracolo della bellezza plastica, dei volumi rinascimentali. Paolo Ravenna trovò così un collaboratore, un interprete assoluto per la sua profonda, quasi esasperata ricerca dedicata alla città: per il suo itinerario di intelligenza proiettiva e programmatica.
Paolo Monti a Ferrara
Un maestro dell'immagine nel rapporto con la nostra città.
[di Paolo Ravenna]Paolo Monti ha operato a Ferrara dall'inizio degli anni Sessanta fino al 1982, anno della sua morte. Proprio pochi mesi prima aveva documentato da par suo il restauro del protiro del Duomo.
Un arco di tempo durante il quale Monti, legatissimo a Ferrara, ha indagato e approfondito lo studio della città con quella sapienza e quel rigore, a un tempo scientifico e formale, che hanno fatto di lui un indiscusso maestro dell'immagine, come acutamente ci dice Andrea Emiliani nelle pagine precedenti.
Il risultato del lavoro ferrarese è consegnato in circa settemila e cinquecento scatti. Immagini che riguardano la città, i suoi aspetti monumentali e minori, dalle strade ai giardini, agli interni più intimi, e che include anche molti centri della provincia, come Cento, Copparo, Belriguardo, Pomposa, La Stellata, Mesola e via dicendo.
Campagne tematiche, preziose come quella sul patrimonio edilizio dell'Università, nel 1972 - purtroppo dispersa - e quella sulle valli di Comacchio.
Ma su tutto spicca il monumentale censimento del centro storico, realizzato per incarico del Comune, nel 1975 (ben tremila e seicento scatti). Ricordo Paolo Monti per le nostre vie, silenzioso e a lungo riflessivo prima di ogni scatto.
Per l'occasione la città venne liberata dalle automobili e da ogni ingombro visivo perché potesse essere fotografata, brano per brano, e così fissati nella purezza indisturbata dell'immagine gli elementi fondamentali dei suoi straordinari valori architettonici e urbanistici.
Ne scaturì un lavoro di eccezionale qualità, di penetrante intelligenza e sensibilità, e ancora oggi l'opera di Paolo Monti appare di insostituibile utilità per guidare con rigore ogni intervento riguardante il volto, la funzione urbana e la storia di Ferrara.
Paradossalmente, di questa irripetibile opera solo pochissime immagini sono conosciute, quelle qui pubblicate sono occasione per sollecitare l'acquisizione dell'intero corpus al patrimonio della città.