Ferrara com'era, Ferrara com'è

Scritto da  Andrea Gandini

Il polo chimico di Ferrara, simbolo di una industrializzazione fallita e di una grande opportunità di sviluppo per il futuro.Cinquant'anni di storia e di trasformazioni, tra antiche debolezze e nuove potenzialità.

 

La crescita economica delle provincie italiane e l'occupazione sono dipesi, negli ultimi quarant'anni, soprattutto dalla dinamica del valore aggiunto industriale. In una visione di lungo periodo, quelli che negli anni Cinquanta sembravano punti di forza (l'agricoltura, per esempio) si sono rovesciati nel loro contrario, soprattutto in quelle provincie - come Ferrara - che non riuscirono a sviluppare un'industria agroalimentare.

Se l'industria, specie quella piccola e innovativa, è stata l'elemento centrale della crescita, nel futuro lo sarà la "conoscenza" (e il degrado ambientale sarà il grande azzardo umano). Il vantaggio competitivo diventa così possedere sedi di ricerca, insieme alla presenza di multinazionali e industrie innovate che operano su processi e prodotti di qualità, realizzando sinergie fra fattori di produzione, ricerca e circolazione e diffusione del sapere.

Il ruolo delle istituzioni del futuro diventa così promuovere l'efficienza delle imprese di pubblica utilità e dell'amministrazione pubblica, promuovere la concorrenza e la democrazia dal basso, creare occasioni di scambio per i produttori locali e stimolarne i sentieri virtuosi di ricerca, alleanza e internazionalizzazione. La stagnazione dell'occupazione negli ultimi trent'anni, a Ferrara, cela un'enorme trasformazione: solo tra il 1971 e il 1991 gli addetti del settore agricolo ed edile si sono ridotti di 27 mila unità e, purtroppo, di altre duemila unità nell'industria alimentare.

 

Nuovi posti sono stati creati nell'industria e nel terziario, dove soprattutto le donne hanno trovato buone occasioni di impiego. È soprattutto migliorata - come nel resto del paese - la qualità del lavoro e dell'occupazione (anche se ancora il 13% dei lavoratori sono sottopagati, e 17 mila persone sono in cerca di lavoro). Nel 1951 solo il 37% delle famiglie aveva la casa in proprietà, ora sono l'80%; il reddito pro capite è triplicato, passando dal 51% di quello inglese nel 1949, al 99% nel 1991; coloro che avevano la licenza elementare erano l'84% nel 1951 (con il 27% di analfabeti), il 51% nel 1991. La società è invecchiata, passando di 0,7 anziani per ogni bambino sotto i 6 anni nel 195 a 6 anziani per ogni bambino nel 1991.

La storia economica del ferrarese negli ultimi cinquant'anni è stata segnata da una tipologia agricola basata sul latifondo, ricchezza negli anni Cinquanta e Sessanta e miseria (impulso all'emigrazione e causa di scarsa imprenditorialità) in anni successivi. La popolazione attiva (dai 10 anni in su) in agricoltura era, nel 1951, di 137 mila persone. Nei campi lavorava il 64% di chi aveva un'attività: 98.000 braccianti, 1080 imprenditori agricoli e 10.759 coltivatori diretti, coadiuvati da 25.678 familiari. Per capire il peso che allora aveva l'agricoltura, basterà dire che gli occupati del credito e assicurazioni erano solo 1147, e 11.235 nella pubblica amministrazione.

La storia del successo economico dell'Emilia Romagna si fonda su alcuni fattori. Oltre al trasferimento di tecnologie da altre aree, fu rilevante la presenza della piccola proprietà contadina; un contributo notevole venne anche dalla vicenda di molti metalmeccanici che, licenziati alla fine della guerra, riuscirono a trasformarsi in artigiani e imprenditori.


Il polo chimico di Ferrara, simbolo di una industrializzazione fallita e di una grande opportunità di sviluppo per il futuro.Il Museo della Civiltà Contadina di San Marino di Bentivoglio, con i suoi cinquemila utensili inventati dai contadini, racconta quale spinta innovativa venisse da questa classe per sudare meno nei campi, per produrre e guadagnare di più. Un interesse che non potevano avere i braccianti. Per questo il bracciantato (e le classi dirigenti che da esso nacquero) non svilupparono una mentalità imprenditoriale, ma una mentalità di lotta o di manovra politica. L'industrializzazione forzata del fascismo (più immaginaria che reale) e l'insediamento di alcune grandi aziende chimiche nel secondo dopoguerra non hanno compensato la modesta presenza di industrie meccaniche e alimentari, i cui effetti di cerniera con l'agricoltura e di fall out sul territorio sono maggiori.


Le industrie chimiche hanno dato un contributo enorme di occupazione, ma svilupparono una professionalità che non era in grado di generare artigianato; i licenziamenti di massa non hanno così potuto produrre effetti positivi. Oggi, invece, la chimica con la sua ricerca (che è anche applicata), le sue sperimentazioni organizzative e tecnologiche può determinare un vantaggio competitivo, se queste esperienze verranno coniugate con altri settori e diffuse nel territorio.

La modesta imprenditorialità dei ferraresi trova soprattutto qui le proprie radici, ma vi sono anche radici più nascoste che hanno un peso anche maggiore. Ferrara è stata per quattro secoli sede di un ducato, che non è riuscito a creare un diffuso tessuto artigianale e commerciale, e una partecipazione democratica.

 

Ferrara può trovare una dimensione di crescita anche nel turismo naturalistico (nel Parco del Delta) e artistico.Al ducato è succeduto il potere temporale della Chiesa e, per altri quattro secoli, la presenza dei religiosi ha promosso il senso della devozione e non quello della libera intrapresa. Il fascismo, poi, non ha certo contribuito a sviluppare elementi di competizione e di libertà. Al fascismo sono succeduti cinquant'anni di amministrazioni socialiste e comuniste, le cui classi dirigenti si erano in gran parte formate nell'ambiente agricolo. Pur mosse da intenzioni di riscatto sociale, queste hanno risentito dell'humus scarsamente innovativo dal quale erano nate, e l'opposizione non è mai stata capace di porsi come antagonista stimolatore.

 

Ma i fattori politici non sono, a mio avviso, fondamentali. Chiavi interpretative che giungono da altre culture possono aiutarci di più. Umidità e acqua sono gli elementi dominanti del territorio; l'importanza dell'elemento acqua nel mancato sviluppo del Delta fu messo in luce dallo studio socio-antropologico della Cernuski Salkoff, negli anni Settanta; secondo la cosmogonia orientale, umidità e acqua sono connesse a inverno e paura: fattori che inducono al riposo, al lavoro ritirato, al lamento, alla chiusura, all'ostilità per le innovazioni. Le cattive condizioni climatiche riducono la comunicazione tra gli abitanti, inducono a riposare in casa dopo il lavoro, più che a "scambiare" con l'esterno.

Sappiamo che il sistema culturale cambia con grande lentezza e non dobbiamo stupirci se la grande eredità rinascimentale e ducale, centrata attorno all'unico grande castello e non a cento palazzi borghesi, e poi il ruolo della Chiesa hanno determinato un senso di passività più che di iniziativa. Goethe, con la sua viva spiritualità, nel suo viaggio in Italia, fu colto, entrando a Ferrara, «in questa bella città, grande, piatta, spopolata, da un senso di uggia», divenne di «pessimo umore» e il giorno dopo se ne andò.


Ferrara può trovare una dimensione di crescita anche nel turismo naturalistico (nel Parco del Delta) e artistico.Bisogna inoltre considerare la nebbia che, coprendo il cielo e le qualità celesti che da esso promanano, inibisce tutte le attività artistiche, incluse anche quelle imprenditoriali, intese come capacità di generare nuove idee e di organizzarle sistematicamente. Ma nel limite, nel vuoto, c'è anche il germe per il futuro "pieno" e, infatti, qui, più che nelle città vicine, esistono potenzialità di valorizzazione basate su un grande passato, ma anche sui vuoti successivi che hanno preservato il territorio dalle nefandezze che sempre hanno accompagnato la crescita economica.

 

Ecco allora che, nel momento in cui si è tentati di riempire questi preziosi vuoti (come il parco urbano), si deve evitare di compromettere tesori che solo in parte ci paiono come tali. A un sentiero di crescita che si basa sull'industria, sulla conoscenza, si affianca quello dell'enorme potenzialità della città d'arte e dei tesori ancora nascosti che attendono di essere valorizzati. Ferrara ha subito negli ultimi cinquant'anni una trasformazione molto complessa, che ha però posto il territorio in condizioni di affrontare le sfide che provengono da un'economia aperta e dalla competizione nell"'età della conoscenza".

La presenza dell'Università, delle grandi industrie multinazionali, le loro sinergie, costituiscono oggi le basi dell'occupazione futura. Ma ci attende anche una durissima fase di riorganizzazione dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione. Se ciò non avverrà, anche la competitività dell'industria e delle nostre conoscenze declinerà, lasciando spazio ad altre popolazioni, più povere, ma più determinate di noi a sedersi attorno a quel tavolo dello sviluppo che avevano disertato durante i decenni della grande illusione di una crescita a economia pianificata.