Eleonora d'Aragona

Scritto da  Luciano Chiappini

Il ritratto di Eleonora d'Aragona in un manoscritto quattrocentesco.La moglie del duca Ercole I non fu  come si crede una figura di secondo piano nella Ferrara quattrocentesca.

La virtù non fa cronaca e, nell'immaginario collettivo, fa forse assai raramente storia, almeno nel senso che il lettore comune preferisce affondare la propria curiosità nei meandri delle passioni, dei vizi, delle stramberie umane, piuttosto che considerare le varie espressioni di una vita dedicata all'assolvimento dei propri doveri, a un'operosità esemplare, all'austerità dei comportamenti. Non per nulla, in campo estense l'attenzione si è soffermata, in particolare, su quelle donne della famiglia dominante a Ferrara che furono segnate da eventi drammatici o da una condotta passionale e peccaminosa: Parisina, caduta sotto la scure del boia per l'adulterio con il figliastro Ugo; Lucrezia Borgia, della quale - dati i precedenti -  si cerca anche a Ferrara quel tanto di pruriginoso che peraltro, tutto sommato, non c'è; Lucrezia, sorella del duca Alfonso II e moglie di Francesco Maria della Rovere di Urbino, tornata alla casa avita dopo la separazione dal protervo consorte e dedita a stemperare la propria amarezza nella relazione amorosa con un gentiluomo.


Niente di tutto questo nella prima duchessa di Ferrara, quella Eleonora d'Aragona, figlia di Ferrante re di Napoli, venuta sposa a Ercole I nel 1473 e madre di sei figli: la coltissima e raffinata Isabella, marchesa di Mantova; Beatrice, moglie di Ludovico il Moro, morta giovanissima; il primogenito Alfonso, rustico e grossolano, che divenne duca; il velleitario e irrequieto Ferrante; l'ambizioso e scettico Ippolito; lo scolorito Sigismondo. Per la cronaca, si affiancavano ai figli legittimi due rampolli naturali del duca: Lucrezia, sposa di Annibale Bentivoglio, e il frivolo e sfrenato Giulio, protagonista della famosa congiura e del dramma consumatosi nei primi anni del secolo successivo.


Eleonora d'Aragona ritratta come Maria di Cleofa. Ferrara, Chiesa del Gesù.Attentissima, la duchessa Eleonora, all'educazione dei figli e, se i risultati non furono sempre i più lusinghieri, non ci è consentito dimenticare la sostanziale sordità della corte all'autentica onestà e alla correttezza dei costumi. Costante è in lei la trepida cura per la formazione delle sue creature e spesso un suo intervento evita situazioni deprecabili, come quando propone una proroga al matrimonio della figlia Isabella, che si voleva avvenisse - secondo una discutibile licenza abbastanza consueta in quel tempo - appena compiuti i dodici anni. Ma la sua sollecita e generosa attenzione si estende anche ai parenti, all'entourage, alla corte, a tutto il popolo, senza discriminazioni di rango e di classe: il copioso epistolario, soprattutto con il duca Ercole, lo dimostra ampiamente.

 

Alla morte del padre di Francesco Gonzaga, suo genero, scrive al giovane principe, esortandolo ad assumere le nuove e gravose responsabilità con il «vestire un altro homo, et farsi vechio de prudentia, de sapientia et de le altre virtù» e indicandogli le due principali doti «che se convengono ai signori temporali», cioè il timore di Dio e il «proposito de iustitia» che consiste nel «distendere in ogni parte sempre il governo in quello che la iustitia senza conoscere uno da un altro a ragione» e nel dare a ciascuno secondo il suo diritto.

Eleonora sa essere donna autorevole e risoluta non solo durante le frequenti assenze da Ferrara del consorte, ma anche - e soprattutto - nei momenti più difficili e addirittura disperati come quando, per esempio, nel corso della guerra contro Venezia del 1482-1484, i nemici sono alle porte e scorrazzano a piacimento per il Barco, a poche centinaia di metri dal castello, e in città il popolo è in preda al turbamento e al terrore.

 


Ercole I ritratto come Giuseppe d'Arimatea.Il duca, irresoluto e a volte perfino prostrato, sembra abbandonarsi all'inerzia. È solo grazie alla ferma decisione di lei, alla tempestività delle sue scelte, agli ordini che impartisce a ogni livello, che si salva la situazione.
E anche in tempi relativamente più tranquilli sa affrontare i problemi della politica interna e dell'amministrazione con una accortezza e una continuità che il marito certo non possedeva a quel grado. Allo scopo aveva formulato una sorta di programma al quale attenersi nell'attività quotidiana, un codice dei doveri più particolari e minuti quali si addicono a chi ha il compito di guidare e controllare una macchina tanto complicata e articolata come quella della corte estense. E fu tollerante e comprensiva in un'epoca certamente poco incline ad ammettere a pieno titolo la presenza dell'"altro".


Protesse gli ebrei, ingiungendo al pubblico predicatore di non incitare con le sue parole il popolo contro di loro e di non costringerli ad ascoltare «il verbo di Dio» se non lo volessero e, addirittura, invitò l'ebreo Abramo Perizol a confutare, nel suo Maghem Abraam, le dottrine contrarie alla sua religione.

L'innato senso della giustizia la indusse a volere che il bene comune prevalesse sulle offese provocate dagli uomini nelle più varie circostanze, ma non esitò a vigilare attentamente affinchè venisse rispettata l'istruttoria e approfondita l'indagine prima di giungere a una grave condanna.
Accanto a manifestazioni di delicatezza e di mansuetudine, Eleonora sa dare prova di dignitosa fierezza e nei suoi giudizi si rivela non di rado decisamente sbrigativa.

 

Il Visdomino veneziano si è lamentato per certi comportamenti dei ferraresi nei confronti dei suoi compatrioti; la duchessa risponde seccamente che questo Visdomino è un uomo «de sua testa» e che poi si tratta di cose «che non relevano un quatrino». «Questo Gioanni de la Rivosa stimo che sia bono maestro de campagna,» scrive a Ercole, «ma il me pare anche migliore maestro per il suo utile che per quello degli altri», ed è irremovibile nel pretendere da lui tutto quello che deve, dopo un esame attento delle carte. «Un altra rogna non mancho incancrita de questaltra è quella...»; così si esprime in altra occasione.

 

La sua fede religiosa era profondissima. Il cronista Caleffini è esplicito al proposito: «La Illustrissima Duchessa nostra è per certo tuta sancta. Speso se comunica. Ogni zorno sta in oratorio ad orare, quasi ogni zorno cum sore in li monasteri. Et fa tante elimosine che se mai non se poteria contare, credere ni savere et è certissimo. Et dà audienza al populo et spaza suplicatione et è accepta al populo ferrarese».

 

Ma più significative sono le parole che seguono: «Et il Duca se attende a dare piacere et zugare et fare il barcho», perché, a conti fatti, dimostrano come, almeno sotto certi riguardi, fra Ercole ed Eleonora la bilancia pendesse decisamente dalla parte della seconda e che, pertanto, risulta inaccettabile il giudizio espresso da Maria Bellonci la quale, nel volume dedicato a Lucrezia Borgia, definisce Eleonora come donna «senza altra storia da quella del marito». La verità è un'altra: i luoghi comuni - in questo caso la scarsa considerazione delle virtù delle donne - possono giocare un brutto scherzo anche alla più intelligente e documentata delle scrittrici.