Ferrara, amore mio

Scritto da  Ettore Della Giovanna

Copertina di ''Ferrara dentro''."O deserta bellezza di Ferrara / ti loderò come si loda il volto / di colei che sul nostro cuore s'inclina / per aver pace di sue felicità lontane".

È sorprendente che in questa nostra epoca, in cui le città del mondo sono tormentate, fra i molti malanni, dall'inquinamento acustico, Ferrara sia una delle poche che meriti tuttora la laude dedicatale da Gabriele D'Annunzio, novantotto anni fa. Se ci si allontana di appena un centinaio di passi dal Castello Estense, da corso Giovecca e dalla circonvallazione, ecco ritrovata la città del silenzio, con le sue strade tra palazzi austeri al pari di fortezze in cui, come nel Rinascimento, castellane seducenti vivono in virtù di un incantesimo della maga Marfisa, amica dei Paladini di Francia.


Sembra creato per condurti nel silenzio di Ferrara, lo splendido volume illustrato, intitolato Ferrara dentro, di Folco Quilici e Luca Tamagnini, edito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara; e seguendo le immagini suggestive e i testi andiamo dal Quadrivio degli Angeli al vicolo del Granchio, a via delle Volte, dalla piazza Ariostea a via Campofranco, scoprendo la Casa Romei e i palazzi di Renata di Francia e di Ludovico il Moro, e la palazzina di Marfisa, figlia di Francesco d'Este. Con Quilici si penetra nei giardini segreti, invisibili al viandante forestiero, e nei chiostri del Santo Spirito, di San Giorgio Fuori le Mura, di tante altre chiese stupende, e in tutti si respira la pace della clausura monda di peccati.

Ma a Ferrara è violenta e irresistibile l'insidia del peccato perché è sì la città del silenzio e dei misteri, ma è anche la città delle belle donne; lo afferma anche, nel volume citato, Luca Quattrocchi in un eccellente saggio su D'Annunzio a Ferrara, ricordando i nomi affascinanti di Violantilla, Lucrezia, Eleonora, Isabella, Parisina, e poi ancora Vanna, Alivia, Mambilia, Meliadusa... ce ne sono abbastanza per alimentare i sogni di chi - come me - ama restare per ore sui terrazzini dei caffè di fronte all'Arcivescovado e alla Cattedrale dove è comparsa la prima frase in lingua italiana: «Nel milecentotrentacenque nato / Foe questo tempio a San Giorgio donato / Da Glelmo cittadin per so amore / Et mea fu l'opra Nicolao Sculptore».


Un volto femminile tra i fregi di palazzo Roverella. Davanti a quei caffè in corso Martiri della Libertà, passano a piedi e in bicicletta le donne ferraresi, le cui immagini fuggevoli ce le fanno apparire tutte leggiadre e vezzose e avviate a un convegno d'amore. Agnolo Firenzuola, in una nota ai suoi Discorsi intorno alla bellezza delle donne si rifa alla matematica e alle geometrie della Divina Proportione di Luca Pacioli e, nel parlare del seno femminile, offre come modello di perfezione quello delle ferraresi, che possono vantare di possedere i doni della Sulamita di Salomone nel Cantico dei Cantici: «Quanto sei bella, amica mia / quanto sei bella! /[...] Le tue mammelle sono come caprioletti, / gemelli di gazzella, / pascolanti fra i gigli».

 

Il Firenzuola, che in fatto di donne di esperienza ne aveva più di mille e un diavoli, e che conosceva anche l'aurea sezione euclidea, dà poi le misure «tolte dal vivo» - beato lui - della distanza fra i capezzoli che, se ricordo bene, nelle ferraresi è doppia rispetto a quella di ciascun capezzolo con la clavicola nel punto in cui si unisce al manubrio dello sterno, e - infine - dà le proporzioni del triangolo la cui base tocca i capezzoli e il vertice l'ombelico. Mi par che basti per indurre in tentazione anche un giovane domenicano di fra' Girolamo Savonarola, che fu arso tre anni dopo la nascita di quell'indegno monaco che fu il Firenzuola.

Non sembri blasfemo il mio richiamo a un giovane domenicano, perché proprio a lui si riferisce la "Sentenza" del "Disciplina Promptuarius» nel Sentenziario Universale Sacro - Profano - Ascetico -Sociale - Giuridico - Poetico di Cesare Panzini, parroco di Santa Maria delle Grazie IN Montesanto (Napoli, 1876) e cito ad verbum: «II giovane eremita, educato fin dalla sua infanzia nell'eremo, recossi un giorno in città col suo Abate, ed avendo vedute alcune donne in piazza, gli dimandò che cosa mai quelle fossero. A cui l'Abate: sono animali dette donne. Fatto ritorno al Monastero, incominciò a piangere dirottamente, ed al Superiore che volle conoscerne la ragione, disse essere suo vivo desiderio di mangiare quelle oche che avea veduto IN città. Allora l'Abate riunendo tutti i monaci disse: Considerate, Fratres charissimi, mente, quam periculosus est mulieris aspectus».

 

Il monito di quell'Abate dovrebbe valere anche per chi non l'ascolta, sostando nell'ora del tramonto a bearsi della vista delle ferraresi che, come sciami di rondini, corrono verso il nido, avanzando fiere, altere eppur sorridenti se si sentono ammirate, capaci di lanciare uno sguardo malizioso in un baleno e subito con un gesto fingono di abbassare la gonna che la pedalata ha sollevato scoprendo la coscia muscolosa al punto di perfezione tal che, precisa il Firenzuola, se la donna sta ritta fra le due cosce unite deve poter passare un foglio di carta velina, se c'è più spazio son troppo magre, se non consentono il passaggio di quel soffio son troppo grosse. Per nostra fortuna, a Ferrara non hanno mai trovato seguaci le donne-crisi degli anni Venti, né le anoressiche di moda oggi.

Le misure di cui si discorreva più sopra non sono un'invenzione italiana del XV secolo: Fidia, Prassitele, Apollonio le conoscevano già 2500 anni fa, anzi, sono loro che hanno dettato i canoni fondamentali delle armonie femminili. La venere Callipigia di Siracusa, ideale perenne di tutte le ferraresi, non è un esemplare unico; guardate tutte le Veneri di Milo, di Cnido, di Cirene che hanno ispirato i grandi artisti e vedrete che non ce n'è una sola che non meriti l'appellativo di Callipigia, e cercate di immaginare a che cosa si ridurrebbe l'arte classica greca e romana se ci avesse lasciato figure per sempre avvincenti di donne filiformi e fragili come le modelle di Valentino e Armani.

Non ho divagato per un gusto libertino. Ferrara è sì amata fino a infatuarsene per i suoi monumenti che rivelano storie e tradizioni gloriose, per i suoi palazzi testimoni di una razza forte e intrepida, per i suoi silenzi e per le sue oasi di pace, ma non è un museo, una città fantasma; è una città viva, vibrante, progressista, e lo è grazie alla sua gente, certamente anche agli uomini di grandi meriti, mi pare ovvio e non intendo certo sottovalutarne la componente maschile: non sarebbe un errore, sarebbe una balordaggine.
In questa noterella ho privilegiato le donne ferraresi prima di tutto perché è una dichiarazione d'amore, e credo che, nonostante i tempi correnti, si presuma tuttora che l'uomo parli d'amore a una donna, e poi perché, come ha detto il poeta ungherese Nikolaus Lenau, «al soave impeto delle vera bellezza femminile non può resistere alcuna forza al mondo».

Da Ettore Della Giovanna