È lì che, due anni or sono, si decise di dare inizio alla preparazione tecnica e culturale di quindici ragazzi, scelti tra una cinquantina, per abilitarli sia alla conservazione sia al restauro di tele centenarie (moderne) e attorno al mezzo secolo (contemporanee).
L'input venne da Franco Farina, il "maestro" che curò e organizzò in prima persona indimenticate mostre presso la galleria di Arte Moderna di Palazzo Diamanti, fin quando per l'indesiderabile traguardo del limite d'età, dovette passare la mano. Gli erano arrivate dalla Spagna, per una delle sue ultime rassegne pittoriche dedicate a Tapiés, diverse opere in condizioni disastrose e avvertì la necessità di creare a Ferrara una scuola per la conservazione di opere moderne, di cui il Paese era mancante. Per il finanziamento è intervenuta la Regione Emilia Romagna, che attraverso il Cesfo ha potuto accedere al Fondo Sociale Europeo, con un contributo conclusivo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara.
Un gruppo di giovani, alcuni provenienti da Parma, Reggio Emilia, Ravenna, tutti in possesso di un diploma di scuola superiore - preferibilmente di liceo artistico - affidati alle premure didattiche di Ferruccio Petrucci, docente di fisica delle alte energie e da sempre vocato allo studio della fisica applicata alle opere d'arte. Il biennio ha impegnato gli allievi per l'intero anno scolastico, sette ore al giorno ad apprendere le tecniche più sofisticate per riportare un dipinto malmesso possibilmente alle condizioni di origine.
Nessuno quindi ha potuto concedersi il tempo per un'altra attività che non fosse lo studio per un corso universitario. Alla fine, la stessa Regione esaminerà gli studenti per l'assegnazione di un diploma di qualificazione professionale.
Come si chiameranno, a quel punto, gli allievi? Artigiani, restauratori, conservatori d'arte? Al riguardo manca ancora una legislazione, ma in verità importa molto di più che a questi nuovi esperti della professione di salvare dipinti dal degrado, talvolta irreversibile, del tempo trovino un impegno adeguato alla loro competenza e non debbano mettersi in coda con migliaia di altri giovani alla ricerca disperata della prima occupazione.
Farina è sempre entusiasta dell'intuizione che ebbe nel 1995, convinto della necessità di preparare operatori all'altezza del delicato compito di recuperare tele già in fase di deterioramento, o di salvaguardarle prima di un loro grave degrado. E non nasconde il proprio ottimismo, sapendo bene che il problema di tutti i musei e gallerie d'arte moderna si pone, da subito, per la manutenzione delle opere, prima di arrivare all'extrema ratio del vero e proprio restauro. E spiega così: «Gli operatori estetici che lavorano nel settore prevedono che il materiale di cui si servono adesso abbia un tempo limitato di sopravvivenza, ed ecco perché è importante ritardare il più possibile il decadimento del prodotto stesso, attraverso la manutenzione».
Non si sa ancora se il corso, sul punto di concludersi, avrà un domani. Per il momento è già stata reiterata la domanda alla Regione per il finanziamento di un secondo biennio e, se la risposta fosse positiva, potrebbe innescarsi un meccanismo tale da mettere l'Università in condizione di istituire una laurea breve di tre anni. «Di restauratori di arte antica in Italia ce ne sono molti», continua Farina, «mentre per quanto concerne quella contemporanea non ne esistono quasi. Si può tutt'al più fare ricorso a quanti hanno maturato esperienze presso l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, oppure l'Istituto Nazionale del Restauro di Roma, dove si stanno affrontando anche le problematiche della pittura più recente.
E proprio a Ferrara si potrebbe colmare questa lacuna. Ho trovato nel Rettore una disponibilità entusiasta, ma per poter arrivare a istituire la laurea breve bisognerebbe poter contare sull'imprenditorialità e l'apertura delle istituzioni locali. A Venezia, infatti, nell'autunno scorso si sono tenute ben sei tavole rotonde per discutere e realizzare iniziative che abbiamo già portato avanti nel nostro corso in questi due anni. Non dobbiamo correre il rischio di gettare al vento la nostra esperienza didattica e operativa».
Frattanto, il professor Petrucci sta concludendo il programma di preparazione degli allievi e, tra non molto, li porterà a sostenere stage presso le Gallerie di Arte Moderna di Bologna, Reggio Emilia e Cento, come già fece l'anno scorso con grande utilità per i ragazzi, che hanno potuto affrontare direttamente impegnativi interventi professionali: cinque settimane di definitivo collaudo dopo che avranno ospitato nello studio di via Machiavelli una decina di artisti italiani, invitati a eseguire di fronte a loro un'opera, a rispondere alle loro domande sulle tecniche e sui materiali usati. È, questo, il modo più efficace per dare modo ai prossimi restauratori di codificare il lavoro per eventuali interventi futuri. Così, tra poco l'aula resterà vuota. Con la speranza dei fautori della scuola che a settembre possa rianimarsi.
Dal moderno all'antico. Siamo andati nello studio di uno dei pochi restauratori attivi a Ferrara, una donna: la giovane Maria Barbara Stella, artigiana dell'arte, come ama definirsi.
Sono passati dieci anni da quando uscì col diploma dal liceo artistico di Ravenna per entrare prima all'Accademia, poi all'Istituto per l'arte e il restauro di Palazzo Spinelli, a Firenze. Con il diploma professionale della Regione Toscana, ha eseguito i primi lavori nella sua Porto Garibaldi e a Comacchio, a palazzo Bellini.
A questo punto, la passione per il suo lavoro la portò a prendere la coraggiosa e importante decisione di trasferirsi a Ferrara, dove aprì uno studio nella zona medievale della città, in via Fondobanchetto. Oggi, gli ampi saloni del suo laboratorio ospitano, oltre a un'attrezzatura professionale pressoché completa, dipinti di grandi dimensioni da rimettere a nuovo per incarico della Soprintendenza. Sorride, se le si chiede quali prospettive riservi questa attività a lei e agli altri giovani.
Confida di non aver mai avuto momenti di inattività, e subito torna a parlare dei suoi lavori. Tra quelli che l'hanno appassionata di più ricorda il dipinto del comacchiese Cesare Mezzogori, raffigurante una Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Giustina (1661): un dipinto di grandi dimensioni, fortemente degradato, che ha richiesto tre mesi di lavoro. E, ancora, la Natività , di autore ignoto del XVII secolo, e un dipinto di misure più contenute, un Gesù Cristo nel sepolcro, entrambi siti nella Chiesa del Gesù a Ferrara. Inoltre ha meticolosamente curato il restauro di altre opere, tra le quali alcune pale d'altare. Che ci sia spazio per questi custodi dell'arte e del tempo, non solo in campo pittorico, ma anche urbanistico, è fuori di dubbio.
[A conferma di questo, vale la pena ricordare che nel solo campo del restauro di dipinti e tavole di arte antica a Ferrara, oltre a lo della giovane Maria Barbara Stella, sono attivi cinque laboratori: Studio Erre, Piella Ariodante e Figlio; Donatella Magnani; Alberto Sorpilli; e Gianoberto Gallieri, ndr] Per quanti altri ci sarebbe da lavorare, se è vero che il 60% del patrimonio artistico mondiale si trova nel nostro paese? Allo Stato, alle Soprintendenze, alle istituzioni, agli enti e ai privati tocca il dovere morale di salvare questa ricchezza per esibirla orgogliosamente a chi guarda all'Italia come punto di riferimento di antichi splendori.