Giunto a Ferrara, avevo bisogno di riposarmi; presi alloggio alla locanda di San Marco, dove c'era la posta dei cavalli; mentre pranzavo da solo in camera mia ecco che viene il mio giocatore a farmi visita e a propormi la rivincita: io rifiuto, mi prende in giro, tira fuori dalla tasca un mazzo di carte e una manciata di zecchini e mi propone una partita di faraone; io rifiuto di nuovo.
Via, mi disse, via, signor mio, vi devo una rivincita; io sono un uomo dabbene, voglio concedervela e voi non potete rifiutarla. Soggiunse: voi non mi conoscete; per assicurarvi sul mio conto, eccovi le carte, tenete voi il banco, io punterò. [...]
Prendo dalla borsa dieci zecchini per far fronte a quelli del mio avversario, mescolo le carte, faccio alzare: l'amico raddoppia la sua puntata; io vinco: eccomi contento come un Arlecchino; mescolo di nuovo e faccio alzare; l'onest'uomo raddoppia la scommessa, vince e fa paroli; questo paroli decideva del banco, non potevo rifiutarmi di accettarlo: accetto e vinco; il furbo bestemmia come un carrettiere, prende le carte che eranocadute sul tavolo, le conta, trova una carta spaiata, dice che quella mano non vale, sostiene anzi di averla vinta; vuole impadronirsi del mio denaro, io lo difendo; estrae da tasca una pistola, io indietreggio: quegli zecchini non mi appartengono più.
Allo strepito della mia voce piagnucolante e tremante entra un cameriere dell'albergo e, d'accordo, forse, con quel furfante, ci annuncia che avevemo rischiato, l'uno e l'altro, le pene più severe previste per il gioco d'azzardo e minaccia di andare a denunciarci immediatamente se non gli diamo un po' di denaro. Da parte mia, gli diedi in fretta uno zecchino; presi al più presto la posta e partii, irritato per aver perduto denaro e, ancor di più, per essere stato giocato.
Carlo Goldoni (1707-1793), Memorie.