Neoguelfismo ferrarese

Scritto da  Amerigo Baruffaldi

Il cardinale Cadolini: protagonista, con Laderchi, del momento neoguelfo a Ferrara.Istanze cattolico-liberali nella vita e nell'opera di Camillo Laderchi (1800-1867).

Anche nella città di Ferrara, per quanto Legazione dello Stato pontificio, il Risorgimento italiano visse, intorno alla metà del secolo XIX, il proprio momento neoguelfo. Furono, quelli, anni contrassegnati da importanti eventi politico-religiosi (dalla pubblicazione del Primato giobertiano al riformismo di Pio IX e al subito offuscarsi del mito neoguelfo, dall'occupazione militare di Ferrara da parte dell'Austria nel 1847 all'esito negativo della prima guerra d'indipendenza, all'avvento della Repubblica Romana alla successiva restaurazione pontificia) e da forti contrasti ideali.


Ne furono protagonisti e interpreti insigni, l'allora arcivescovo di Ferrara, cardinale Ignazio Giovanni Cadolini (1843-1850), l'avvocato Luigi Borsari e il professor Camillo Laderchi: tre personaggi favorevoli già allora a una progressiva conciliazione e a un graduale accordo tra religione e libertà, tra sentimento religioso e sentimento patrio, tra dottrina della Chiesa e libere istituzioni.
Camillo Laderchi - forse delle tre la figura meno nota e meno studiata - nacque a Faenza da famiglia aristocratica di cospiratori e aderì in gioventù alla Carboneria, finendo ben presto nelle mani della polizia austriaca. Durante i processi di Milano del 1821, per l'inesperienza e la paura, fece dichiarazioni che costarono la vita a un suo professore dell'Università di Pavia, Adeodato Ressi.

Conseguita la laurea in giurisprudenza presso l'Università di Bologna, il Laderchi si trasferì a Ferrara. Nella sua città d'elezione, per il suo schietto cattolicesimo e per la moderazione dei suoi principi liberali, godette della stima dell'autorità ecclesiastica al punto da ottenere l'insegnamento di Diritto Romano e di Filosofia del Diritto presso la locale Università.
I suoi svariati interessi culturali - dalla storia alla filosofia, dalla politica alla religione all'arte - e il prestigio che in breve tempo si guadagnò negli ambienti culturali locali e nazionali lo posero in contatto con eminenti personalità della cultura cattolico-liberale italiana ed europea (Alessandro Manzoni, Silvio Pellico, Massimo d'Azeglio, il Montalembert, l'Overbeck, solo per citarne alcuni).

Politicamente, il Laderchi si professava liberale, e considerava la libertà «il più gran bisogno delle società moderne»; non si peritava a sottolineare i vincoli da cui gli appariva limitata la democrazia del suo tempo (l'«aristocrazia del censo, delle capacità, della nascita») e ad auspicare il superamento di queste difficoltà e di questi limiti nel progressivo allargamento dell'«elemento democratico» in seno al governo delle nazioni.
Questo ci induce a ritenere che Camillo Laderchi fosse orientato verso una concezione latamente democratica della società, verso una forma sempre più piena e compiuta di partecipazione popolare alla guida degli stati.

Tratto dalla rivoluzione parigina del 1848 a meditare sul dilagare della violenza politica e sulle sue cause, giunse alla conclusione che quel fenomeno sarebbe durato sino a quando «gli uomini non avranno fede in una giustizia superiore alle ingiustizie terrene», e che «solo il cattolicesimo può sanare radicalmente questo cancro».
Proprio qui maggiormente si sente il pensiero politico-religioso dell'ideologo ferrarese dispiegarsi conformemente a quel disegno provvidenziale che presiede alle vicende e alla storia delle nazioni, che considera somma ingiustizia limitare la libertà degli individui e dei popoli, che postula l'esistenza di una giustizia divina, cui gli uomini dovranno riferirsi.

 

Luigi Borsari: protagonista, con Laderchi, del momento neoguelfo a Ferrara.Quindi anche per il Laderchi, come per il contemporaneo Manzoni tanto spesso e con tanto rispetto da lui richiamato, i valori di libertà, di giustizia e di democrazia, che discendono dall'Illuminismo, acquistano il loro più compiuto significato in quanto vivificati nella luce del Vangelo.
La stessa legge civile riuscirà feconda e positiva, realizzerà cioè il fine che le è proprio, solo se prenderà le mosse dalla religione cattolica, unica sorgente da cui può derivare il "vero bene". Siamo in piena temperie romantica e neoguelfa; in una prospettiva di renovatio cristiana delle coscienze, alimentata dalla religione «regolatrice della società come l'anima del corpo, il pensiero dell'azione».

La soluzione "separatista" vagheggiata dal nostro ideologo in ordine ai rapporti tra Stato e Chiesa risponde non solo al "principio cattolico", ma anche all'ottica liberale, riassunta e codificata nella celebre formula cavouriana «Libera Chiesa in libero Stato».
La condizione ottimale - per Laderchi - è quella di uno stato che ponga alla base della sua legislazione la libertà e l'eguaglianza dei culti; di uno stato che professi di non attenersi a nessun dogma religioso, ma che protegga e tolleri tutte le opinioni: in una condizione siffatta, la Chiesa cattolica, spogliata della protezione altre volte concessale, non avrebbe bisogno d'altro se non di quella libertà che è diritto comune di ogni cittadino, a qualunque culto appartenga.

Il Laderchi ebbe inoltre profondo il senso della patria cittadina: curò la seconda edizione dell'insuperata Storia di Ferrara di Antonio Frizzi, con note di puntuale esattezza e a taglio neoguelfo.
In campo letterario e artistico, due nomi si imposero alla sua ammirata considerazione: quello del Manzoni e quello del pittore tedesco Federico Overbeck.
Egli era convinto che, con la loro arte, questi avessero dimostrato che la civiltà non può non riposare sull'«impero dell'idea religiosa», e confermato che l'età loro, nonostante l'orgogliosa incredulità e il diffuso indifferentismo religioso, non aveva perduto, per usare le parole di Montalembert, «la meravigliosa intelligenza delle cose superne». Resta da dire che l'alta competenza del Laderchi nelle arti figurative è attestata da un'opera intitolata Descrizione della Quadreria Costabili, che gli procurò innumerevoli riconoscimenti, non ultimo quello del Montalembert.

Una vita, quella di Camillo Laderchi, informata ai principi cristiani riassunti non già in una dimensione passatista e retriva, ma nella piena consapevolezza che essi potessero e dovessero conciliarsi e coniugarsi con le istanze più vive del liberalismo italiano ed europeo. Che fu poi, a ben vedere, il grande insegnamento del romanticismo cristiano del Manzoni, cui il Laderchi stesso guardò come modello insuperato di moralità e di civiltà.

Da Amerigo Baruffaldi