Sessant'anni fa

Scritto da  Redazione

Un altro momento della giornata di celebrazioni per il 160° anniversario della Cassa.Le Cerimonie per il primo centenario della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ferrara.

Il 16 giugno 1938, il senatore Pietro Niccolini, presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara, per celebrare il centenario dell'istituto, scelse la rinnovata sala del Consiglio, in corso Giovecca, anziché il Castello estense, il palazzo dei Diamanti, o palazzo Schifanoia, o il palazzo di Ludovico il Moro.


Questi luoghi, a parere di Niccolini, avrebbero offerto un'ospitalità suggestiva e solenne, ma sarebbero stati inadatti, perché esprimevano «ricchezza, fasto, arte e splendore». Bisognava invece parlare di risparmio nel luogo dove da un secolo erano custoditi i risparmi dei ferraresi, dove erano gli atti che dimostravano «come per un secolo quei risparmi siano stati con grande scrupolo amministrati», intendendo per scrupolo «controllo coscienzioso, non puro calcolo utilitario».

Erano presenti le più alte autorità dell'epoca, fra cui Edmondo Rossoni, in rappresentanza del Governo, cui Niccolini espresse la sua particolare gratitudine, «per quanto ha fatto e fa per la provincia di Ferrara» e Italo Balbo, giunto più tardi a raccogliere gli applausi scroscianti del pubblico, il maresciallo Pecori Giraldi, gloria del nostro esercito e ancora il Governatore della Banca d'Italia, senatore Azzolini, il presidente della Federazione nazionale delle Casse di Risparmio e dell'Istituto internazionale del risparmio, marchese De Capitani d'Arzago, e i rappresentanti delle Casse di Risparmio italiane, in particolare l'onorevole Enrico Masetti, presidente della Federazione regionale e dell'Istituto di Credito delle Casse di Risparmio Italiane, che aveva portato in dono il capitale di una borsa di studio e una targa marmorea «a perenne ricordo del centenario».

Il senatore Niccolini, nella sala gremita dalle autorità - tra quelle cittadine vanno ricordate il direttore professor Calzolari, il Prefetto, il Segretario Federale, l'Arcivescovo, il Podestà, il Preside della provincia e tutte le autorità della città e della provincia - sottolineò con orgoglio i meriti della Cassa di Risparmio, fra i quali l'elargizione di «circa otto milioni per opere di pubblica utilità e di beneficenza», mentre altre notevoli somme sarebbero state erogate quello stesso giorno al Duce e al Podestà per «ragioni benefiche». Con altrettanto orgoglio rievocò la terzogenitura della Cassa di Risparmio di Ferrara (1838), dopo quella romana e quella di Bologna, fondate nello Stato pontificio, in un ambiente politico in cui «il potere stava per passare dalle mani dei preti e dei frati a quello dei secolari, e [quando] durante un oscuro e tempestoso clima storico maturavano alcuni importanti eventi: la proclamazione degli statuti costituzionali, la fine del potere temporale, la repubblica romana, la guerra all'Austria».

Ricordò commosso «le eccezionali qualità» del primo presidente, il conte Alessandro Masi, Gonfaloniere di Ferrara, «patriota riformista e non rivoluzionario», ma, come la maggior parte dei patrioti, «ardente fautore di un complesso di riforme dalle quali si aspettava il progresso e la felicità dei popoli». Di lui rammentò «il dinamismo» e le memorabili iniziative quali la riforma del Municipio, la cui validità rimase nel tempo, il tracciato del viale dei Giardini, divenuto orgoglio di Ferrara, l'inizio della copertura del canale Panfilio - l'attuale via Cavour -, l'istituzione di scuole popolari, asili infantili, la Casa di Ricovero per i vecchi, la riforma dei servizi sanitari, che passarono da un sistema elemosiniero a uno di assistenza civile.

Fra le sue encomiabili innovazioni, anche la promozione della Cassa di Risparmio. Il Gonfaloniere «sentì tutta la bellezza e la forza del principio ispiratore di questa Istituzione, certamente egli s'illuse sulla prontezza e la facilità dei risultati. Ma non ne vide i frutti perché faticoso e tardo fu lo sviluppo delle Casse di Risparmio, non per colpa dei promotori o degli amministratori, ma nemmeno per colpa del Governo pontificio, che pur era definito "reazionario e oscurantista" dagli scrittori anticlericali dei primi anni del Novecento».

Particolare rilievo assunse nel discorso di Niccolini la figura di Gaetano Recchi, primo consigliere-segretario, «da considerarsi il primo direttore», uomo di rilevanza nazionale, prima ancora che locale. Ricordò la sua azione patriottica e politica che lo portò «all'apice della rinomanza e dell'autorità politica», soprattutto quando partecipò ai moti carbonari del 1831 a Bologna e a Ferrara, dopo gli entusiasmi prodotti dai moti scoppiati in sordina a Roma nel 1831 durante il Carnevale e diffusi in seguito a Perugia e poi a Modena, «dove Ciro Menotti e il Duca li fecero divenire seri e alla fine tragici».

Lo Stato pontificio, con la sua propensione a gestire il fermento politico «lasciando fare e lasciando passare», ritenne di poter assorbire e neutralizzare anche questa volta la cospirazione politica e a Ferrara il Prolegato monsignor Mangelli, dopo aver nominato una Giunta di sicurezza, presidente il Gonfaloniere e segretario Gaetano Recchi, «con la coscienza tranquilla salì in carrozza e uscì dalla città dalla porta di San Giorgio». In un'assemblea a Bologna, nella quale Gaetano Recchi partecipò in rappresentanza di Ferrara, si proclamò l'indipendenza delle province italiane e la fine del potere temporale del papa; ma dopo ventotto giorni a Ferrara (cinquantuno ad Ancona) lo Stato delle province unite capitolò e i membri del Governo furono inviati in esilio.

Gaetano Recchi, tornato in città un anno dopo grazie al perdono del Papa, su impulso del Gonfaloniere Masi si diede allo studio della scienza: quella economica, da lui precisata nei tre settori del progresso dell'agricoltura, della navigazione interna e della ferrovia. Studiò anche i problemi del risparmio - e, conseguentemente, la fondazione della Cassa di Risparmio - a proposito dei quali confermò in articoli di giornale, discorsi e libri la sua forte tendenza ad affrontare le problematiche «con mente forte e senso pratico».
Recchi, in virtù della autorità, della rinomanza acquisita come politico e liberale "equilibrato e avveduto" e del favore popolare di cui godeva, fu chiamato da Pio IX alla Consulta di Stato costituita dal Papa dopo l'amnistia e l'avvicinamento ai liberali. E attraverso quelle alte cariche rivestite favorì il trapasso dei poteri dallo Stato pontificio a quello costituzionale liberale.

Infatti, a seguito delle proteste dei Circoli nazionali e popolari verso la Consulta, che era formata quasi esclusivamente da ecclesiastici, Pio IX in un primo tempo la riformò introducendovi i laici e affidando a Recchi il ministero dei Lavori pubblici; poi accettò una lista civica formata esclusivamente da membri laici, il cui primo nome era quello di Recchi, che formò il primo Ministero liberale, con un programma ben preciso: laicizzazione, Statuto costituzionale, guerra all'Austria.

Il Papa potè accettare lo Statuto, l'espulsione dei Gesuiti, ma non la guerra alla cattolica Austria. Recchi, con grande coerenza e rigore, immediatamente presentò le dimissioni del Ministero, ma per il precipitare degli eventi, sia su richiesta di Ciceruacchio, per conto dei Circoli popolari, sia per volontà del Papa, fu chiamato a istituire un nuovo Ministero. Ma fu Terenzio Mamiani a formare il Governo e Recchi ebbe la prefettura di Ferrara e l'Ispettorato di Stato sulle province di Ferrara e Ravenna. Con le prime elezioni politiche, Recchi fu eletto nei collegi di Iesi e nei due collegi di Ferrara all'Alto consiglio (l'attuale Senato); Recchi, nominato dal papa, era il primo di una lista di quarantasette nomi.

Caduto Mamiani, viene invocato dall'opinione pubblica quale primo ministro, ma rifiuta. Succeduto Pellegrino Rossi, dopo una breve parentesi del Ministero Fabbri, a Recchi viene nuovamente offerto un ministero a sua scelta. Dopo l'uccisione di Pellegrino Rossi e il marasma che si creò nello Stato Pontificio (fuga a Gaeta del Papa, scioglimento della Camera, costituzione del Triumvirato di Armellini e di quello di Mazzini, tentativo di Gioberti di dare alla questione romana una soluzione italiana, assedio di Roma da parte di Francia, Spagna, Austria e Regno di Napoli), il ristabilimento del potere pontificio da parte della Francia repubblicana parve alla popolazione la soluzione migliore.

Minghetti e Pasolini pregarono Recchi perché si mettesse a capo di un movimento di restaurazione liberale ma egli, ormai «disincantato e più chiaroveggente, li dissuase e fece sulla politica di Pio IX previsioni che poi tutte si avverarono». Da questa congerie di fatti fu sopraffatta la vita e lo sviluppo del risparmio, che potè riprendere con vera forza solo settanta o ottant'anni dopo. «È strano,» ha affermato Niccolini, «per molte Casse, dopo quella di fondazione la data più importante è quella di Vittorio Veneto».

Il senatore, dopo la rievocazione storica delle due grandi figure che sono state le propugnataci e le fondatrici della Cassa di Risparmio è tornato al tema del risparmio e delle opere benefiche, ricordando le somme destinate in passato a opere di pubblica utilità (ospizi marini, sanatori e ospizi montani, l'Ateneo, il contributo per erigere l'ospedale), ma soprattutto sottolineando con orgoglio le due operazioni filantropiche che nella giornata si accingeva a compiere: la consegna al Civico Ospedale Sant'Anna di duecento milligrammi di radium «per salvare anche i poveri dal flagello del cancro», e la celebrazione del restauro della Palazzina Marfisa, «donata alla città e agli artisti di tutto il mondo».

Terminato il discorso del senatore Niccolini, intervenne il Podestà; successivamente presero la parola l'onorevole Enrico Masetti, il senatore de Capitani D'Arzago, il Governatore della Banca d'Italia e, infine, tra grandi acclamazioni, Edmondo Rossoni, che recò il saluto del Governo.
Nel pomeriggio di quello stesso giorno, nel cortile della Palazzina Marfisa, con l'Omaggio a Marfisa di Giuseppe Agnelli, si è conclusa la «memorabile giornata, presente tutta la città» come ha riferito il Corriere padano del 17 giugno 1938.