Un quadro ritrovato

Scritto da  Paolo Ravenna

Giuseppe Coen, Cattedrale di Ferrara, Roma, collezione privata Giuseppe Coen. La 'Cattedrale' di Giuseppe Coen torna alla luce, in esclusiva su 'Ferrara. Voci di una città', per ricordarci un grande artista ferrarese dell'Ottocento.

Tra gli artisti del secolo scorso, Giuseppe Coen (Ferrara 1810 - Venezia 1856) è certamente uno dei più vivaci, dotati e celebrati. E a ragione. Acuto vedutista e "pittore fotografo", emerge fin dalla giovinezza per la personalità intensa, scapigliata, eclettica.
Presto Coen si concentra sulla pittura e sull'incisione; per studiare visita Roma, Firenze e altre città, per fermarsi, infine, a Venezia, dove sviluppa la sua vocazione di "paesista" molto abile e ricercato.

 

Nella sua breve e non facile vita si distinse anche per l'impegno dedicato alla fotografia, appresa e perseguita proprio al suo nascere, tanto che lo si può considerare il primo artista fotografo ferrarese.

Se la fecondità e l'alta qualità della sua opera lo resero molto noto, tuttavia, come osserva il Savonuzzi nel suo fondamentale Ottocento ferrarese, edito dalla Cassa di Risparmio di Ferrara nel 1971, «la mala sorte gli è seguitata anche dopo la morte, disperdendogli più opere che a qualsiasi altro ferrarese». Pochissimi, e di incerta collocazione, sono i quadri giunti a noi, mentre rarissime sono le sue fotografie, che pure erano tanto apprezzate da venir premiate all'Esposizione Mondiale di Parigi del 1855.


La fotografia del Castello che l'autore attribuirebbe a Coen.Per varie considerazioni, amo pensare - ma va tutto verificato - che gli si possa attribuire quel superbo Castello, pubblicato da Piero Becchetti in Fotografi e fotografie in Italia, 1839-1880 come di «Fotografo anonimo, circa 1850». Molto probabilmente, è la più antica fotografia di un monumento cittadino, autorevole introduzione a quelle celebri degli Alinari e alle più recenti di Paolo Monti.  Coen è, dunque, forte paesaggista, precursore di quella visione di Ferrara che conosciamo attraverso le opere - spesso ripetitive - di successivi artisti, dal suo allievo Giuseppe Chittò in poi.

 

Lo storico Abram Pesaro, nelle Memorie storiche della Comunità Israelitica ferrarese ricorda che «verso il 1840 ebbe incarico di ritrarre la facciata della cattedrale e due differenti punti del Castello di questa città e ne trasse argomento per tre importanti vedute».

 

Un particolare del quadro ritrovato.Se l'immagine del Castello è pubblicata in almeno tre versioni, nulla, fino a oggi, si sapeva di quella del Duomo. Proprio Savonuzzi si domanda: «Esisteva un duomo del Coen? Certo sì, dato che ne rimane una litografia autografa». Una fortunata circostanza ci permette ora di sciogliere l'interrogativo: quel quadro è stato ritrovato presso un collezionista di Roma che, gentilmente, ne ha concesso la pubblicazione in questa rivista. Che si tratti dell'importante dipinto di cui parla il Pesaro, balza subito all'occhio. Un'immagine di ampio respiro, anche per dimensione, estremamente raffinata, in cui convivono il penetrante occhio del fotografo e dell'incisore, uniti nella visione romantica del colore, modulato fra la luce e le ombre del tramonto.


Un altro particolare del quadro ritrovato.Tutt'intorno, l'artista narra con affetto e pungente sagacia un brano di vita cittadina. La piazza si dischiude come in una sequenza cinematografica, animata dalle figure - ciascuna, un racconto - che si muovono in primo piano e sullo sfondo, fra le linee allungate di una Cattedrale sognata e realistica e la fuga prospettica verso San Crispino. Siamo intorno al 1840; la Loggia dei Merciai figura come era prima del progetto del Canonici (1843), la piazza è tutta acciottolata e ancora non vi compare il Listone.

 

L'arte si fa documento. Un quadro che è espressione della più felice e matura stagione del Coen, da porre senz'altro, con il suo autore, ai vertici dell'iconografia ottocentesca, non solo della nostra città, insieme a quella straordinaria fotografia del Castello, chiunque ne sia l'autore.