I colori di un guardaroba

Scritto da  Grazietta Butazzi

Pinturicchio, Lucrezia Borgia, Appartamento Borgia in Vaticano.Per Lucrezia Borgia, i colori scuri e pieni erano i migliori alleati della sua bellezza.

Tra le dame rinascimentali di cui ancora si ricordano il fascino e l'eleganza, nessuna potè vantare un corredo di ricchezza pari a quello che Lucrezia Borgia portò con sé quando lasciò Roma per venire a Ferrara e diventare la sposa di Alfonso I d'Este. Alla sorella del duca, Isabella, marchesa di Mantova, giungevano notizie strabilianti già prima che la comitiva si mettesse in viaggio: si parlava delle duecento camice, di cui molte del valore di cento ducati ciascuna, e di vesti da ventimila ducati, mentre un solo cappello superava i diecimila.

 


A parte la ricchezza di dote e corredo, di cui il padre pontefice la forniva, il matrimonio con l'Estense - che per Lucrezia poteva rappresentare un porto sicuro, per il prestigio del ruolo che avrebbe assunto e la solidità di una famiglia regolare, dopo le vicissitudini con cui avevano dovuto scontrarsi finora i suoi ventidue anni - non si presentava sotto i migliori auspici. Alfonso si era piegato alla volontà paterna con riluttanza e contrarietà; per il duca Ercole si trattava di un problema politico ed economico, tanto che aveva furiosamente mercanteggiato sulla dote; la futura cognata, Isabella, le era nemica già prima conoscerla, sospettosa per la fama di lusso che l'accompagnava.

 

Eppure Lucrezia riuscirà, proprio con il marito e il suocero, a farsi stimare e amare: al vecchio duca fu gradita subito, appena la conobbe e, come un buon padre, la portava con sé al Barco, a veder volare i falconi e a caccia di lepri e di volpi. Alfonso apprezzò immediatamente le sue grazie, come testimoniano i pettegolezzi salaci dopo la prima notte di nozze, ma fu toccato anche dalla sua disarmante dolcezza che chiedeva protezione: quando giungerà la notizia della morte crudele del fratello Cesare, sarà lui a comunicargliela, lentamente, con cautela, cercando di mitigare il suo dolore, e quando Lucrezia morrà, senza avere ancora compiuto i quarant'anni, lo vedranno «sbattuto, come s'el havesse patiuto la febbre qualche dì».


A uno dei primi ricevimenti in onore dei ferraresi venuti a Roma per scortare la loro futura duchessa, Lucrezia era apparsa abbagliante, in bianco e oro, con il tipico manto spagnolo - la sbarenia - foderato di zibellini; ma nelle feste che seguirono, fino al 6 gennaio 1502, giorno della partenza, la sua apparizione, sapientemente studiata, si ammantò delle cupe tonalità dei colori del lusso, che uguagliavano in preziosità l'oro e l'argento, pure ampiamente profusi nei suoi abbigliamenti. I colori più rari, perché più costosi, erano il rosso e il nero cui, non a caso, il primo trattato a stampa di pittura tessile, il Plichto de l'arte de tintori..., edito a Venezia nel 1540, dedicava lo spazio maggiore.

La colorazione in rosso era, ancora agli inizi del XVI secolo, il prodotto di rare sostanze tintorie usate per i filati serici destinati ai tessuti più importanti, come il velluto o il damasco.
Il cremisino - la tonalità più ricercata, accesa e brillante, tante volte citata nel guardaroba di Lucrezia oltre che nei resoconti del suo viaggio verso Ferrara, e durante le feste per il matrimonio - era dovuto a una sostanza di origine animale, proveniente dall'Asia meridionale, che si trovava anche nelle miscele per ottenere le tonalità cupe del morello, altro colore preferito dal gusto della Borgia.

La preziosità del nero, di cui Lucrezia sembra aver intuito e sfruttato tutte le possibilità di accordo e di risalto per la sua bellezza bionda, risiedeva nel fatto che, per ottenere questa tinta, era necessaria una miscela di sostanze ricche di tannino e di altri ingredienti ferrosi che risultava corrosiva per le fibre seriche; quindi, con dispendio di materia prima, durante la lavorazione, e poca resistenza nel tempo del tessuto stesso.

Nelle liste di guardaroba pubblicate da Luca Beltrami, brilla una sola nota di azzurro: una baschina (una veste composta da gonna e busto, lungo e appuntito sul davanti, finito in fondo da piccole falde), che verrà poi disfatta per comporre un palio d'altare da donare alle suore del Corpo di Cristo, alle quali fu particolarmente vicina e devota.


f10_76_popupLucrezia scelse il nero anche per il giorno del suo ingresso solenne in Ferrara, al centro del corteo, cavalcando sotto un baldacchino sorretto dai Dottori dello Studio ferrarese. Velluto nero a liste d'oro, su cui ricadeva, come si conveniva a una sposa di rango, la lunga chioma bionda appena trattenuta dalla rete di oro e brillanti, dono del suocero, cui pure doveva la superba collana di perle e rubini, appartenuta alla defunta duchessa Eleonora, e ora passata a lei, con grande rammarico di Isabella.

Accanto al fuoco acceso del cremisino, è dei colori scuri e pieni che fece gli alleati della sua bellezza: oltre al nero e al morello, le voci del suo guardaroba citano a ripetizione berrettino - un grigio bruno - e pavonazzo, cioè un viola intenso.
La descrizione delle sue vesti ci mostra, però, il rigore di queste tonalità sempre vivificato dall'oro e dall'argento: sia come elementi decorativi applicati a profusione sugli abiti, sia come filati, parte integrante dell'opera tessile. Come esempio di applicazioni preziose, si possono citare le «centotrentasette peze de oro de martello xmaltate» usate per un mantello di raso color berrettino.

 

Con riferimento all'utilizzo di tessuti realizzati con trame di oro o argento filato, è la marchesa di Cottone che la descrive, nel febbraio 1502, con «un abito di raso morello lavorato a liste di oro tirato, larghe due dita, disposte a spina di pesce». Con «strisce verticali di tella d'oro e d'arzento», invece, è decorata la veste di velluto cremisino indossata al ballo di casa Roverella, sempre nei primi tempi delle nozze, con diamanti al collo e sulla fronte: una serata inquieta, in cui gli sposi apparvero imbronciati, ma che offrì a Lucrezia, appassionata per i balli, l'occasione di partecipare con i cognati, Ferrante e Giulio, alla danza della torza, prova di abilità in cui, danzando, i ballerini dovevano passarsi di mano una torcia accesa.

 

In oro è spesso l'impugnatura dei suoi ventagli - sempre di piume, perché non è ancora conosciuta, in Europa, la forma pieghevole che verrà introdotta dall'Oriente - e anche qui si ritrova il suo preferito color berrettino, con cui sono tinte le piume. Ricami in oro filato e canutiglia d'oro anche sulle scarpe, di raso e di velluto, fra le quali primeggiano sempre nero e cremisi; e di cuoio dorato e pintato sono le tapine che si fa mandare da Venezia: eleganti pantofole con suola a zeppa di sughero, che, verso la fine del secolo XVI, aumenteranno in modo vertiginoso la loro altezza, fino ai cinquanta centimetri e oltre.

 

La mancanza di un ritratto sicuramente attendibile di Lucrezia, ne aumenta il mistero e, quindi, anche il fascino. Non fu bellissima. Ma su una seduzione fatta soprattutto di grazia delicata, convennero tutti: da Roma, il consigliere ducale Castellini scriveva al duca Ercole, ansioso di essere rassicurato su questa nuora dall'orribile reputazione, «ha ottima grazia in ogni cosa con modestia venustà e onestà»; e, al tempo dell'alleanza con i francesi contro Giulio II, un cavaliere francese la definì «triomphante princesse... bonne, douce et courtoise». L'incanto dei biondi capelli è ancora testimoniato da quel ricciolo nella preziosa teca all'Ambrosiana di Milano, probabile pegno amoroso donato a Pietro Bembo, che le scriveva di «que' due leggiadrissimi e scintillantissimi occhi vostri che m'hanno tutta piagata l'anima».

 

Dei dipinti che si ritiene la ritraggano, forse quello che più richiama la sua avvenente dolcezza è la Santa Caterina negli affreschi del Pinturicchio dell'Appartamento Borgia in Vaticano, con i magnifici capelli biondi, folti e ondulati, che si allungano fin sulla schiena, e il sontuoso gioiello sulla fronte, di quelli che Lucrezia amava portare. Una pettinatura con capelli liberi e sciolti, appena frenati da due ciocche laterali, fermate sul dietro, che le eleganti dame rinascimentali, in quegli anni, definivano pettinatura "ALL'antica"; ed è con una chioma come questa che la duchessa di Ferrara è effigiata in una medaglia.