La monografia - Da Santa Maria di Savonuzzo a S. Venanzio - Una chiesa trecentesca nel territorio ferrarese - promossa quest'anno dagli attuali proprietari, la Ferrariae Decus e il Comune di Copparo, analizza la storia della chiesa e ne testimonia lo stato attuale.
Nel testo, Andrea Emiliani, riportandosi ai primi anni Cinquanta, ripercorre i momenti e le emozioni del suo incontro con gli straordinari brani di pitture affioranti sulle pareti di S. Maria; Alessandro Volpe studia, data e attribuisce filologicamente quanto di questi affreschi il restauro ha potuto evidenziare; Carla Di Francesco, responsabile dell'ultimo intervento sulla chiesa, indaga l'architettura; don Enrico Peverada documenta la storia dei patroni e dei rettori, dalla fondazione al XV secolo; Alberto Andreoli esamina la lapide; Lucio Scardino descrive tre superstiti elementi di arredo liturgico; Marinella Mazzei Traina analizza le proprietà della chiesa e del feudo di Savonuzzo dal XIV al XX secolo.
Poiché la giurisdizione su tutti gli edifici religiosi della diocesi compete ai vescovi, fonti privilegiate per lo studio di una chiesa sono le relazioni delle visite pastorali che, nel corso dei secoli, ne documentano e governano lo stato di manutenzione, gli arredi e il decoro. Se l'edificio religioso è di fondazione privata, ed è questo il caso di S. Maria, il fondatore acquisisce, per sé e per gli eredi sia il giuspatronato della chiesa - diritto che consente, previa l'approvazione del vescovo, di nominare i sacerdoti rettori - sia l'onere del mantenimento e del decoro, in conformità ai dettati vescovili.
La storia di S. Maria di Savonuzzo scaturisce, quindi, dall'esame delle relazioni delle visite pastorali e dalla parallela indagine sulle vicende umane e patrimoniali dei proprietari.
La lapide, come si è detto, afferma che nel 1344 Giovanni di Viviano da Saletta fonda la chiesa di Savonuzzo e la fornisce dei mezzi necessari al mantenimento. Un documento, senza precisarne la professione, definisce ser Giovanni sapiens vir dominus.
Laconiche sono anche le notizie sul suo casato; tuttavia, poiché le terre di Savonuzzo sono di ragione feudale della Camera marchionale, è probabile che i Da Saletta siano stati investiti del feudo di Savonuzzo grazie a uffici svolti nell'ambito della corte estense.
Il devoto e colto Giovanni, edificando la chiesa di S. Maria a redenzione dell'anima sua, dona agli abitanti del luogo, proprio in anni caratterizzati da disastrose esondazioni del Po, un punto di conforto e di ricovero sia spirituale che materiale; tuttavia egli compie anche un'avveduta operazione patrimoniale, creando, all'interno di quelle terre feudali, un iniziale nucleo di privilegio, esente da oneri e tasse.
Nel 1360, Pietro, figlio di Giovanni, eredita il feudo e il diritto di patronato sulla chiesa; diciannove anni dopo, vincola la trasmissione del patrimonio alla sola discendenza legittima maschile, ma con la clausola che, in caso di estinzione del ramo maschile, la metà dell'eredità debba essere venduta e il ricavato distribuito in opere di carità, e solo l'usufrutto dell'altra metà vada alle eredi femmine.
La prima descrizione di S. Maria è del 1434, anno della visita pastorale del vescovo Giovanni Tavelli da Tossignano: la chiesa, ad aula absidata, è decorata da tre immagini sacre; l'altare è scarsamente illuminato poiché l'abside è cieca; il tetto ligneo lascia defluire in più punti l'acqua piovana; la porta manca di serrature e le finestre di chiusure; il campanile è sprovvisto di una campana.
Il vescovo ordina ai patroni di ripristinarla e di aprire una finestra nell'abside, a sinistra rispetto all'altare; tuttavia, alla successiva visita, deve constatare che nessuno dei lavori prescritti è stato eseguito.
Questa disattenzione deriva dall'estinzione del casato dei Da Saletta; sopravvive solo la nipote Giovanna che intraprende un'annosa causa in opposizione ai diritti che sulle proprietà della famiglia rivendicano il vescovo di Ferrara e il sindaco dei Poveri di Cristo. Tuttavia, in base alle precise disposizioni testamentarie di Pietro, Giovanna è costretta a sottoscrivere l'atto che potrebbe consentire ai Poveri di Cristo di alienare i beni di Savonuzzo, se il notaio incaricato della vendita non constatasse che quegli stessi terreni appartengono ora a un altro legittimo proprietario. Sin dal gennaio del 1447, infatti, Leonello d'Este aveva personalmente investito il proprio camerlengo Folco da Villafora proprio di quelle medesime terre feudali.
Folco è figlio di Nascimbene e di Antonia, vedova di Ludovico Trotti; la famiglia, di antica origine rodigina, risiede nella contrada di San Romano. Il legame tra i Villafora e gli Este risale al XIV secolo, allorquando, come riferisce Marco Antonio Guarini, "Andrea Villafori, per il suo molto valore ed esperienza ch'egli aveva nel maneggiar l'armi, venne dal marchese Obizo Settimo seco condotto a pigliar il possesso della città di Parma [1344], nel ritorno dalla quale poi venne fatto prigione, tra la detta Città e Reggio, da Filippo Gonzaga IN un aguato teso ivi al detto Marchese".
Lionello manifesta nei confronti di Folco una munificenza e un affetto pari solo a quelli accordati ai propri consanguinei; difatti, in quegli stessi anni, i Libri di spesa della Camera Marchionale registrano tutta una serie di pagamenti per "il palazo che fa fare lo Illustro nostro Signore a Savenuzo per Folco da Villafuora", per la sua sontuosa residenza cittadina di via Borgonuovo - l'ex Seminario di via Cairoli - edificata e decorata dai migliori artigiani della corte e persino per un ritratto "dal naturale" di Lionello e Folco commissionato al Mantegna.
Questa investitura dei Villafora avversa i diritti che su quegli stessi terreni vantano i Poveri di Cristo e causa un secondo decennale contenzioso. Infine, Folco, "a scarico di coscienza", dona una cospicua somma ai Poveri di Cristo e questi sottoscrivono la rinunzia a ogni loro pretesa sul feudo di Savonuzzo.
Tuttavia, l'accordo non menziona S. Maria e il conseguente diritto-dovere al suo patronato: rivendicato ancora dai Poveri di Cristo, non sarà mai ufficialmente riconosciuto né ai Vìllafora né, per lungo tempo, ai loro legittimi eredi e questa incertezza, per oltre due secoli, influirà negativamente sullo stato generale dell'edificio.
Nel 1570, Ferrara e il territorio circostante subiscono un devastante terremoto; dalle visite pastorali risulta che l'abside di Santa Maria è pericolante per cui il vescovo ne ordina il totale restauro, l'imbiancatura e la pavimentazione. Tuttavia, sino alla fine del XVI secolo, nulla di tutto questo può essere attuato poiché alla chiesa sono venute meno persino le rendite istituite dal fondatore. Nel 1649, muore Alfonso, ultimo erede dei Villafora; eredita tutti i beni il nipote Carlo Varano dei duchi di Camerino. Le successive visite pastorali persistono nel disconoscere anche ai Varano il patronato di S. Maria e l'edificio viene abbandonato al totale degrado. Solo alla fine del XVII secolo, il vescovo Paolucci, riconoscendone il patronato, può ingiungere ai duchi di Camerino il ripristino della chiesa.
L'ordine viene disatteso per decenni cosicché, nel 1748, il cardinale Marcello Crescenzi deve intimare ai Varano, pena la revoca della concessione del culto all'oratorio, di restaurarlo, di imbiancarlo e di sostituire tutti i vetri rotti. Sette anni dopo, il cardinale ritorna personalmente a S. Maria e verifica che Alfonso Varano, nuovo patrono, illustre poeta e collezionista d'arte, l'ha totalmente ristrutturata e decorata.
Nella successiva visita l'oratorio viene esplicitamente definito "ornato bene e con eleganza": dopo quattro secoli di incuria questo patronato restituisce al sacro edificio il decoro impostogli dal fondatore.
Tuttavia la morte di Alfonso (1788) infligge alla chiesa nuovi decenni di decadenza.
Si arriva così al 1851, quando il cardinale Vannicelli Casoni, con vivo dispiacere, deve constatare che il nuovo proprietario, Rodolfo Varano, ha abbandonato l'oratorio al più totale squallore e che pensino la pala d'altare è lacera. Il cardinale ingiunge al "nobilissimo patrono" di sostituire immediatamente la pala e di restituire, quanto prima, il dovuto decoro alla casa di Dio.
Rodolfo, ultimo erede della nobile e antica famiglia Varano, dimostra maggiore interesse per la pubblica amministrazione - sarà sindaco di Ferrara e senatore del Regno - che per il proprio patrimonio fondiario, minato da ingenti passività. Alla sua morte, nel 1882, il nipote ed erede designato, conte Alfonso Vincenti Mareri di Rieti, deve accettare l'eredità con beneficio d'inventario. Sette anni dopo, il Regio tribunale delibera che tutte le proprietà dei Varano in Savonuzzo siano messe all'asta: si aggiudica il lotto la ditta commerciale Finzi-Minerbi.
Nella relazione della visita pastorale del 1892, l'intitolazione dell'oratorio è lasciata in bianco, quasi fosse, al momento, controversa. In effetti, nella carta topografica IGM del 1893, S. Maria di Savonuzzo diventa S. Venanzio. Questa variazione di intitolazione è stata sinora attribuita alla trasformazione dialettale del toponimo Savonuzzo in Sanvnuz o Sanvnanz.
L'attuale ricerca suggerisce una diversa ipotesi: poiché i Varano, sin dal XIII secolo, risultano devoti proprio a S. Venanzio, protettore del loro ducato di Camerino, Rodolfo del fu Venanzio, nella seconda metà del XIX secolo, potrebbe aver sostituito la pala d'altare lacera proprio con una effigie del patrono di famiglia e tale collocazione potrebbe aver determinato il cambio di denominazione. Dopo la prima guerra mondiale, la chiesa di Santa Maria-San Venanzio muta anche la sua primaria destinazione d'uso e, per quasi mezzo secolo, diviene deposito di canapa e di attrezzi agricoli.
Così, se, nel 1967, il suo proprietario Alberto Minerbi non avesse deciso di restaurarla, l'improprio utilizzo e la conseguente sommaria manutenzione avrebbero certamente causato la distruzione della chiesa. Nel 1983, Alberto la dona al Comune di Copparo e alla Ferrariae Decus, associazione preposta dal 1906 alla tutela dei monumenti storici e artistici ferraresi. Grazie al contributo del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, nel 1989 iniziano le opere di restauro; i lavori, diretti dall'architetto Carla di Francesco e dal professor Andrea Emiliani, terminano nel 1993. L'anno successivo il Rotary Alfonso II d'Este di Copparo provvede all'impianto di illuminazione interna e acquista dalla famiglia Minerbi le due campane un tempo appartenenti alla chiesa.
La monografia su S. Maria-S. Venanzio dovrebbe essere l'epilogo di questa storia, se, a pubblicazione avvenuta, non avessi casualmente ritrovato in S. Antonio in Polesine un arredo devozionale sicuramente proveniente dalla chiesa di Savonuzzo: si tratta di un'interessante statua lignea raffigurante Sant'Eurosia, patrona delle messi. L'opera, che appare settecentesca, a causa della sovrapposizione di tre strati di colore, di alcune aggiunte ottocentesche e del rilevante degrado, è di incerta lettura; solo dopo una specifica indagine e un accurato restauro si potrà, forse, conoscerne la storia.