Quasi sospesa su un dosso, la piccola chiesa nasconde i resti di un capolavoro, opera di uno dei grandi artisti del "maggior secolo della pittura italiana", accanto alla pittura popolare di un affresco votivo e ad altre più o meno appassionate vicende pittoriche.
Purtroppo, alcuni secoli di incuria hanno gravemente condizionato la leggibilità dei dipinti: delle tre storie che si mostravano nella piccola abside, oggi è fruibile, in parte, solo quella sulla parete di sinistra*. Vi si rappresenta il Cristo fra i dottori, una scena ancora leggibile sulla falsariga dello schema proposto da un altro pittore bolognese in uno scomparto di polittico della Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Il Cristo assiso sull'altissimo scranno provoca lo stupore e la scomposta reazione dei dottori della legge ebraica; uno di essi, sconfitto dalle divine argomentazioni, solleva il commentario con gesto irato per scagliarlo a terra; sull'altro lato della scena, la Vergine rincuora Giuseppe, dopo tre giorni di ricerche nella città di Gerusalemme, passato il timore per la scomparsa del Bambino dodicenne. Nonostante il diffuso deperimento della materia, non deve essere sollevato alcun dubbio riguardo l'attribuzione a Vitale di questo raro reperto: più di un indizio rimanda in maniera coerente all'operato di questo fantasioso narratore in gotico, estroso cavaliere della pittura bolognese, tagliente e aggressivo menestrello di storie cristiane.
L'attività di Vitale da Bologna fuori dalle mura della città di appartenenza è riccamente documentata; in numerose occasioni egli diffuse in territorio veneto l'accento verace e l'acuta improvvisazione del proprio linguaggio.
Non era mancato alle commissioni richieste dal capitolo della cattedrale di Ferrara (1340 circa), o dal Vescovo della città (1344)**, e, pochi anni dopo l'esecuzione dei dipinti presso Copparo, porrà la data della decorazione del catino absidale dell'Abbazia di Pomposa (1351); mentre, alcuni anni prima (1347-49), si era spinto fino a Udine, al servizio del cardinale Bertrand de Saint Genies.
Nell'abside di Santa Maria di Savonuzzo sono conservati alcuni frammenti di pittura a fresco, stesa su un sottilissimo strato di intonaco limitato a parti di pregio, come i volti dei personaggi o certi panneggi, accanto ad aree in cui affiora una sorta di disegno preparatorio, qualcosa di simile a ciò che solitamente è chiamata sinopia; su questa traccia Vitale tornò completando con l'applicazione cromatica oggi perduta, quindi, forse, senza curarsi della consistenza tecnica del dipinto e della conseguente deperibilità della materia applicata.
Ne consegue che l'immagine del dottore irato, lanciatore del libro, mostra appunto il volto dipinto a fresco, morbido e ombroso, e parte del corpo nella scattante rapidità del segno preparatorio vitalesco, immediato come un pensiero, fulmineo e geniale quanto appare, in condizioni di conservazione del tutto simili a queste, nella Flagellazione del Duomo di Udine (1348).
L'iscrizione leggibile presso la lapide murata sulla facciata della chiesetta documenta la fondazione dell'edificio avvenuta nel 1344, per volontà di Giovanni da Saletta; i dipinti rinvenuti all'interno, quindi, non potranno precedere tale data, e, almeno per quel che riguarda i frammenti vitaleschi dell'abside, la seguiranno di pochissimi anni. Non molto più tardi, comunque, appaiono i restanti affreschi raffiguranti l'Annunciazione e l'Adorazione dei Magi, composti rispettivamente sull'arco trionfale e sul fondo della parete destra della chiesa. Il biondo Arcangelo è ciò che meglio mostra il carattere dell'artefice cui riferire i dipinti e il suo nobile atteggiamento mentale.
La grafica di tradizione vitalesca è ammorbidita e la materia levigata e preziosa, come per riflettere brillantemente un pensiero lucidamente costruttivo, eppure blandamente lezioso nel confronto con la schietta rudezza del maestro Vitale; il profilo vivace, l'elegante mollezza dei gesti e il preciso "giro" dello scollo sulle spalle mostrano i caratteri di una personalità tanto nuova agli studi dei trecenteschi, quanto rara, proprio per la notevole volontà di resa qualitativa.
Quel che rimane della Vergine Annunciata, quasi solo lo spazio largamente costruitole intorno e la struttura in legno chiaro e venato del desco e del leggio al suo cospetto, porta, insieme all'apprezzamento, il rimpianto per la perdita di tanta dimostrazione di stile. La domanda che potrebbe riguardare il destino dell'anonimo pittore e l'assenza di altre opere dal vasto, seppure decimato, patrimonio figurativo trecentesco, forse dovrebbe cercare risposta nel terribile contagio che infuriava in quegli anni per tutta l'Europa: sono i tempi della Morte Nera, la peste bubbonica del 1348.
Ancora uno sforzo di controllata fantasia va applicato dal paziente spettatore nell'osservazione della Adorazione dei Magi, sulla parete destra della chiesa: un paesaggio in argilla verde corre ai piedi dei personaggi, cercando di unificare la narrazione di una scena, se non compromessa, certamente provata dai vani della finestra e della porta che fin dall'origine foravano la parete utile al dipinto.
Da un lato della finestrella, la Vergine su un trono di cui si apprezza il solido piedistallo in marmo rosa, forse assestato sulla soglia della capanna di cui, all'estrema sinistra del dipinto, è narrato lo stipite in legno dalle venature brune; dall'altro lato, i Magi variamente atteggiati, fra i quali ancora si osserva il cavaliere in rosso, con la scarsella appesa e i lunghi, eleganti manicottoli pendenti.
Ai margini corre una fascia, nella finzione riccamente decorata, che accosta mosaici di marmi mischi a formelle intagliate con motivi fitomorfi e animati, alla maniera antica: uno dei numerosi episodi di rinascenza della pittura gotica, ma anche testimonianza dello stretto legame e della frequentazione intrattenuta dal pittore con Vitale, che nel proprio repertorio decorativo a fresco mostra soluzioni del tutto simili a questa e, tuttavia, certamente compiute con una qualità esecutiva del tutto diversa.
Mentre i dipinti finora commentati fanno parte di un progetto iconografico unitario, che prevedeva certo una sequenza e una conseguente capacità narrativa ricercata e profondamente motivata dalla morale religiosa d'occidente all'apertura dell'evo moderno, i riquadri ad affresco prossimi all'entrata della chiesa rispondono a una differente richiesta, o forse sarebbe meglio dire che hanno una diversa funzione.
Si dicono "votivi", poiché appare lecito pensare a una commissione privata e soprattutto occasionale di essi, e rispondono alla funzione iconica della rappresentazione: l'immagine sacra si presta, immobile, all'adorazione dei fedeli, instaurando, semmai, con essi un dialogo. Vero, anche, che la tradizione iconologica trascina sull'icona elementi narrativi atti al riconoscimento della figura: così, Cristoforo viene rappresentato nell'azione di traghettare il Cristo bambino, e la Madonna dell'Umiltà parrebbe essere la figura della stessa, estrapolata dal contesto narrativo del presepio e isolata, per assolvere appunto a una differente funzione iconica.
Alla popolare e grezza pittura che caratterizza la Madonna del Latte, si accosta il riquadro con la Madonna dell'Umiltà e il San Cristoforo, eseguito da un pittore di più complessa formazione culturale, non immune dal fascino mondano e appassionato del grande Tommaso da Modena o del seguace di lui, Serafino; questo è il più tardo fra gli artefici ancora presenti a Santa Maria di Savonuzzo, operoso nella graziosa chiesetta forse nel penultimo decennio del XIV secolo.
Note
* Presso la parete destra dell'abside mi attenterei a suppone l'esistenza di una scena come la Visitazione o la Presentazione al tempio, poiché si intuisce la parte bassa dei mantelli di alcune figure che convergono verso il centro della composizione.
** Chi scrive ha attribuito al pittore le Storie di San Maurelio, oggi presso Casa Romei, ma dipinte per il sacello alla base della chiesa ferrarese di Santo Stefano, chiesa pertinente, appunto, al capitolo della Cattedrale: cfr. A. Volpe, Vitale a Ferrara: sventure e risarcimenti, in "Nuovi studi". 5. 1998, pp. 5-13: differentemente, la commissione di quattro statue lignee da parte del vescovo di Ferrara, nel 1344, risulta dal documento conservato in Bologna, Archivio di Stato, Memoriali, 215, not. Giovanni di Buvalello di San Giorgio, c. II-339/b. Per la trascrizione de documento cfr. Filippini-Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna, documenti dei secoli XIII e XIV, Firenze, 1947, pag. 231.