I prestatori

Scritto da  Laura Graziani Secchieri

L'edificio contiguo al campanile di San Paolo, possedimento dei banchieri del Banco della Riva.I banchi di pegno e le famiglie ebraiche a Ferrara e nella politica estense.

Banco di pegni: un'espressione che solitamente evoca situazioni e vicende di disperazione e povertà. Immagini che spaziano dalla bottega del diffidente Ezechiele Annobon tratteggiata nel Mulino del Po... al freddo negozio americano, invaso da un'accozzaglia di oggetti dal valore quanto mai variabile, gestito da Rod Steiger nel film L'uomo del banco dei pegni.
Si risvegliano impressioni ostili, sospetti spesso tragici, suggestioni provenienti dalla concezione cristiana dei prestiti su pegno che determina un rapporto diverso da quello di altre culture con la medesima realtà. Credo che nessuno di noi ferraresi contemporanei abbia mai varcato la soglia di un banco ebraico, nonostante la nostra città possa vantare, al riguardo, una tradizione di svariati secoli.


Nel 1419, Bonaventura ebreo q. Salamon da Prato chiedeva e otteneva dai frati di San Paolo di poter sopralzare l'edificio dove risiedeva, confinante con il campanile della loro chiesa. E in quello stesso fabbricato, all'angolo fra le strade della Ripa (ora Ripagrande) e di San Paolo (ora Porta Reno), nel 1434 Bonaventura gestiva, insieme a Salamon Zudie figlio di Manuele Norsa, un banco foeneratico. Così veniva definita l'azienda di prestito ebraica, e comprendeva sia il commodare su pegno che a interesse.

Spesso il banchiere ebreo, intessendo contatti economici con propri omologhi di ogni paese, diveniva mercante dei più diversi generi di articoli, ricavandone altro denaro liquido che doveva nuovamente investire, in una girandola senza soluzione.

D'altro canto, il mercante ebreo, vivendo con il rischio di essere scacciato e spogliato dei propri averi, preferiva poter fuggire con tutto, o quasi tutto, il suo patrimonio in monete, anziché essere obbligato a lasciare palazzi, mobilia e possedimenti agricoli.

 

La prima sinagoga ferrarese è stata costituita, nel 1481, in quella che era stata la sede del banco dei Sabbioni.Infine, l'autorità ecclesiastica aveva sancito il prestito di denaro come un peccato verso Dio, riservando perciò l'attività del commodare ai soli ebrei, i "paria" della cristianità, per i quali definiva di volta in volta il tasso d'interesse che doveva essere richiesto e attraverso quali modalità il prestatore diveniva padrone dell'oggetto non riscattato.
Da stime per eredità, veniamo a sapere che il materiale dato in pegno era spesso modestissimo: certo, per il popolano affamato che aveva portato al banco i propri oggetti di casa, sapendo che non avrebbe più avuto la possibilità di recuperare le lenzuola lise o il mastello bucato, l'ebreo assumeva tutti i connotati più negativi e l'uomo del banco era un usuraio, anche quando si limitava a richiedere l'interesse imposto per legge.

 

Diversa era la situazione dei governanti, che imponevano al banchiere il prestito a proprio favore, senza lasciare alcun pegno e, spesso, senza poi restituire la somma ottenuta.

Per tornare al banco di Bonaventura, un breve accenno alla sua collocazione spaziale ci permette di capire le diverse dizioni che ne hanno caratterizzato l'esistenza: è stato infatti chiamato il banco della Ripa (o Riva) e da Po, per la sua prossimità con il ramo del fiume che lambiva la città; è stato anche il banco della via Grande, perché aveva accesso da quella strada, ed era conosciuto come banco della Gabella, per la vicinanza con la Gabella Grossa et Grassa o da Riva, che regolava i dazi di confine.

È probabile che Bonaventura, nell'organizzare il suo banco foeneratico, abbia seguito alcuni suggerimenti che erano fissati nel Libro del Prestatore, di autore anonimo, che indicava come fosse opportuno che l'azienda si trovasse nel quartiere più importante della città; inoltre, si consigliava che avesse un'entrata non troppo larga, per impedire assalti indesiderati, riparata da una tenda per favorire la discrezione dei clienti. L'interno del vano destinato al prestito doveva infondere fiducia, per cui era necessario che fosse ben illuminato, oltre che fornito di una bilancia correttamente tarata. Inoltre, da questo ambiente si doveva avere accesso a una seconda stanza, interna, attraverso un varco molto stretto e facilmente difendibile, dove collocare i beni trattenuti in pegno. Infine, era suggerito di mantenere una distanza minima fra prestatore e cliente.

A ben vedere, si trattava di "regole" che, mutatis mutandis, tuttora vengono applicate nelle realizzazioni delle filiali delle banche. In quell'anno 1434, erano presenti in Ferrara altri due banchi; quello gestito da Davide di Consiglio prendeva il nome dalla strada dei Sabbioni (ora via Mazzini) su cui si apriva: nel cuore della città, a un passo dal duomo e dal palazzo di giustizia, e nel pieno di un quartiere vivacissimo per traffici comunali e attività artigiane.

Alcuni eredi di Consiglio gestivano, invece, il banco chiamato, di volta in volta, a la bocha del Canal, del borgo vecchio, dei Carri. Anche in questo caso, il significato dei vari appellativi è chiarito dalla topografia: in antico, la città ha avuto moltissimi approdi fluviali, in corrispondenza di canali creati, in parte, per favorire la viabilità che si sviluppava soprattutto lungo le vie navigabili; in parte, per garantire il deflusso delle acque stagnanti, che si estendevano a nord dell'abitato, fino al corso del Po: ciascuno di questi scorsuri si è poi trasformato in un'arteria stradale, il cui nome riecheggiava l'origine "acquatica". In questo caso, ci troviamo a la bocha del Canal, all'incontro fra la strada di San Gregorio (ora via Cammello) e, di nuovo, la via Grande (in questo tratto, via Carlo Mayr).

Questo terzo banco ha poi preso anche il nome del quartiere in cui sorgeva, una delle zone più antiche della città che, quindi, poteva vantare il titolo di borgo vecchio, e dalla famiglia cristiana, i Carri appunto, a lungo proprietaria dell'edificio.

Per ironia della sorte, i due banchi che hanno modificato nel tempo la propria denominazione al variare della morfologia dell'urbanistica circostante, hanno dovuto lasciare la sede originaria allorché fu istituito il ghetto, nel 1624, pur conservando una o più di quelle dizioni originali, come una vera e propria ragione sociale, mettendo in pratica, da antesignani, la tecnica di attribuire continuità, solidità e affidabilità all'attività che cambiava sede, ma non nome. Questi problemi, invece, non sono stati vissuti dal banco dei Sabbioni che si trovava nel cuore del quartiere poi scelto per la realizzazione del ghetto.

Ma procediamo per gradi: nel Quattrocento e nel Cinquecento, quindi, i tre banchi di prestito erano ben distanti fra loro, e ciascuno era collocato in un punto strategico della vita commerciale e affaristica della città.


Dopo l'istituzione del ghetto, nel 1641, i banchi del Po e dei Carri trovarono sede nella attuale via Vittoria.Infatti, il banco della Ripa era opportunamente situato all'angolo fra le commerciali strada di San Paolo (che collegava il porto fluviale e la porta urbana meridionale con la piazza del mercato) e via Grande, su cui erano la Gabella e l'Osteria dell'Angelo, affollata di viaggiatori e ferraresi. A sua volta, il banco dei Carri era collocato nel cuore del borgo vecchio che forniva un consistente bacino di utenza, formato dal quadrante sud orientale della città e un afflusso di viandanti, pellegrini e mercanti in transito, trovandosi in posizione mediana rispetto agli importanti accessi meridionali alla città, le porte di San Giorgio, verso Ravenna, e di San Paolo, verso Bologna e Firenze. Infine, come accennato in precedenza, il banco dei Sabbioni era tanto centrale che le ore della sua giornata erano scandite proprio dalle campane del duomo.

Perché tanti banchi foeneratici a Ferrara? Gli estensi amavano un tipo di politica estremamente dispendiosa. Tutto ciò ingenerava una continua necessità di denaro "fresco", di pronta cassa, ma di restituzione a lungo termine; la migliore soluzione a questo problema erano i prestatori ebrei. Questa la principale ragione di tanta disponibilità mostrata dagli Este ad accogliere i rifugiati ebrei di mezza Europa. Ecco, quindi, il flusso di askenaziti, provenienti dal centro Europa e dediti a piccole forme di artigianato e commercio (soprattutto degli abiti usati, la strazzeria), e di spagnoli e portoghesi, banchieri e imprenditori, che si sono affiancati ai Pisa, ai Norsa e ai Fano, originari del centro Italia, ma ferraresi da generazioni.

L'attività dei banchi era tanto florida e il gettito che assicuravano annualmente alle casse ducali tanto proficuo che, nel 1560, oltre ai tre "storici" che abbiamo già conosciuto, veniva concessa ad Angelo Fano, figlio del Rabbino Isaac e noto con il vezzeggiativo di Faneto, la condotta per aprire un quarto banco: era chiamato del Paradiso in quanto si trovava in prossimità del palazzo omonimo, sulla strada di San Francesco.

Banchi di prestito e famiglie ebraiche: un binomio inscindibile.

E, a loro volta, questi termini racchiudono due diversi significati, due chiavi di lettura della medesima situazione. Visto con gli occhi del cliente, più spesso cristiano che ebreo, e sovente aristocratico, il prestatore e la sua famiglia dovevano essere persone di assoluta fiducia, a cui poter consegnare beni preziosi anche dal punto di vista affettivo, a volte addirittura interi patrimoni o eredità, avendo sempre la certezza, prima, di una corretta ed equa valutazione, poi, della restituzione al momento del saldo.

Per la comunità ebraica, con il suo entourage il prestatore costituiva una potenza nell'ambito della "città nella città": egli godeva di diritti decisamente esclusivi in quanto, per esempio, era esentato dall'indossare il "segno" di riconoscimento che, nel caso di Ferrara, era una rondella di tessuto giallo da cucire sopra gli abiti; aveva facoltà di armarsi per difesa personale nei trasferimenti da una località all'altra, e la possibilità di divertirsi con giochi d'azzardo, anche organizzati presso la sua stessa abitazione; poteva essere giudicato solo dal Giudice dei XII Savi e non doveva, quindi, sottostare a quanto di norma era previsto per l'"ebreo comune".

D'altra parte, erano molteplici le figure e gli incarichi che ruotavano intorno a queste famiglie facoltose e privilegiate, e andavano dagli agenti e impiegati dei banchi, agli amanuensi che redigevano i documenti contabili per i privati e i banchieri, fino ai precettori per i ragazzi. E, quindi, anche i consanguinei legati a vario titolo di parentela potevano godere di gradi diversi di agiatezza indotta da un banco foeneratico ben avviato.

Altra caratteristica dei banchi ebraici ferraresi è la compartecipazione di esponenti di famiglie diverse alla stessa impresa. Non sempre si tratta di attività intraprese in prima persona da giovani emancipati, cioè autonomi rispetto alla famiglia, per cui i diversi ceppi di appartenenza spesso si trovarono a gestire in società più di un banco di prestito.

La disponibilità economica, inoltre, consentiva alla famiglia del banchiere di mantenere un rabbino e di allestire una scola o un oratorio per lo studio e la preghiera nell'edificio dove aveva l'abitazione e il banco di prestito: non è un caso che la prima sinagoga ferrarese sia stata creata e organizzata per il volere e la generosità di quel ser Mele che nel 1481 aveva acquistato il banco dei Sabbioni, con le botteghe e il fabbricato tutto.
Oppure che l'oratorio Fanese sia stato realizzato dalla famiglia Fano, allorché gestiva il banco dei Carri.

 

La palazzina che ospitava il banco della Riva, nella attuale via Porta Reno.E se il banchiere Abram Emanuel Norsa ottenne da Ercole I, nel 1543, quell'importante riconoscimento che era un Privilegio, poi riconfermato a lui e ai suoi eredi dai successori del duca, Isaach q. Salvator Fano fu uno dei pochi ebrei che potè fregiarsi del titolo di Civis ferrariensis alla metà del Cinquecento. Dopo la libertà di azione goduta durante il periodo estense, dopo la fiducia e il rispetto da parte dei governanti e della relativa corte, nel 1598, con la devoluzione del ducato di Ferrara alla Santa Sede iniziò un periodo di incertezze e timori tanto da richiedere l'intervento di truppe per cautelare la comunità ebraica impaurita. Fino alla chiusura nel recinto degli ebrei, attuata fra il 1624 ed il 1627.


Dobbiamo immaginare che, se fu tanto profondo lo stravolgimento per tutti quei singoli componenti della comunità (e, in realtà, erano tanti) costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e le attività commerciali e artigianali sparse in città, ancora maggiori debbono essere stati i problemi per i gestori dei due banchi situati al di fuori della perimetrazione del ghetto: trovata una nuova residenza nella strada di San Giacomo alias Gate Martie, i Budrio del banco dei Carri, come i Rossi del banco da Po, vi hanno trasferito le rispettive aziende che, per continuità, hanno conservato le denominazioni originali.

Nonostante le innumerevoli e pesanti restrizioni imposte contestualmente alla realizzazione del ghetto, l'importanza dei banchi foeneratici gestiti da ebrei, sostegno e liquidità per aristocrazia e popolino, non diminuì, tanto che, nel 1779, il Banco Coen gestiva i pagamenti delle affittanze degli immobili di proprietà del Priorato di San Romano, per i quali utilizzava addirittura ricevute predisposte a stampa a Credito di Sua Eminenza Rev.ssima il Sig. Cardinale Guido Calcagnini Vescovo d'Osimo, e Cingoli, e Moderno Priore Commendatario del Priorato suddetto, e di San Pietro di Coparo... ancora una volta l'autorità ecclesiastica si assolveva dell'utilizzo dei prestatori ebrei, nascondendosi dietro la formula commodatis et necessitatis utilizzata da papa Niccolò.

Ma, nel frattempo, era stato realizzato il Monte di Pietà ed era fallito, era stato rifinanziato e nuovamente aveva fatto bancarotta; ai prestatori mercanti ebrei si erano affiancati banchieri cristiani, dapprima osteggiati, quindi accettati. La professione aveva gradualmente assunto un proprio ruolo riconosciuto anche a livello sociale e, se pure "la città nella città" di Ferrara non possa vantarsi di avere dato origine a una stirpe finanziaria prestigiosa come quella dei Rotschild, è storicamente giusto ricordare come i banchi foeneratici abbiano contribuito a rendere possibile la realizzazione di quello splendido sogno umanista che la casa d'Este aveva concepito per la città di Ferrara.