L'inquieto 'Serenissimo'

Scritto da  Luciano Chiappini

Girolamo da Carpi, Ritratto del Duca Alfonso II, Madrid, Museo del Prado.Profilo del duca Alfonso II d'Este, sotto cui il Bastianino visse e operò.

Il Bastianino nasce intorno al 1532 e muore nel 1602; ha circa ventisette anni quando Alfonso II diventa duca di Ferrara, e quindi sopravviverà di circa cinque anni all'Estense, morto nel 1597. Pertanto, la sua vita da uomo adulto e, soprattutto, da artista si svolge in pieno sotto il ducato di quello.
Va subito affermato che l'atmosfera a Ferrara risentiva di una situazione politica, sociale ed economica non certo delle più tranquille e sicure. Alfonso, sin dall'inizio, dovette far fronte a problemi inquietanti.
Da un lato, la fatica sempre maggiore a rimanere al governo di uno stato di modesta entità, nel teatro europeo fra potenze del calibro di Francia, Spagna e Impero. Da un altro lato, l'ossessione di garantire alla sua famiglia la continuità alla guida del ducato, messa in forse dalla politica ormai chiaramente seguita dalla Santa Sede, volta al recupero dei suoi territori già concessi in feudo. Infine, le difficoltà personali create da un carattere contraddistinto da ambizioni sfrenate e in ogni caso prive di una ragionevole consistenza.


La virata della diplomazia ferrarese dalla tradizionale amicizia con la Francia nella direzione dell'Impero, effettuata attorno al 1560, rappresentava il tentativo di assicurarsi appoggi più corposi e, in prospettiva, carte più vantaggiose da giocare, soprattutto occasioni da cogliere al volo per allargare, in un modo o nell'altro, la propria zona d'influenza. Il punto dolente era costituito sempre dall'esigenza di poter contare su di una discendenza diretta, al fine di evitare le maglie inesorabili della famosa bolla del 1567 di Pio V, la quale parlava un linguaggio chiarissimo: ai parenti e agli stessi figli illegittimi era preclusa l'investitura di feudi ecclesiastici, quale appunto Ferrara, e perentoriamente si escludevano eccezioni o revoche al riguardo.

 

Riproduzione in oro della medaglia celebrativa coniata per le nozze di Alfondo II e Margherita Gonzaga, dono della Ferrariæ Decus.Alfonso non aveva prole e noi sappiamo da testimonianze inconfutabili che non poteva averne; d'altra parte, l'altro ramo estense, quello dei marchesi di Montecchio, nella persona di Cesare, non aveva le carte in regola per entrare in gioco, perché discendente da don Alfonso, nato ad Alfonso I da Laura Dianti, alla quale non si era in grado di dimostrare che quel duca fosse legato da vincolo matrimoniale. Uomo tutto sommato non insensibile alla cultura (parlava francese e tedesco, e conosceva discretamente anche il latino) e impegnato in qualche misura a promuovere un buon livello di vita intellettuale a corte e in città (si pensi ai letterati, al Tasso, ai filosofi e alla stessa università), certamente esperto nelle cose della politica, delle armi, dei rapporti diplomatici; robusto, non disdegnoso delle fatiche, amante della caccia e degli esercizi sportivi, si rivelava in buona sostanza più attratto dai piaceri dell'agiatezza e perfino della dissipazione e più dedito ai giochi e ai tornei che non ai doveri del governante.

Si era sposato tre volte, sempre alla ricerca di un erede. Il primo matrimonio con Lucrezia de' Medici, la giovinetta quindicenne figlia di Cosimo, finì ben presto con la morte della sposina dopo tre anni, sufficienti peraltro a rivelare la distrazione e lo scarso affetto dell'Estense nei suoi confronti. Le successive nozze con Barbara d'Austria, figlia dell'imperatore, e con Margherita Gonzaga, che sopravvisse al consorte, non sortirono e non potevano sortire il frutto sperato, ma Alfonso non mostrò neppure di comprendere il significato di una profonda e consapevole unione, coinvolto com'era in questioni che lo assorbivano e l'ossessionavano.

Quella della cosiddetta "precedenza" era rappresentata dalla pretesa di contare di più dei signori di Firenze, potenti e ricchi quanto si vuole, ma non in grado di vantare titoli nobiliari di antica data, nello scacchiere europeo. Frequenti erano, se non gli scontri, almeno i colpi di fioretto fra le due corti per proclamare la propria superiorità e di conseguenza l'inferiorità della controparte.

 

Riproduzione in oro della medaglia celebrativa coniata per le nozze di Alfondo II e Margherita Gonzaga, dono della Ferrariæ Decus.La vanità di Alfonso era tale che, quando finalmente fu creato dall'imperatore Massimiliano II "duca dell'impero di prima classe", pretese di essere chiamato non più "Eccellenza" o "Illustrissimo" ma "Altezza" e "Serenissimo", alla pari dei principi del sangue, dando così l'estro ALL'ambasciatore mediceo a Ferrara, lo scanzonato e bizzoso Bernardo Canigiani, di scrivere in un dispaccio a Firenze: "Il signor Duca ... se ne andò alli 23 del passato mese di marzo a Belriguardo, havendo ordinato che in queste valli nubilose et negre s'usasse l'Altezza e il Serenissimo, ch'è proprio come chiamar Gian bianco un moro...". L'imperativo di salvaguardare e accrescere l'onore della propria casa lo spingeva alle decisioni più estreme. Quando la sorella Lucrezia, legalmente separata dallo spregiudicato duca d'Urbino Francesco Maria della Rovere (fatto per quei tempi più unico che raro), amò riamata il conte Ercole Contrari, capitano dei cavalleggeri della Guardia Ducale, e la relazione fu riferita al duca, le conseguenze furono che, di lì a pochi giorni, l'ignaro conte, invitato in Castello, venne strangolato con un laccio di seta bianca; fu diffusa poi, ad arte, la voce che la morte fosse sopravvenuta per colpo apoplettico.

Ma nella mente di Alfonso, la grandezza propria e della sua famiglia richiedeva l'assunzione di ruoli di altissimo rilievo, a livello addirittura europeo. L'ambizione lo portò a sognare il comando generale di una crociata contro i Turchi, quando, sotto la guida del vecchio sultano Solimano il Magnifico, questi stavano per invadere le pianure ungheresi e conquistare Vienna. Un'impresa, quella,  vagheggiata  dal duca e destinata a sacrificare le finanze dei signori ferraresi e, quel che fu peggio, ad aggravare le condizioni già misere dei popolani; ma la decisione era stata adottata senza tentennamenti o ripensamenti di sorta. L'epilogo dell'avventura fu quanto mai deludente. Morto Solimano, l'imperatore Massimiliano ordinò la ritirata e, dopo quattro mesi, Alfonso rientrò a Ferrara, avendo lasciato nelle campagne ungheresi molti soldati sfiniti dalle malattie e logorati a morte dalle durissime marce.

 

Monumento funebre di Barbara d'Austria nella Chiesa del Gesù a Ferrara.Un'altra occasione si presentò a rinfocolare i suoi disegni di grandezza. Siamo nel 1595 e il sultano Murad III manifesta il proposito di annientare l'Europa cristiana, scuotendo dal sonno l'Occidente e inducendo l'imperatore Rodolfo II a raccogliere uomini e armi per la difesa nonché a proporre di nominare proprio Alfonso II quale luogotenente generale. L'Estense non indugia un secondo, porta a compimento tutti i preparativi per l'impresa e allestisce un esercito che, al comando di Ippolito Bentivoglio, l'8 settembre 1595, passa pomposamente in rassegna nella grande piana del "Barco", alle porte di Ferrara. Cinquemila erano gli uomini arruolati per la spedizione, ma non partirono, come non partì Alfonso, perché troppo pretenziosamente chiedeva come compenso quello che né Vienna né Roma potevano assicurargli.

Poco meno di vent'anni prima era fallita quella che, se fosse riuscita, sarebbe stata l'avventura più sensazionale e clamorosa della sua vita. Si trattava di conseguire, nientemeno, che la corona di Polonia, elettiva e non ereditaria, ambita da personaggi quali l'arciduca Ernesto, figlio dell'imperatore Massimiliano III, Giovanni III re di Svezia, il moscovita Ivan IV il Terribile, il voivoda di Transilvania, principe Stefano Bathory.

Alfonso, pur di riuscire nell'intento, era disposto a sposare Anna, sorella del re Sigismondo II Jagellone, e naturalmente ricorse a tutti i mezzi offerti dalla diplomazia, inviando in Polonia, quale agente speciale, il cavaliere e poeta Battista Guarini (sottoposto ai disagi di un viaggio disastroso; al rischio di venire travolto dalle acque impetuose del Danubio; al pericolo di essere catturato dai briganti cosacchi) a fianco dell'agente estense, per così dire, di ruolo, in quelle contrade, Ascanio Giraldini, nel tentativo di assicurarsi con le argomentazioni più persuasive e con i donativi più generosi i voti degli elettori. Egli dava il successo per sicuro e così, di riflesso, si pensava a Ferrara. Ma il povero Guarini, nonostante le energie generosamente spese in quel durissimo lavoro, non raggiunse lo scopo e la spuntò il voivoda di Transilvania.

Nella Ferrara estense dell'epoca, altre figure collaterali al duca dimostrano un'insicurezza, per lo meno umana, di fondo. Il cardinale Ippolito II, nella magnificenza di Villa d'Este, a Tivoli, nella disperata quanto infruttuosa aspirazione di ascendere al pontificato rivela di voler battere tutte le strade possibili, pur di colmare quello che è un innegabile vuoto esistenziale. L'altro cardinale, Luigi, è uomo inappagato, deluso, risentito, anche se con qualche colpo d'ala (le elemosine generose oppure la concezione della Chiesa come corpo laicale, come popolo di Dio).

 

Monumento funebre di Barbara d'Austria nella Chiesa del Gesù a Ferrara.C'è, poi, un'effettiva corruzione dentro e fuori la corte, soprattutto nell'elemento nobiliare. Tipica la figura di Barbara Sanvitale, una Sanseverino dei signori di Colorno, che dominò per qualche tempo la vita brillante di Ferrara e ammaliò lo stesso duca, incapace di resistere alla sua avvenenza e disposto per lei a fare "cose e spese straordinarissime", "a posta della quale - sottolinea il solito Canigiani - si va, si sta, si leva, si mangia, si giuoca"; la dama finì poi, nel 1612, decapitata a Parma per ordine del duca Ranuccio I Farnese. Ma non mancarono neppure i fatti di sangue, e dei più truci, quali l'uccisione nel giro di alcune settimane di quattro dame per veri o supposti tradimenti, e lo stesso barbaro assassinio di Anna Guarini da parte del marito Ercole Trotti, a causa della relazione di lei con il conte Ercole Bevilacqua, il quale, fra l'altro, aveva sposato un'estense, Bradamante, figlia di Francesco, marchese di Massalombarda.

La miseria e le sofferenze della gente non potevano venire lenite da qualche gesto isolato del duca, quale, per esempio, il suo impegno ad affrontare la terribile situazione provocata a Ferrara del terremoto del 1570 e neppure le iniziative, come quella audace, ma non sufficientemente supportata e quindi destinata al fallimento, della costituzione alla Mesola di un grande centro mercantile e di un porto da fare invidia a Venezia.

Emblematica è, alla morte di Alfonso II, nel 1597, la sua povera salma, rinchiusa in una cassa di legno, trasportata di sera sopra una carrozza alla tomba del Corpus Domini col solo accompagnamento di due frati, di due staffieri e di qualche chierico, senza un elogio funebre, una manifestazione di affetto, un cenno di riconoscenza e di rimpianto da parte di chicchessia.
A grandi linee, sono questi lo sfondo, l'atmosfera, il contesto umano, sociale, culturale entro cui si muove e opera Sebastiano Filippi, detto il Bastianino.