Il maestro dei Giochi

Scritto da  Jadranka Bentini

Bastianino, La Notte, Sala dell'Aurora, Ferrara, Castello Estense.Bastianino grande decoratore al Castello di Ferrara.

Il restauro che oggi investe il catino absidale della cattedrale di Ferrara sta rivelando gli aspetti più salienti dell'artista che lo realizzò nel 1578, Sebastiano Filippi detto il Bastianino, uno dei grandi del Rinascimento padano, più esattamente di quella lunga stagione della cultura delle corti descritta magistralmente da Francesco Arcangeli nella monografia dedicata al pittore ferrarese nel 1963.
Il Bastianino di Arcangeli è stato detto spesso da allora, intrepretato in chiave protoromantica da un critico dell'informale, letto nella dissolvenza della materia come espressione di un corso al tramonto in simpatica diacronia con altri pittori, piuttosto che seguito passo passo nel suo sviluppo originale. Ma quanto emerge nel Giudizio Universale rivela proprio quanto la letteratura di "Momi" Arcangeli aveva delineato nel confronto con Fussli, Blake e, soprattutto, Goya, nel tratto come nello spirito.


È la possibilità offerta da una visione ravvicinata dai ponteggi a emozionare il fortunato visitatore (addetto ai lavori o semplice ospite ammesso) che del titanismo del Filippi può delibare tutte le possibili fragilità: soprattutto quel disfacimento della materia tutto schizzi e ammassi di colore che coglie in pieno il tema del Giudizio quale superamento catartico della carne e dell'umano. La terribilità michelangiolesca è atterrata dalle luminescenze alla veneta, dal continuo sfaldamento corporeo delle immagini, dal loro essere in mutazione sotto l'effetto di una nebulosità diffusa (così Baruffaldi leggeva il pittore).

Il maestoso affresco della cattedrale ha un suo contrappunto nella decorazione delle sale del Castello estense (oggi ridotte a tre) che Bastianino affrontò subito dopo il terremoto che si abbatté sulla città nel 1570, in risposta al programma ricostruttivo del committente per eccellenza di Ferrara: il duca Alfonso II d'Este.

Cambiano, infatti, i temi e i contenuti, ora profani e mitologici; e cambia anche il tono della decorazione, tutta ancorata ancora al mondo fantastico della grottesca e del fregio dipinto. Non muta, invece, per l'artista il fare pittura, sempre veloce, fra aggressiva e sfocata, fuori da contorni o disegni di sorta che non siano le linee di una scarna sagomatura di fondo, però povera di preparazione e finita in gran parte a secco con pochi tratti di sintetica incisività.

Ma procediamo con ordine, tentando di riassumere quanto gli studi degli anni Ottanta, con i loro approfondimenti documentari e comparativi, hanno restituito non solo del Bastianino, ma dell'intera schiera dei pittori di corte di cui anche il giovane Filippi fece parte. Sullo sfondo dei chiarimenti di una storia prima affidata alle carte dei locali storiografi o in parte mitizzata, è bene ricordare, quali strumenti saldi e indispensabili di premessa a ogni valutazione su capolavori d'arte, la ricerca archivistica e il restauro, senza i quali la sola lettura purovisibilista stenta a orientarsi nel gran mare della storia.

Prima di tutto, è bene ricordare come il Bastianino fosse intervenuto in Castello, prima ancora che nel salone dei Giochi, almeno due volte: nel 1565, per la festa fatta in giardino nel dicembre di quell'anno, in onore delle nozze fra il duca e Barbara d'Austria, quando fu rappresentato il celebre Tempio d'Amore; e nel 1569, quando venne chiamato a "reconzare", vale a dire a restaurare (ma allora valeva come "ripassare" l'antica pittura) il camerino dei Baccanali, perché "guasto"; quello stesso camerino ritenuto per secoli, quando la memoria dei veri autori si era persa, opera dei Dossi, problematico quanto a conservazione da dovere essere restaurato periodicamente.


Bastianino, Il Nuoto, Saletta dei Giochi, Ferrara, Castello Estense.In entrambe le occasioni, Bastianino era in compagnia del padre Camillo, veterano di corte, o di Leonardo Brescia, come recitano le carte dei contabili della Camera Ducale conservate presso l'Archivio di Stato di Modena. Siamo in tempi lontani dall'età d'oro di Alfonso I; i Dossi, anch'essi pittori di corte, avevano lasciato il posto a una generazione di seguaci piuttosto opaca che si aggirava nelle stanze del Castello, fatta eccezione per il poliedrico Gerolamo da Carpi, uomo votato ed esperto dell'arte a tutto campo, dall'architettura alla pittura, che sul Bastianino ebbe effetti profondi, ben più visibili di quelli del padre.

Ciò che merita attenzione è, a partire dagli anni Sessanta del Cinquecento, il ridimensionamento quantitativo che i documenti mostrano riguardo agli artisti attivi a corte e alla loro utilizzazione nelle varie imprese, indifferentemente saldate ora all'uno ora all'altro, in parti mai proporzionate nell'opera singola. Ne consegue un ridimensionamento anche qualitativo del ruolo dell'artista al servizio del principe, impegnato indifferentemente in più cantieri, ma con responsabilità limitate o, comunque, congiunte ad altri.

Ciò che dall'analisi dei fondi sembrerebbe risultare evidente è "la mancanza a Ferrara nel lungo periodo di governo di Alfonso II (1559-1597) di un pittore che assolva il ruolo, le funzioni, i compiti di un pittore di corte. E con quest'ultima definizione non vogliamo tanto intendere un pittore stipendiato dal duca oppure che lavori a lungo per lui, quanto piuttosto un pittore dall'attività culturalmente egemone ed egemonizzante: che, come per esempio il Vasari a Firenze, risulti essere una sorta di braccio pittorico del principe, oppure che, come il Barocci a Urbino, sia oggetto della stima e delle attenzioni del proprio duca IN quanto le sue opere costituivano una delle risorse per la credibilità culturale di una corte la quale, dal punto di vista sociale, economico e istituzionale, era ormai - al pari di Ferrara - solo la sopravvivenza di un lontano passato."

Così, nel 1987, Luigi Spezzaferro giustamente interpretava le figure dei pittori attivi nelle residenze ducali o per le cerimonie ufficiali dell'epoca, riscontrando anche come per il duca Alfonso II lavorassero assai più artisti a noi noti solo dalle fonti o dei quali si conosceva appena il nome, piuttosto che pennelli riconosciuti e come per tutti indistintamente valesse la regola di occuparsi di qualsiasi lavoro, importante o no, fino alla semplice intonacatura e imbiancatura di pareti.

Sta di fatto che Bastianino, genio trainante della pittura, non era affatto sul piano professionale il più stimato, se dobbiamo stare ai documenti contabili e alle ricompense per le opere; né a lui venivano affidate per intero le commissioni più prestigiose o le decorazioni di specifiche stanze: questione, quest'ultima, che ci fa capire come non fosse contemplato il carattere unitario di un'impresa sotto il profilo figurativo o stilistico, quanto piuttosto la sua rispondenza a un unico programma iconografico o formale.

Bastianino lavorò, quindi, e non sempre alla pari, accanto a Leonardo Brescia (che almeno una sua specialità l'aveva: la grottesca e la candelabra floreale, per via della sua lunga professione di apprestatore di cartone per arazzi), e a Lodovico Settevecchi soprattutto, per secoli rimasto solo un nome privo di volto, condannato al silenzio forse anche per via del suo essere forestiero rispetto alla capitale (era giunto da Modena, seconda città del ducato).

Le tre sale più importanti del Castello, lungi dal presentare un carattere unitario di stile, sono assegnabili ai tre artisti, ma non in parti uguali: del grande Appartamento dei Giochi, di cui faceva parte la famosa Camera dello Specchio (da identificare con la cosiddetta Sala dell'Aurora), il maggiore responsabile figura essere proprio il Settevecchi in una serie di pagamenti compresi fra il 1574 e il 1576, anche se poi l'esecuzione risulta, senza ombra di dubbio, essere a più mani. Non c'è peraltro sudditanza di un artista verso l'altro, quanto piuttosto una spartizione ben evidente di campi di intervento e di episodi; segno di una "direzione dei lavori", diremmo oggi, unitaria e persino inflessibile, esterna all'équipe operativa.

 

Bastianino, Le Quattro Stagioni, Saletta dei Giochi, Ferrara, Castello Estense.A questo punto è bene richiamare l'attenzione sulla figura di maggiore attrattiva della corte, appositamente chiamata a svolgere il ruolo di "antiquario" professionista da Roma: quel Pirro Ligorio, architetto e trattatista, che seguiva nell'incarico a Enea Vico, ispiratore di una prima politica culturale ducale votata al collezionismo dell'antico. È il Ligorio stesso a confermarci che l'appartamento dei Giochi era ultimato nel luglio 1574, in una lettera famosa dove descrive il soggiorno di Enrico III di Francia a Ferrara. In verità si tratta dell'affermazione di un artista consapevole dell'intero programma di rinnovamento del Castello cui è chiamato come progettista e responsabile del duca, dopo i seri danneggiamenti del sisma del Settanta. Tutto il piano nobile venne, infatti, investito da restauri fino alla via coperta di congiunzione con l'antica dimora signorile di piazza.

Se gli interventi sette-ottocenteschi non avessero manomesso l'immobile fino a nascondere o distruggere parte delle decorazioni, del Bastianino troveremmo ancora le due "galariole" accanto alla Camera dello Specchio, così come ancora vivida sarebbe l'autentica cappella accanto alla Saletta dei Giochi (Renata di Francia è un dolce abuso pieno di reminescenze cortesi) "dipinta a figure e lavori graffiti sull'oro" nel 1591 da quel Giulio Marescotti impegnato pochi anni dopo nella sublime decorazione dell'arpa estense, opera attribuita per lungo tempo proprio al Bastianino.

Dunque al Ligorio si deve l'ideazione programmatica della decorazione del Castello che doveva esseere rinnovato come simbolo del potere e della cultura, ribadendone anche la funzione di residenza di rappresentanza per ospiti illustri, ora che la questione dinastica si faceva sempre più pressante di fronte alla mancanza di eredi diretti di Alfonso.

Il nuovo antiquario di corte, già esperto della piazza ferrarese per essere stato investito del ruolo di scenografo nel 1568, a proposito dello spettacolo L'Isola Beata, predispose senza ombra di dubbio una serie di progetti mirati, di reciproca incidenza, per modelli agli affreschi dell'Appartamento dello Specchio in Castello e al trattato De Arte Gymnastica di Gerolamo Mercuriale (Venezia 1569 e 1573): una dissertazione sull'atletica, quest'ultima disciplina fisica assai cara ad Alfonso II "il quale dei giochi d'ogni genere, dei tornei a piedi e a cavallo e dei più disparati esercizi di destrezza fisica aveva fatto una delle sue ragioni di vita" (A. Cavicchi).

 

Bastianino, Il Gioco degli Otri, Saletta dei Giochi, Ferrara, Castello Estense.Quest'opera tanto erudita poggiava per la ricostruzione storico-iconografica sull'intrepretazione vitruviana delle palestre greche, rappresentando una serie di esercizi ginnici, ludici e gladiatori puntualmente riscontrabili nel grande salone d'onore e nella saletta a fianco. Dal Ligorio illustratore al Ligorio disegnatore il passo è breve: disegni per decorazioni di soffitti, spartiti al modo dei nostri e con motivi ornamentali analoghi, sono emersi grazie alle ricerche di Adriano Cavicchi dal fondo inesauribile dell'Archivio di Stato di Modena; quello dimensionalmente maggiore è poi, inequivocabilmente, il progetto definitivo per il Salone dei Giochi.

Ora, il riscontro documentario che fissa i pagamenti delle tre sale al triennio 1574-1576, definisce, una volta per tutte, la questione cronologica, dando un punto fermo alla comprensione dell'attività matura del Bastianino, a poca distanza dal celebratissimo Giudizio della Cattedrale, IN DATE che escludono la partecipazione del padre Camillo a tutta l'impresa.

E cercando di rincorrere in tutti gli ambienti la mano del Bastianino, di riconoscerla dagli interventi dell'altro titolare dei lavori, Ludovico Settevecchi, attestiamoci dapprima sul Salone dei Giochi, entro le cornici e le fasce a grottesche rette dal segno sicuro e dalla stesura compatta di Leonardo Brescia. Qui si distinguono con evidenza due mani a tratteggiare i Giochi: per impianto, per stesura, per umore, per forma ritmica, Bastianino è autore delle scene del Nuoto, del Pancratio, della Lotta, dell'Altalena e degli Altieristi, inconfondibili nella resa torpida e ossessiva dello sforzo fisico dei ginnasti.

"È una carica, stavolta debordante, d'umore in libertà, che, interpretata da una pittura libera e insinuante, da una forma grassa e alternata in molli ritmi, scoppia" nell'Altalena; vi si riconosce il Bastianino della Certosa, delle grandi ancone cristologiche, delle Sibille e dei Profeti che emerge gonfio e insieme leggero nelle muscolature dei suoi campioni, nelle nudità impudiche e giunoniche delle sue eroine appallottolate e sgambettanti.

"È un'immaginazione follemente ambigua, androgina, un comico, tenero incubo di carnalità inquietante", scriveva ancora Arcangeli, ricordandoci la timidezza e la sfacciataggine insieme dell'umanità del Filippi, anche quando occhieggia dai petali di un fiore, come nelle grottesche della Palazzina di Marfisa o sgambetta teneramente come nel fregio con i putti aurighi della Sala dello Specchio. In questi riquadri, come nel Gioco degli Otri e nel Telesiaco della Saletta dei Giochi, aleggia una svagata inquietudine, "una lieve macerazione" che danno un'impronta tutta personale alle scene, forse non aliene dalla giocosità garofalesca ancora ben presente IN Castello, non foss'altro per il monumentale Trionfo di Bacco in India, generato dalla volontà del grande Alfonso I a completamento dei Camerini.

L'umore del secondo maestro dei Giochi, il Settevecchi, risponde a requisiti di più acritica aderenza a modelli consumati del manierismo paganeggiante; la matrice dossesca, che pure sottende tutta la decorazione, è meno incisiva che nel Filippi, fattore anch'esso messo in luce dai recenti restauri ai soffitti, nell'occasione dei quali è stato possibile fare comparazioni tecniche e preparatorie fra i maestri impegnati nell'impresa, oltre che appurare l'unitarietà delle decorazioni sotto il profilo conservativo, per nulla danneggiate da movimenti tellurici come avrebbe dovuto essere, se dipinte prima degli anni Settanta del Cinquecento, come ipotizzato IN antico.

Bastianino, L'Altalena, Saletta dei Giochi, Ferrara, Castello Estense.Nella Sala dello Specchio, Bastianino esibisce le sue migliori capacità di pittore cortigiano, quale sarà, di lì a poco, anche in veste di restauratore dei dipinti della Stanza delle Duchesse. Suoi sono il Tempo, la Notte, l'Aurora. Non può lasciare dubbi quel lento disfacimento della materia che sembra corrodere i corpi degli uomini come degli animali, ritratti in una materia grande eppure così poco virile, ispessita da lumeggiature di cenere al modo del Giudizio: l'anticipazione su certi modi del Reni, dell'Appiani e, perfino, di Achille Funi, rammentati dall'Arcangeli, rimandano a una vocazione metafisica cui il tono di stanco classicismo, mediato dal Giulio Romano di Mantova, attribuisce qualche ragione in più.

Riaffiora, come nel girotondo delle Stagioni della saletta limitrofa, il ricordo di Gerolamo da Carpi, rifuso in una più tiepida profanità. Nessun bolognese può stargli alla pari in questo momento; solo lo stupefacente michelangiolismo sciolto di Lelio Orsi da Novellara, degli affreschi del casino di sopra, sembra dispiegarsi con altrettanta capacità di narrazione e di possanza, piegando però Bastianino verso forme di maggiore raffinatezza materica. Ben diversa la condizione delle due prime scene della Sala dello Specchio, il Tramonto e il Giorno, cromaticamente risolte con una gamma di tinte assai più differenziate e cangianti; dove le figure campeggiano secondo slegature della composizione, ognuna isolata a simboleggiare il proprio segno metaforico.

E della sensibilità pittorica e raffinata del Bastianino migliore testimonianza e attestato insieme non potrebbe venire che dal documento datato 31 agosto 1588 (ancora nei libri della Camera Ducale) allorché l'artista venne scelto non solo a decorare la cappelletta della duchessa di Ferrara in corte, ma a mettere mano alle pitture più preziose in essa conservate: ventitré quadri di grandi maestri, fra cui il notissimo Presepio di Andrea Mantegna, oggi conservato al Metropolitan Museum di New York.
In tale incarico delicato doveva risiedere anche il riconoscimento di una perizia pittorica non solo tecnica, ma anche storica in qualche modo, capace di rispettare l'antico e di esaltarlo insieme.