Rimane, però, almeno in parte, da definire il modo o i modi attraverso cui la città, nel tempo, ha conosciuto e proposto l'attività del Bastianino; dai contemporanei sino a quando Ferrara ha preteso una specificità e un'autonomia che hanno quasi impedito a chi ne era esterno di intervenire: penso agli oltre due secoli e mezzo (1598-1860) durante i quali Ferrara ha fatto parte dello Stato della Chiesa.
Tarda a essere superato un luogo comune, costruito nel diciannovesimo secolo, che vuole Ferrara ingiustamente passare, dopo l'età dell'oro costruita dai duchi estensi, a un'epoca grigia e mediocre, priva di avvenimenti e di storia. Così, naturalmente, non è, come più d'uno ha tentato di dimostrare; vale la pena di ripercorrere e tentare di ricostruire un percorso di pensieri e di giudizi, di proposte e di verifiche che aiuta a meglio intendere le ragioni che hanno toccato la pittura del Filippi e, nello stesso tempo, a prendere atto della vivacità, della cultura e degli interessi, delle convenzioni e delle chiusure di una società che non è mai stata minore o subalterna.
Già nel XVII secolo, nonostante la generale situazione politica e le particolari difficoltà di assestamento del nuovo governo, appaiono testi che rivisitano la storia di Ferrara, ne raccolgono documenti e testimonianze, indicano modelli ed esempi. Nel secolo successivo, in maniera molto più ampia continua lo sforzo di costruire e mantenere la memoria della città: sono tutti interventi con un'intenzione, privi cioè di quella falsa e irritante, equidistante, neutralità che non riesce a nascondere pochezza e ignavia. Proprio le diverse motivazioni che muovono alle analisi costituiscono un ambiente intellettuale ove ci si confronta e l'erudizione non è sterile supponenza, ma strumento per dimostrare e partecipare. Il termine ultimo che abbiamo scelto, l'intervento del Laderchi (1848) in appendice alla seconda edizione dell'ultimo e postumo volume della storia del Frizzi, ha bisogno di una qualche, se pur breve, giustificazione.
Camillo Laderchi vive una diversa stagione intellettuale rispetto a quella che abbiamo indicato. La sua adesione alle teorie 'puriste' di Alexis François Del Rio, la sua visione dell'arte ferrarese, anticipata nei quattro fascicoli della Descrizione della Quadreria Costabili (1838-1841), apre a una diversa valutazione nei confronti dell'arte, quella di Ferrara qui ci interessa, e pone come elemento necessario e dominante l'ispirazione religiosa in contrasto con una "pittura divenuta dall'un canto schiava del pedantismo classico e del lusso de' banchieri." (Laderchi 1848, p. 301).
Afferma che "il genio nelle arti non è opera della premeditazione, del calcolo o di ragionamento a priori. Non si acquista con lo studio, ma si riceve per ispirazione che viene dall'alto." La decadenza è iniziata quando "i poeti non pensarono che ad imitare l'antico. Mentre questi si studiavano di far versi latini, gli architetti tentavano di convertire le chiese cattoliche IN tempii pagani, dimenticando le forme consacrate come simboli delle verità cristiane: sotto il nome degli apostoli, dei santi, delle vergini, degli angeli, vedevansi riprodotte le forme dei filosofi greci, degli eroi, delle ninfe, e degli amori." (Laderchi 1848, pp. 296, 297). Ad altra sede e ad altra occasione il ricostruire un dibattito sicuramente importante e sino a ora trascurato da chi si è occupato di cose ferraresi; resta comunque che i testi di Laderchi aprono una diversa situazione che poco o nulla ha a che vedere con la cultura che nei secoli del dominio pontificio si organizza in Ferrara. Quando egli scrive, Ferrara è ancora nello stato della chiesa, ma le tematiche, oltre che la situazione politica, sono cambiate e lo stesso studioso sentirà estranei sia Baruffaldi sia Cesare Cittadella.
Del primo dirà "che non era di per sé intelligente d'arti". (Laderchi 1848, p. 296); del secondo, che era partecipe di "un freddo materialismo [il quale] invadeva ogni studio e quel delle arti al pari della filosofia.". (Laderchi 1848, p. 296). Ne riportiamo, tuttavia, le opinioni in primo luogo perché il suo discorso viene posto in appendice a un'opera quasi emblematica della cultura del settecento IN Ferrara, la storia di Antonio Frizzi e, quindi, IN qualche modo tende a sottolineare una continuità; infine, perché i suoi interventi, al di là delle motivazioni generali e teoretiche, molto raccolgono, sino alla trascrizione, dalla letteratura precedente.
Torquato Tasso indirizza un sonetto, spesso citato, "a messer Bastiano pittore eccellente" (Tasso p. 745). Tuttavia è l'affollarsi delle committenze e il numero alto dei dipinti testimoniati nelle chiese e nei palazzi ferraresi, che molto di più attestano una fortuna che presso i contemporanei pare indiscutibile. L'affermazione, ricordata dai biografi, "d'aver pennelli da tutti i prezzi" (Baruffaldi p. 447) conferma che le richieste venivano da diversi strati sociali: dai parroci di campagna e dal Capitolo della Cattedrale alle "case particolari dove molti e molti personaggi dilettanti tengono in pregio considerabile le sue pitture." (Baruffaldi p. 459).
Una tale fortuna non vuol dire unanimità di consensi. Già nel Seicento assistiamo a una presa di distanza che non è cancellazione di memoria, ma indicazione di un confronto fra opinioni diverse. Meglio di tutti lo segnalano il Suberbi e il Faustini.
Il primo, pur dichiarando "opera molto degna" (Superbi p. 126) l'affresco del catino della Cattedrale, osserva che IN molti "luoghi e Chiese vegonsi molte opre sue, e certo che avea una maniera differente da tutti, la quale à chi piace e à chi non piace" (Superbi p. 126).
Il secondo ritiene che nella volta del coro della Cattedrale "concorrendo con Michele Angelo Buonarrota l'ha superato" (Faustini p. 63). Si individuano alcune opere che sempre desteranno l'attenzione degli storici locali, per esempio gli affreschi della Cattedrale e le tavole della Certosa, e, insieme, viene fatta emergere una diversità, rispetto agli altri pittori ferraresi, che fa discutere; diversità che non sta solo nel riproporre i modelli michelangioleschi, ma nel modo e nella forma con cui Bastianino compie tale operazione. Due sono i temi critici che permarranno per tutto il periodo che interessa: il michelangiolismo e la non finitezza e velatura dei dipinti.
Va, ancora, osservato che i giudizi si esprimono attraverso due filoni che nella sostanza non divergono, ma si rapportano a due diversi tipi di lettori.
La letteratura delle guide, particolarmente ricca a Ferrara nel XVIII secolo, è rivolta a un pubblico di non specialisti a cui si indicano modelli e valori che vengono assunti così come sono suggeriti. La città presenta se stessa ai visitatori e ai cittadini e indica i monumenti e le opere attraverso i quali vuole essere riconosciuta e positivamente ricordata. Le guide, però, non sono autonome, traggono notizie e giudizi da un dibattito colto ed erudito, non provinciale, che si sviluppa nelle accademie, nei salotti e che tende a esprimere un complessivo quadro in cui collocare e spiegare ogni fenomeno. Per quanto riguarda le arti figurative, due sono i testi che raccolgono queste tematiche e dai quali discenderanno, più o meno direttamente, i vari "servitori di piazza"; sono le Vite stese dall'arciprete Girolamo Baruffaldi sul finire del Seicento, edite, però, solo nel XIX secolo, e il Catalogo istorico di Cesare Cittadella.
Nonostante il testo dell'arciprete Baruffaldi appaia solamente nel 1844, non bisogna sottovalutarne l'importanza e l'incidenza. Le Vite, costruite secondo il modello vasariano come in quegli anni accadeva in tanti luoghi, sono note e circolano manoscritte; quando vengono edite, non si tratta della presentazione di un tesoro dissepolto, ma della diffusione più ampia di materiale che gli storici ferraresi avevano largamente consultato. Baruffaldi raccoglie testimonianze e opinioni precedenti e le proietta nel secolo che verrà. Esiste, se mai, ancora, il problema di giungere a una edizione critica che restituisca la stesura originaria e distingua gli interventi degli annotatori; per fortuna, l'indicizzazione è stata molto bene compiuta da Amalia Mezzetti e da Emanuele Mattaliano.
Vale la pena di riportare il giudizio del sacerdote centese, perché a questo molti si rifaranno e perché testimonia la diffusa difficoltà a comprendere la pittura del Filippi.
"Il fare di Sebastiano ordinariamente incontra il genio de' soli intendenti, avendo egli a forza d'una terribile maniera cercato il piacimento di tutti: le sue idee sono grossolane, e raro è quel volto, anche donnesco, da lui dipinto, che si possa dire gentile e grazioso. Il colore è sempre bronzino e le macchie risentite di contorno e tutto con un certo velame che lo adombra, non ben capito da alcuno se sia stata sua negligenza o sua arte, di tal maniera, che valorosi professori ho inteso dire aver egli usato di unire e sfumare i colori col dito sulla tavola dipinta, onde poi è avvenuto, che bensì vietavansi le discordie de' colori, ma i lumi ed i risalti s'adombrano, cosicchè fino al giorno d'oggi ha egli la gloria che suole avvenire agli oracoli, d'essere più ammirati che intesi." (Baruffaldi pp. 440-441)
Tale valutazione è confermata e ancora più dimostrata nelle analisi delle singole opere. Va notato che Baruffaldi non dipende da altri poiché diversamente si erano espressi gli storici del Seicento che abbiamo già ricordato. Carlo Brisighella valuta positivamente il pittore e parla di "diligenti e compiute pitture" (p.138), di "gran diligenza" (p. 216), "rappresentò mirabilmente e con gran diligenza" (p. 142), "è colorita col miglior suo fare" (p. 400); altro si potrebbe citare. L'unica nota in qualche modo limitativa è quando interviene sull'attribuzione dell'Annunciazione della Vergine nella Basilica di Santa Maria in Vado e scrive "è cosa troppo finita, e con gran diligenza fatta; quando il Filippi non avea tal virtù, ma lasciava le cose sue di primo tocco e come velate" (p. 384).
Abbiamo insistito nel ricordare i giudizi del Brisighella perché il manoscritto della Descrizione viene dall'autore, poco prima della morte avvenuta nel 1710, lasciato al Baruffaldi che lo custodisce e lo annota per una edizione a stampa che non ci sarà e avverrà molto più tardi, per le lodevoli cure di Maria Angela Novelli. Le citazioni dimostrano un'autonomia di giudizio che non si lascia condizionare nemmeno dal parere di un intendente e amico, qual era il Brisighella.
I compilatori delle guide o tacciono, come lo Scalabrini che, pur citando le opere, non aggiunge mai un aggettivo qualificante, o tentano di nascondere i problemi e il disagio intellettuale che nascono dall'attività del pittore. È la via che seguirà Ferrante Borsetti che parlerà di "pictor excellentissimus, immortalis Michelangelis Bonarota discipulus ... sed mirum Sebastiani opus, omnium sententia est, Universale Juditium, quod IN nobilissimo eiusdem Cathedralis choro sublime pinxit, vividis adeo coloribus, ut, IN hoc, præceptorem ipsum longe superavit.". Allo stesso modo Cesare Barotti, il quale utilizza spesso l'aggettivo "maestosamente"- "Il Giudizio Universale nel Catino del Coro fu maestosamente colorito a fresco l'anno 1577 da Sebastiano Filippi" (p. 40) - o parla di 'fatica lodevole', per esempio per il San Cristoforo della Certosa (p. 82).
L'osservazione, tanto apprezzata da Arcangeli (p. 71) dell'utilizzazione del chiaroscuro, "parte essenzialissima IN un pittore" (Barotti, p. 16) va intesa, credo, come indicazione di un limite: incapacità a quella nettezza, ordine e chiarezza, che è sentita come primaria qualità di un dipinto. Il Frizzi non si discosta da questa linea, tanto più che riprende spesso alla lettera - "nel gran catino di esso fu maestosamente colorito a fresco l'a. 1577 il Giudizio Universale da Sebastiano Filippi" (p. 33) - le formule del Barotti.
Questo veloce scorrere attraverso le guide dimostra, credo, due cose. Non vengono raccolte le sollecitazioni che provenivano dal testo del Baruffaldi e il disagio, la fatica a intendere e a spiegare la pittura del Filippi vengono nascosti dietro un'aggettivazione scarsa e ridotta anche nei termini.
L'ombra che vela le figure del Bastianino scompare e nessuno la indica. Altri sono i nomi, Garofalo, Bonone, Scarsellino che sono additati all'attenzione del "colto passeggiere".
Un'altra assenza è, se possibile, ancora più dimostrativa ed esemplare. Il più importante cronista, con ambizioni di storico, del settecento ferrarese è Andrea Bolzoni. Le sue incisioni raccolgono e rappresentano momenti e vicende della storia della città, famosa è la pianta di Ferrara, e le opere e i monumenti per cui essa è notabile. Sono centinaia i rami usciti dalla sua bottega, prodotti o per richiesta o per personale volontà, numerosissime sono le stampe di traduzione. Riprende, fra gli altri, dipinti del Garofalo, di Giuseppe Avanzi, Carlo Bononi, Giacomo Parolini: mai una stampa da un quadro del Bastianino, nemmeno l'affresco del coro della Cattedrale che per l'ascendenza michelangiolesca e la sede parrebbe opera da ricordare e privilegiare, diffondendone l'immagine.
Cesare Cittadella, in ideale concorrenza con Baruffaldi, anch'egli autore delle vite degli artisti locali, ha l'ambizione di disegnare un quadro organico delle vicende figurative ferraresi. Ricorda l'importanza dello studio e della costante applicazione e la necessità di copiare dai grandi maestri, modelli ineludibili: tutti i più significativi pittori ferraesi lo hanno fatto, da Garofalo che ha copiato Raffaello, Carlo Bononi Correggio e i Carracci, "così il nostro Sebastiano Filippi contemplando le grandi opere di Michelangelo Buonarroti", in questo modo i maestri locali "divennero tanto eccellenti, e di sovralodati esemplari imitatori, che di gran lunga si lasciano indietro que' dotti precessori da cui ebbero i principi" (Cittadella I p. 26).
Lo studioso motiva fra le ragioni del suo lavoro la mancata pubblicazione delle Vite del Baruffaldi e il persistere di un immotivato oblio tanto che "spesso sono stati maliziosamente omessi i nomi di presso che tutti i Ferraresi Dipintori ... [mentre] questa mia Città fu nido felice de' più nobili pittorici talenti emulatori de' più famosi pennelli che a tutto il mondo servissero di modello; e la Pittura e la Scoltura si riformarono niente meno in Ferrara sotto gli auspici de' celebri Principi Estensi, che IN tutto il rimanente dell'Italia." (I pp. 28-29). Il secolo XVI è quello "ove giunsero a quell'opere di bellezza, di disegno, di gusto, che servirà sempre di esemplare alla posterità ed insiememente di meraviglia al rimanente degli uomini." (I p. 35).
Cronologicamente Bastianino appartiene al Cinquecento e, anche se la sua pittura non corrisponde ai criteri enunciati da Cittadella, lo storico ne tenta un recupero che lo renda comprensibile sia per qualità che per difetti.
Dichiara con enfasi il suo alunnato presso Michelangelo, così da fare ricadere su di lui le qualità del maestro: "Michelangelo IN molti lavori non ebbe difficoltà di averselo e come discepolo e come compagno, e con sua soddisfazione vide imitar così bene il suo carattere, che appena da Esso medesimo, il maestro dal discepolo veniva distinto" (II p. 125).
Elimina ogni accenno al "velame", solo lateralmente ricordato nella descrizione del Giudizio della Cattedrale, come espediente per trascorrere dai colori chiari agli scuri senza affaticare l'occhio (II p. 145), e sottolinea, nell'Annunciazione della Chiesa di San Paolo, la bellezza "che sorprende per la venustà del suo volto, e per le sue delicatissime estremità, così vivamente colorite che sembra nelle carni dipinte esservi il vivo sangue."
Altri, e più usuali, difetti indica, quali la troppa celerità nell'esecuzione e, a volte, la mancanza di finitura: "spesso nelle estremità soleva non curare le sue figure" (II p. 126). Infine i guasti che impediscono di valutarlo e una qualche esterofilia ferrarese che penalizza gli autori locali: "Sovente accade nel paese nostro quanto poco amante, e pregiatore del valore, e vero merito dei propri Cittadini, altrettanto troppo ammiratore dell'abilità, molte volte apparente, de' Forestieri." (II p. 127)
Così normalizzato il pittore è recuperato all'interno della pittura ferrarese, ma continua a non essere amato, né varrà a mutare le cose il giudizio positivo, anche se di seconda mano, di Luigi Lanzi, nella Storia pittorica dell'Italia.
Prima del Laderchi, nel secolo successivo, va citata la guida di Ginevra Canonici Facchini che ne ricorda le opere senza alcuna qualificazione: gli artisti che indica come "insigni nell'arti" sono altri: Dosso, Garofalo e Giambattista Aleotti (p. 11). Francesco Avventi segnala un fare "annebbiato", per esempio nella santa Cecilia, che condanna, e "un modo più vivace e nitido", che considera in termini positivi.
Di Laderchi va qui ricordato che nella vita di Sebastiano Filippi (pp. 407-410) trascrive quasi alla lettera il giudizio del Baruffaldi: "Le sue figure sono ben disegnate sì, ma sempre assai carnose, rozze, pesanti: inclinano quasi sempre al terribile, e raro è quel volto femmineo, che si possa dire gentile e grazioso. Il colorito delle carni è per lo più bronzino, e le macchie risentite ne' contorni: il tutto ricoperto da un velo nebbioso che lo adombra e lo fa facilmente riconoscere." Termina dicendo: "Tutto considerato, è facile ravvisare in lui un dipintore, quanto perito nelle parti artistiche, altrettanto poco elevato d'ingegno, e nulla curante delle invenzioni." (p. 409).
Da Baruffaldi a Laderchi le formule si ripetono; una conclusione coerente con i giudizi che la Ferrara accademica e illuminista, neoclassica e purista ha saputo e voluto esprimere nel tempo che passa dalla "devoluzione" all'"annessione".
Opere citate
Francesco Arcangeli, Il Bastianino, Ferrara, Cassa di Risparmio 1963
Francesco Avventi, Il Servitore di piazza. Guida per Ferrara, Ferrara, Pomatelli tipografo 1838
Cesare Barotti, Pitture e Scolture che si trovano nelle chiese, luoghi pubblici, e sobborghi della città di Ferrara, Ferrara, appresso Giuseppe Rinaldi 1770
Girolamo Baruffaldi, Vite de' pittori e de' scultori ferraresi, 1697-1730c. ed. a c. di G. Boschini, Ferrara, Taddei vv. I-II 1844-1846
Jadranka Bentini (a cura di), Bastianino e la pittura a Ferrara nel secondo cinquecento, catalogo della mostra, Bologna, Nuova Alfa editoriale 1985
Ferrante Borsetti, Historia Almi Ferrariæ Gymnasii, Ferrariæ, apud Bernardino Pomatelli 1735
Carlo Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture della Città di Ferrara a c. di Maria Angela Novelli, Ferrara, Spazio Libri editori 1991
Ginevra Canonici Facchini, Due giorni in Ferrara, Ferrara, tipi di Gaetano Bresciani 1819
Cesare Cittadella, Catalogo istorico de' Pittori e Scultori Ferraresi e delle opere loro con in fine una nota esatta delle più celebri Pitture delle Chiese di Ferrara, Ferrara, per Francesco Pomatelli 1782-83 vv. I-IV
Antonio Faustini, Delle Historie di Ferrara, Ferrara, per Francesco Suzzi 1655
Antonio Frizzi, Memorie per la Storia di Ferrara, Ferrara 1791-1809, vv. I-IV per Francesco Pomatelli, v. V per Giuseppe Rinaldi
--, Memorie per la Storia di Ferrara con giunte e note del Conte Avv. Camillo Laderchi. Seconda edizione v. V postumo ed ultimo, Ferrara, presso Abram Servadio editore 1848
Marco Antonio Guarini, Compendio historico dell'origine, accrescimento e prerogative delle Chiese, e Luoghi Pii, della Città e Diocesi di Ferrara, Ferrara, heredi di Vittorio Baldini 1621
Camillo Laderchi, Descrizione della Quadreria Costabili. Parte prima. L'antica scuola ferrarese, Ferrara 1838
--, Descrizione della Quadreria Costabili. Parte seconda. La scuola ferrarese nel Secolo XVI, Ferrara 1838
--, Descrizione della Quadreria Costabili. Continuazione e fine della parte seconda, Ferrara 1839
--, Descrizione della Quadreria Costabili. Parte terza. La scuola ferrarese nei Secoli XVII e XVIII. Parte quarta. Pittori d'altre scuole, Ferrara 1841
Luigi Lanzi, Storia pittorica dell'Italia dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso al fine del XVIII secolo ed. cons. Milano, Società de' Classici Italiani v. IV 1825 pp. 271-274
Roberto Longhi, Officina Ferrarese, 1934 seguita dagli Ampliamenti 1940 e da i Nuovi Ampliamenti 1940-55, Firenze, Sansoni 1956
Amalia Mezzetti - Emanuele Mattaliano, Indice ragionato delle 'Vite de' pittori e scultori ferraresi' di Girolamo Baruffaldi, Ferrara, Cassa di Risparmio 1981-83, vv. I-III
Giuseppe Antenore Scalabrini, Memorie istoriche delle Chiese di Ferrara e de' suoi borghi, Ferrara, per Carlo Coatti 1773
Agostino Superbi, Apparato de gli huomini illustri della Città di Ferrara, Ferrara, per Francesco Suzzi 1620
Torquato Tasso, Opere. v. I Aminta. Amor fuggitivo. Intermedi. Rime a c. di Bruno Maier, Milano, Rizzoli editore 1963