Disvelata dalla caduta dei sipari edilizi, l'abside apparve con arcate e cornici, con mensole e cotti: nella sua configurazione esterna è perciò un'acquisizione relativamente recente per Ferrara; ma pure una presenza fortemente sentita tanto per l'originalità architettonica che la distingue dalle altre opere del maestro Biagio, quanto per il dibattito sull'assetto definitivo da dare ALL'area di risulta dalle demolizioni, che ha dato vita a più di un cinquantennio di serrate discussioni ad alterne vicende.
La "questione dell'abside", sia pure con modesta soddisfazione, si è conclusa con un accordo che assegnava al Ministero per i Beni e le Attività Culturali - e per esso alla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna - il compito di restaurare oltre alla superstite sacrestia settecentesca, l'abside nelle sue strutture e decorazioni esterne.
L'abside, come abbiamo detto, è opera documentata dell'architetto ducale Biagio Rossetti che, come per molte altre fabbriche, a essa mise mano per volontà del duca Ercole I: secondo la preziosa testimonianza dello Scalabrini, il corpo absidale del Duomo ebbe inizio il 19 maggio 1498 con l'abbattimento del più antico coro decorato a mosaico, e fu terminato nella parte esterna il 4 maggio 1499; un cantiere decisamente rapido nei tempi, se il 4 marzo 1499 l'intera costruzione era "stabelida de fuora via e desarmada" cioè già intonacata e con impalcature ormai smontate; per la costruzione - riferisce il Guarini - il Rossetti impiegò "un milione duecento e cinquanta sette migliaia e novecento e trentaquattro pietre; credendosi, però senza le cornici e basi di cotto stampate a modiglioni ed altri marmi".
Il pagamento del 1 dicembre 1500 a "Maestro Iacomo Diante marangone" a saldo della fornitura di sedici finestre di legno di larice, dieci nell'ordine inferiore, sei a quello superiore, conferma la conclusione del cantiere del Rossetti, che lo Scalabrini contrariamente al Guarini asserisce, per averne trovato documentazione nei Libri della Fabbrica, completamente finanziato dalla Fabbrica stessa e non dal duca Ercole, che risulta quindi essere solo il promotore.
La stretta colleganza tra il duca e l'architetto, che anche qui legano i loro nomi, ripete un uso alquanto consueto che sembra essere pressoché identico, per esempio, a quanto già avvenuto per la ricostruzione di Santa Maria di Vado; qui, però, Biagio Rossetti figurava nei precisi contratti con i religiosi appaltatore che eseguiva su disegni di Ercole de Roberti e pagava materiali e mano d'opera; nel caso del Duomo non abbiamo testimonianze contrattuali analoghe, e anzi sembra che le maestranze fossero pagate direttamente della Fabbrica, eccetto che per la decorazione pittorica, per la cui esecuzione ci illumina un contratto del notaio Nicolò Zerbinati, stipulato il 2 marzo 1499.
Il documento, reso noto da Luigi Napoleone Cittadella nel 1865, è intitolato "Conducta pro pictura truine facta per mag. Blasuim Rosetum Architectum". In esso l'architetto si impegna a far dipingere "omnibus suis expensis" da due bravi pittori (Andrea Costa, bolognese, e un ignoto modenese) un dipinto nel coro, composto di nove figure, vasi e capitelli con oro come fosse un finto mosaico; e questo dipinto da farsi secondo il disegno presentato, doveva avere le figure della stessa qualità di quelle che stavano per eseguire (non sappiamo dove), una il maestro Bonfanzino, l'altra il maestro Lazzaro; giudice della bontà delle pitture Andrea Mantegna, al quale si affidava una sorta di moderno collaudo del lavoro, appaltato e quindi fatto eseguire a sue spese da Biagio Rossetti; il quale, dice ancora il contratto, avrebbe cancellato le figure e restituito i pagamenti qualora il Mantegna non avesse ritenuto il dipinto all'altezza del modello.
Per quanto i pittori indicati quali esempio da seguire e il modenese compagno di Andrea Costa non siano figure note, sembra quindi che l'abside rossettiana ebbe fin dal momento della sua edificazione una decorazione pittorica, della quale si sono tuttavia perse le tracce. In realtà rimane misteriosa la ragione per cui questo dipinto, che dalle descrizioni si deve supporre assai rilevante, non sia mai nominato altrimenti dagli storici, e neppure ricordato al momento dell'esecuzione del Giudizio da parte del Bastianino. Si potrebbe avanzare l'ipotesi che per motivi ignoti la decorazione non fosse mai stata realizzata, anche se appare singolare credere che l'edificio religioso più importante della città, il Duomo appunto, possa essere rimasto privo di una qualche significativa decorazione nell'abside per quasi ottant'anni, fino alla comparsa sulla scena del Filippi.
Decorata o no all'interno, l'abside di Biagio Rossetti è comunque una delle opere architettoniche che identificano al massimo grado l'opera del maestro, ma nello stesso tempo ne dimostra la duttile capacità di rinnovarsi a ogni progetto: se la lesena con bordo a cornice e il relativo capitello appiattito si ritrovano già in Santa Maria in Vado, per esempio, il trattamento dell'alta superficie con doppio ordine e arcate, ripreso a San Cristoforo, rende l'abside opera del tutto singolare per una forza che altre non hanno.
Questa cura nel disegno architettonico a doppio ordine, impostato su un alto basamento, appare ancora più interessante se si pensa al fatto che, comunque, l'abside nasceva già circondata da edifici preesistenti che, sia pure di volumetrie assai più ridotte delle attuali, ne nascondevano alla vista l'ordine inferiore.
L'uso dei materiali - mattoni, cotto decorato prodotto a stampo, rari inserimenti di lapidei di provenienza veneta - riconducono l'abside nell'alveo di una consolidata tradizione costruttiva locale alla quale il Rossetti si attenne con stretta continuità. E proprio questi materiali, insieme a un complesso lavoro di consolidamento e razionalizzazione delle strutture lignee della copertura, sono stati oggetto del restauro oggi in fase di conclusione.
Le decorazioni in cotto presentano ampie ricostruzioni nel lato sud del coro realizzate negli anni 1950-51, a seguito della sistemazione dell'area fra navata, abside e campanile lasciata vuota dal crollo del coretto d'inverno; ricostruzioni realizzate con cotto di colorazione molto più intensa dell'originale (un rosso forte) e malte idrauliche, che conferivano (prima dell'odierno restauro) una tonalità piuttosto livida e sgradevole alla parte d'abside visibile dalla piazza.
A parte questa situazione, e a piccole porzioni di cornici sostituite in momenti manutentivi non tutti collocabili nel tempo, le decorazioni in cotto originali si mostravano sia ricoperte da uno spesso strato di deposito di polveri e smog, sia profondamente e diffusamente aggredite da diverse forme di degrado; in primo luogo, la polverizzazione che aveva cancellato o compromesso il modellato di gran parte delle modanature; quindi, il distacco e la mancanza per caduta di intere parti delle lesene e degli archi; le mensole del cornicione alto, alcune delle quali rovinosamente crollate anche in tempi recentissimi, erano tutte lesionate, e quindi in fase di distacco dal cornicione.
Le condizioni di degrado erano tali da far pensare che l'abside - a parte gli interventi postbellici già detti e ampiamente visibili - non avesse mai avuto una generale opera di revisione o manutenzione nelle superfici esterne; i documenti, del resto, non forniscono sufficienti informazioni su questo argomento.
In effetti, appena effettuata la pulitura, ci si è potuti confermare nella prima impressione, in quanto larghissima parte dei due cornicioni e parti delle arcate hanno rivelato l'originale finitura bianca; una finitura che, imitando nel colore una pietra naturale, tendeva a dare l'impressione di un'architettura realizzata con materiali più pregiati; a questa finitura che individuava le partiture architettoniche era accompagnato sulla muratura di fondo un intonaco - del quale sono stati rinvenuti alcuni lacerti ben leggibili - di colorazione rosso-rosato, stilato per farlo apparire come di mattone.
Anche l'abside, quindi, come altri edifici rossettiani (e più in generale del rinascimento ferrarese) usava il cotto e il mattone, ma per ricoprire poi quello che era solo un materiale costruttivo con uno strato di finitura a intonaco protettivo e mimetico allo stesso tempo. Il restauro ha deciso di conservare queste precise testimonianze del fare architettonico di Biagio Rossetti e delle modalità costruttive del suo tempo, facendo sì, tuttavia, che i secoli trascorsi dalla realizzazione di questo colorato rivestimento bianco-rosso non venissero cancellati da improbabili - in questo caso - ricostruzioni.
Al trattamento conservativo delle parti di finitura residue e dei cotti decorati è stata poi accompagnata una diffusa sostituzione di elementi ormai perduti dall'eccessivo degrado o addirittura mancanti: integrazioni, con pezzi appositamente realizzati in cotto a stampo, puntuali e necessarie tanto alla leggibilità dell'apparato decorativo quanto, come nel caso delle mensole del cornicione, al suo sostegno.
Nelle finalità soprattutto conservative di questo restauro è implicito un risultato visivo privo di quegli elementi innovativi che talvolta danno luogo a diatribe dottrinali; l'abside apparirà leggermente più chiara, le decorazioni riacquisteranno una più completa leggibilità, e, soprattutto, sarà possibile percorrere il recuperato spazio della piazzetta - passaggio tra piazza Trento-Trieste e via degli Adelardi - alzando gli occhi su l'abside rossettiana conservata.