Ritorno a casa

Scritto da  Grazia Agostini

Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, Madonna con il Bambino e san Giuseppe, Ferrara, Pinacoteca Nazionale, collezione Fondazione Carife.Quattro opere d'arte restituite a Ferrara dalla Fondazione Cassa di Risparmio.

Chiunque sia ferrarese di nascita o, come me, di adozione e di cuore, non può che salutare con soddisfazione un nuovo recupero realizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara di opere d'arte eseguite per la città e in seguito disperse, vittime di quel grande fenomeno di diaspora del patrimonio d'arte ferrarese che è stato tante volte evocato anche sulle pagine di questa rivista.

Con l'intento di costituire un'anagrafe delle opere disperse è nata, nel 1999, una ricerca che è stata alla base della mostra Il Paradiso perduto. Per un archivio della memoria estense, a cura di un gruppo di studiosi, sotto la direzione della Soprintendenza ai beni artistici e storici e dei Musei Civici di arte antica.

L'approfondirsi dell'indagine ha portato a censire circa 1500 dipinti, 280 manoscritti miniati, 142 sculture e 80 pezzi di ceramica, senza contare gli arazzi, le armi e le armature, l'oreficeria e tutte quelle arti applicate che finora non sono state catalogate. Un patrimonio, dunque, finalmente ricostruito, almeno nella sua entità numerica, che potrebbe, da solo, formare un grande museo della memoria estense, ma che purtroppo è disseminato in raccolte pubbliche, collezioni private e botteghe antiquarie di tutto il mondo.

La conoscenza di questa ricchezza d'arte dispersa rappresenta il primo passo per il recupero che a volte - ma solo raramente - è ancora possibile. Ben vengano, dunque, queste nuove acquisizioni che rientrano nell'illuminato collezionismo della Fondazione e che aggiungono qualche tessera al mosaico, sfortunatamente ancora troppo frammentario, dell'immagine storica della città.
E ora, ecco i dipinti che sono ritornati a Ferrara grazie all'oculata politica di acquisti della Fondazione: le schede che qui li illustrano sono soltanto una prima presentazione. È, ovviamente, ancora possibile approfondire attribuzioni e datazioni. Le opere recuperate saranno visibili, d 'ora in poi, in Pinacoteca, a disposizione di chiunque voglia studiarle, esaminarle o, semplicemente, ammirarle come pezzi unici finalmente ritornati "a casa".

Giuseppe Mazzuoli, il Bastarolo
(Ferrara 1536 ca. -1598)

Le sante Agata e Lucia

Giuseppe Mazzuoli, detto il Bastarolo, Le sante Agata e Lucia, Ferrara, Pinacoteca Nazionale, collezione Fondazione Carife."S. Agata e S. Lucia cogli emblemi del loro martirio, coronate da due Angeli, sostenute da nuvole; l'una sembra guardare al basso. E nel luogo ove erano collocate nella chiesa ora chiusa di S. Salvatore... guardava effettivamente a una immagine di nostra donna sculta al basso, a cui ambedue facevano corona" Così Camillo Laderchi, nel suo catalogo della collezione Costabili, descrive al numero 206 l'elegante dipinto, attribuendolo con certezza a Giuseppe Mazzuoli detto il Bastarolo (Ferrara 1536 ca. - 1589).

L'opera risultava dispersa dopo la vendita all'asta della raccolta avvenuta a Milano nel 1888. E, proprio a Milano, è stata ritrovata. Nessun dubbio che sia la tela "di mezzana grandezza" illustrata da Laderchi. Il dipinto presenta, impresso sul retro, il monogramma G.B.C. di Giovan Battista Costabili e reca anche la traccia di quella immagine scolpita della Madonna di cui si fa cenno nella descrizione.
Una sagoma di forma ottagonale e di colore più chiaro, IN basso al centro della tela, attesta il luogo IN cui doveva essere collocata l'immagine menzionata da Laderchi, probabilmente una targa votiva in terracotta. L'ultima citazione del dipinto nella chiesa di San Salvatore risale al Brisighella: la chiesetta ad aula con una cappella sul lato sinistro era già particolarmente degradata nel 1754 tanto da essere privata del titolo di parrocchia.

Dopo le soppressioni napoleoniche fu chiusa e, come spesso avveniva, adibita a magazzino; nel 1839 venne addirittura demolita. Il dipinto doveva essere allora passato da poco alla collezione Costabili. La raccolta, numericamente imponente (più di seicento pezzi), era stata formata proprio in quegli anni grazie agli acquisti compiuti dall'avveduto collezionista nelle aste del patrimonio delle chiese e dei conventi seguite alle soppressioni napoleoniche.

Le due sante si spartiscono simmetricamente la scena con compita eleganza. Con gesto umile e devoto, Sant'Agata offre su un vassoio i seni mozzati, segno del suo martirio. Santa Lucia regge nella mano destra un inquietante fiore con i petali formati dagli occhi, suo consueto attributo iconografico. È lo stesso fiore che la santa Lucia di Francesco del Cossa mostrava, un secolo prima, alla devozione dei fedeli nello scomparto superiore del celeberrimo polittico Griffoni, eseguito per la chiesa di san Petronio di Bologna. Forse un omaggio, dunque, alla tradizione pittorica della grande "officina" quattrocentesca.

La religiosità facile e accostante della tela è quella degli ultimi dipinti di Bastarolo che mostra di aderire con piena convinzione ai dettami della Controriforma come nella Madonna in gloria con le sante Barbara e Orsola che dall'oratorio di S. Barbara pervenne al Museo di Schifanoia.

Attr. Pietro Damini
(Castelfranco Veneto 1592- Padova 1631)
Madonna in trono tra San Francesco e Santa Margherita (?)

Pietro Damini (attribuito a), Madonna in trono fra San Francesco e Santa Margherita (?), Ferrara, Pinacoteca Nazionale, collezione Fondazione Carife."La beata Vergine che dà il Bambino a S. Francesco e vi è anche Santa Caterina. Tavola piccola per traverso di Agostino Carracci." Così figura descritto il dipinto, che reca impresso sul retro l'inequivocabile monogramma G.B.C., al n. 506 della collezione di Giovan Battista Costabili nel catalogo della raccolta redatto da Camillo Laderchi con l'indicazione dell'antica provenienza: "era degli eredi Grandi".

Troppo pochi sono gli elementi per risalire all'ubicazione originaria del quadretto che il piccolo formato indicherebbe, comunque, eseguito per destinazione privata. Di una devozione familiare parla anche il tono intimo e raccolto della scena con la Madonna che porge il Bambino al san Francesco e l'elegante santa, forse identificabile più che con santa Caterina - secondo la definizione di Laderchi - con santa Margherita per il drago mostruoso  che, ormai domato, giace addormentato ai suoi piedi e che rappresenta il suo tradizionale attributo iconografico.

Il piede nudo della Madonna, destinato a schiacciare il serpente simbolo di Satana nella visione dell'Apocalisse, allude al complesso articolo di fede legato all'Immacolata Concezione, particolarmente caro alla spiritualità francescana. Il tema, svolto con una pittura piana, semplice e comprensibile, aderisce con precisione e consapevolezza alle indicazioni teoriche della Controriforma.

L'attribuzione ad Agostino Carracci, che era nel catalogo della raccolta Costabili, è stata riveduta nella scheda (redatta da Mauro Prasedi) della galleria antiquaria in cui il dipinto è stato ritrovato: l'opera vi risulta ascritta alla mano di Pietro Damini. In effetti, il tono coloristico accentuato, la raffinatezza della santa, memore delle finezze pittoriche di Paolo Veronese, sembrano parlare a favore di un artista noto per le sue doti di elegante divulgatore della grande tradizione veneta.

Maestro dei Dodici Apostoli
Giacobbe e Rachele al pozzo

Maestro dei Dodici Apostoli, Giacobbe e Rachele al pozzo, Ferrara, Pinacoteca Nazionale, collezione Fondazione Carife.Artista di non facile definizione, trae il nome con cui è noto dalla serie di piccole tavole con figure di apostoli attualmente conservate nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara. La personalità del pittore, attivo tra la città estense e la vicina Rovigo tra il 1530 e il 1542, è stata ricostruita da Claudio Savonuzzi in un fondamentale saggio su "La Critica d'arte" del 1950, come quella di un maestro garofalesco, influenzato dalle novità di Dosso e Battista Dossi e dalla pittura dettagliata e attenta al particolare di Mazzolino.

Il soggetto del dipinto è tratto da un episodio del Vecchio Testamento (Genesi 29.1-10): Giacobbe, attorniato da altri tre pastori, è raffigurato in atto di rimuovere la pietra dal pozzo per abbeverare le pecore di Labano. Sulla destra, in piedi, è la cugina Rachele, figlia di Labano, in veste di pastorella. Gli elementi fantastici, castelli e montagne velate d'azzurro, all'orizzonte, fanno da sfondi ad altri episodi tratti dalla narrazione biblica: al centro Labano, la moglie e la figlia Lia si allontanano dalla città; a sinistra, lo stesso Giacobbe svolge uno dei lavori richiestigli da Labano.

In realtà, tutto l'episodio è svolto come una scena pastorale in cui il gregge di Labano appare, però, relegato sullo sfondo, mentre in primo piano compare un bizzarro assortimento di animali (capre, rettili uccelli), tutti accuratamente descritti insieme a una serie di particolari che poco o niente hanno a che fare con il racconto biblico: un sacchetto di frutta e una complicata cornamusa abbandonata per terra. La collocazione in primo piano e la nitidezza della pittura accorda loro un'evidenza quasi da natura morta.

Nella pala con la Madonna e Santi, eseguita dallo stesso pittore per la chiesa ferrarese di Santa Maria in Vado e ora alla Pinacoteca Nazionale, ritroviamo la medesima evidenza in un dettaglio che assume quasi un ruolo di protagonista della scena: il cappello da pellegrino del san Rocco che spicca al centro della composizione, posato sui gradini del trono. L'ambientazione paesistica, il repertorio di animali e oggetti affastellati e il particolare degli strumenti musicali, riflettono il gusto della corte estense del primo cinquecento che prediligeva le minuzie descrittive della pittura nordica e la chiarezza lenticolare dei fiamminghi.

Il dipinto richiama puntualmente il carattere dell'artista che, secondo la felice descrizione di Savonuzzi, appare spesso "ristretto ad un perpetuo oscillare tra due poli: una traboccante, fervida, sensuosa immaginazione e le misure, le regole, l'invetriatura di un classicismo digerito stentatamente".

Benvenuto Tisi detto il Garofalo
(Ferrara 1481? - 1559)

Madonna con il Bambino e san Giuseppe

Ignota è la destinazione originaria della tavoletta, praticamente inedita e comparsa sul mercato dell'arte con la giusta attribuzione a uno dei maggiori pittori ferraresi: Benvenuto Tisi detto il Garofalo. Il piccolo formato non si confà a una pala d'altare, e parla piuttosto a favore di una collocazione in ambito privato.

In un ampio disteso paesaggio è raffigurata la Sacra Famiglia: la Madonna sostiene il Bambino Gesù nudo in piedi; le sta al fianco san Giuseppe che, semisdraiato, si appoggia al bastone. Si tratta probabilmente, come iconografia, di un riposo dalla fuga in Egitto.
Domina la scena un vasto paesaggio fluviale con castelli e montagne azzurre in lontananza, sovrastate da un cielo tempestoso, mentre un albero dall'ampia chioma di foglie lumeggiate IN oro offre riparo al gruppo.
Il paesaggio incantato e silenzioso sembra proteggere il momento di quiete dei personaggi IN primo piano: la scena sacra è completamente inserita nella natura.

Il senso di totale immersione delle figure nel paesaggio, simile ad altre composizioni di Garofalo, con l'episodio sacro completamente calato nell'ambiente naturale circostante, appare molto vicino al sentire di un altro grande artista, attivo nella Ferrara del primo Cinquecento, Dosso Dossi, tanto da indurre a ritenere quest'opera eseguita in un momento di particolare contiguità stilistica tra i due pittori.