Storia di un restauro

Scritto da  Maria Chiara Montanari

Il convento dei Gesuati prima del restauro.Il recupero a nuova destinazione dell'antico convento dei gesuati a Ferrara.

"Questo luogo, Chiara, va amato" mi disse monsignor Mario Dalla Costa, rettore del Seminario Arcivescovile di Ferrara, all'inizio del cantiere, mentre venivano eseguite le operazioni di trasloco degli arredi, per dar corso all'avventura, durata un anno, che ha visto il restauro e il recupero dell'antico convento dei gesuati.
E aggiunse: "Va amato anche dopo, da quelli che lo dovranno curare dopo di te" perché sapeva che io già lo amavo. E quanto.

L'occasione di restaurare, con un intervento globale e sistematico, l'ampia porzione dell'antico convento dei gesuati, di proprietà del Seminario di Ferrara, recuperandolo anche dal sottoutilizzo e dall'abbandono, è stata offerta dal suo inserimento nel Piano degli interventi finanziati dallo Stato in previsione del grande Giubileo del 2000, a fronte di un cofinanziamento del Seminario stesso.

E'  un complesso conventuale quattrocentesco, costruito su preesistenze trecentesche. La storia ufficiale ci parla di alcune casette donate da un benefattore ferrarese - certo Nicolò dall'Oro detto il Ziponari - alla congregazione dei gesuati, perché questi si stabilissero a Ferrara. Si inserisce nel tessuto medievale della prima Addizione di Nicolò II, del 1386, situato nell'isolato delimitato da via Pergolato, via Savonarola - sulla quale si erge la facciata della chiesa di San Girolamo, preceduta da un ampio sagrato -, via Madama e via Borgo di Sotto.

 

Il convento dei Gesuati prima del restauro.La congregazione laica dei gesuati, fondata dal Beato Giovanni Colombini, senese (1304-1367), fu approvata da Urbano V nel 1367, dopo non poche lotte e sospetti d'eresia. Martino V, in una costituzione del 22 ottobre 1428, li chiama "i poveri di Gesù Cristo", "i poveri del laudato Cristo gesuati". Con apposita Bolla 29 agosto 1499, Alessandro VI dispose che si chiamassero "gesuati di San Girolamo". Paolo V, nel 1605, permise loro di ascendere al sacerdozio: da allora i gesuati presero il nome di chierici apostolici. Vennero soppressi da Clemente IX, con Bolla 6 dicembre 1668.
Indossavano tonaca bianca, cappa e cappuccio color grigio e zoccoli di legno; erano vincolati dai tre voti. Vivevano di elemosine e degli incerti della loro abilità nel distillare erbe medicamentose e, perché no, forse anche grappe.

Il primo modesto insediamento venne ampliato (con demolizione parziale di preesistenze), con licenza della curia vescovile di Ferrara in data 26 aprile 1429, essendo vescovo monsignor Pietro Boiardi e con approvazione del marchese d'Este, in data 30 aprile 1429, su terreno da loro acquistato, pare, dalla confraternita dei battuti neri, per costruirvi un oratorio destinato anche ai fedeli, a differenza di quello interno al convento, riservato ai gesuati.
A questi lavori partecipò attivamente il beato Giovanni Tavelli da Tossignano, che aveva fatto tesoro dell'esperienza di Venezia, dove aveva lavorato all'adattamento del locale convento, in Santa Maria della Visitazione, alle Zattere.
Egli, prima priore dei gesuati di Ferrara, fu poi amato vescovo della città e diocesi, dal 1431 fino alla morte, avvenuta nel 1446; è tuttora in corso la causa di canonizzazione.

 

Il convento dei Gesuati prima del restauro.Altri lavori di ampliamento e trasformazione vennero eseguiti successivamente, anche per il prestigio che venne ad acquisire il convento alla morte del beato, richiamati in tanti per i miracoli che qui si compivano per sua intercessione. Con Bolla 6 dicembre 1668, Clemente IX soppresse l'ordine dei gesuati, il convento venne dato in titolo di Abbazia a monsignor Luigi dei Marchesi Bevilacqua (famiglia nobile di Verona che si era stabilita a Ferrara nel 1430), il quale, volendo favorire la presenza a Ferrara dell'ordine dei carmelitani scalzi di Santa Teresa, offrì loro convento e chiesa. Essi presero possesso dei beni loro offerti e il 15 agosto 1671 l'Ordine fu istituito.
Divenuti poi eredi della famiglia Consumati, nonostante avessero ampliato in lunghezza l'antico oratorio, costruendovi tre altari nel 1676, cominciarono a edificare, nel 1696, l'attuale chiesa di San Girolamo, ultimata nel 1712.

 

A seguito delle varie peripezie conseguenti all'occupazione dei francesi, il convento rimane in proprietà ai carmelitani scalzi, che, il 21 aprile 1951, vendono all'Istituto Suore della Carità sotto la Protezione di San Vincenzo de' Paoli parte del complesso conventuale, riservandone per sé solo una porzione, la più vicina alla nuova chiesa.
Il primo ottobre 1989, l'Istituto Suore della Carità cede l'immobile in comodato gratuito al Seminario Vescovile di Comacchio, per opere e attività di religione e di culto.
Il 19 marzo 1999, atto Renato Guidetti, l'Istituto Suore della Carità dona l'immobile al Seminario Arcivescovile di Ferrara, che accetta.

 

Particolari degli affreschi recuperati nel corso dei restauri.L'ingresso al complesso immobiliare avviene da via Madama, attraverso cortili che un tempo erano gli orti dei gesuati, ma allora vi si accedeva attraverso un porticato che, partendo sempre da via Madama, ma più sotto, accompagnava i fedeli all'oratorio. Ora, la parte più prossima a via Madama è in proprietà a privati e dell'antico loggiato rimane solo una colonna, inglobata nello spigolo di un fabbricato di civile abitazione. Se ci si pone con le spalle all'alto muro di confine, all'interno del porticato, e lo si percorre, nel tratto rimasto, sulla pavimentazione ora realizzata in mattoni di cotto fatti a mano, perché non si è trovata traccia dell'originale, si può rivivere l'emozione di allora, attraverso le prospettive delle ampie arcate, sorrette da colonne ottagonali in cotto, interamente risanate, consolidate e restaurate, poggianti su un basso muretto, sormontate da capitelli pure in cotto, con volte a crociera leggermente nervate. La suggestione di questo punto di vista, non noto a molti, perché è un angolo quasi dimenticato, intercluso com'è, ci fa quasi sentire i profumi di lavanda, maggiorana e delle altre erbe coltivate negli orti e distillate nei laboratori che si trovavano proprio qui, all'ingresso di via Madama, di lato al porticato, locali ora perduti.

 

Altri particolari degli affreschi recuperati nel corso dei restauri.Quadri di artisti ferraresi ben noti e altri dipinti murali, ornavano le pareti del loggiato: i quadri sono andati in parte dispersi, in parte collocati altrove, mentre dei dipinti su muro rimangono ora, ritrovati e restaurati, un imponente San Girolamo in affresco, sopra la porta che immette nella stanza del camino (i gesuati avevano, nella loro regola, la possibilità di scaldarsi davanti al fuoco, dopo cena, d'inverno, cantando le lodi); un pregevole dipinto raffigurante il simbolo dell'eucarestia (che era pure lo stemma dei gesuati e lo si ritrova, anche se in forme, dimensioni e stili diversi, un po' ovunque, all'interno del convento); un'indefinita macchia di colore verdastro, che la ricerca storica ci dice essere quello che resta di una Orazione di Gesù nell'Orto degli Ulivi; croci di epoche diverse che scandivano le stazioni della Via Crucis; ormai la sola sinopia di un affresco raffigurante Cristo Crocefisso che doveva avere, dalle descrizioni storiche, quattro beati gesuati ai suoi piedi, fra cui anche il Tavelli (si intravede la testa con la raggiera del beato, di uno solo di loro e a me piace pensare che possa trattarsi proprio del Tavelli).

 

Particolari degli affreschi recuperati nel corso dei restauri.Sopra la porta che immetteva nell'antico oratorio, un'iscrizione latina, incisa sull'intonaco, narra delle vicende dell'oratorio, dei suoi ampliamenti e delle sue consacrazioni. È l'unica cosa che rimane di esso, a parte l'involucro esterno in mattoni a vista, impreziosito da una bellissima cornice ad archetti nel sottogronda, ridotto a usi profani già ai tempi dei Carmelitani Scalzi, quando ebbero costruita la nuova chiesa su via Savonarola e sono andati, purtroppo, completamente perduti (la ricerca è stata puntigliosa anche se vana) i dipinti raffiguranti la storia e i miracoli del Beato Tavelli, su un intonaco completamente rimosso e rifatto in tempi relativamente recenti.
A fianco della stanza del fuoco, con volta a padiglione, con archi e vele poggianti su capitelli in pietra scialbata di bianco, fastosamente decorata con dipinti ottocenteschi, vi è l'antico refettorio, restaurato e riportato al suo aspetto originale, austero nella sua semplicità, con - al centro della volta del soffitto - affrescato, il monogramma raggiato di Cristo (dell'epoca dei gesuati) e, in una parete di fondo, incorniciati da due ovali in stucco, i dipinti (carmelitani) di Santa Teresa e di San Giovanni della Croce. Ora l'antico refettorio è una capiente, attrezzata sala conferenze.

Al di là degli ambienti descritti finora, in parallelo, due chiostri: l'uno, più piccolo, di forma pressoché quadrata, che era il cortile con la cisterna per la raccolta dell'acqua piovana, l'altro, di forma rettangolare, era il giardino.
Il primo è tutto circondato da un porticato, con archi e colonne ottagonali con basamenti e capitelli, tutti di cotto; in un lato, l'ordine superiore si raddoppia, rispetto all'inferiore, corrispondendo a un arco del piano terra, due arcate al piano primo; sugli altri tre lati, la scansione delle aperture del piano primo è la stessa del piano terra, ma qui non vi sono arcate, poggiando il tetto direttamente sulle colonne con trabeazione retta, orizzontale. Il tutto con armonia ed equilibrio perfetti.

 

Un'immagine del chiostro principale, a lavori ultimati.Il secondo vede i corpi di fabbrica in soli tre lati di proprietà del seminario, l'altro lato è rimasto ai carmelitani e tamponato nelle sue arcate. Da noi il loggiato occupa un lato e prosegue con due arcate in parte di un secondo. Anche qui, si ripete, quasi specularmente, l'armonicità dell'ordine superiore raddoppiato rispetto all'inferiore.
Probabilmente questo porticato venne aggiunto in tempi successivi, perché, sulla parete ora interna cui esso è addossato, sono state ritrovate tracce di alti portali e, soprattutto, meridiane: più di una, sovrapposte l'una all'altra, quasi una lavagna di prova, in quanto i gesuati erano maestri esecutori di meridiane.
Il cornicione sottogronda, a gola rovescia, sia sul lato appartenente ai carmelitani ma visibile solo dal nostro chiostro, sia sul nostro loggiato, è interamente dipinto, a specchi, con paesaggi e grottesche.
Sul lato del loggiato, appaiono pure, più in basso, quattro tondi dipinti con i volti di altrettanti gesuati, non tutti in buono stato. Uno di questi, raffigura - a mio avviso - il Beato Giovanni Tavelli, e, se ciò è vero, questa è l'unica testimonianza iconografica superstite nel convento di Ferrara, del tutto somigliante a quella rinvenuta a Venezia nel soffitto ligneo della chiesa.

Esigenze pratiche hanno richiesto, per i porticati dei chiostri, l'apposizione di vetrate, realizzate però, come elemento leggero, con infissi in ferro verniciato di dimensioni volutamente minime.
Si è avuto l'accorgimento, inoltre, di lasciare libere le colonne e le arcate, cui si accosta il solo vetro sagomato, per non intaccare fisicamente gli elementi architettonici e per consentire la lettura delle architetture libere da qualsiasi impedimento o impatto visivo. Particolare cura e attenzione sono state poste anche nella scelta delle ripartizioni dei montanti e traversi di sostegno della superficie vetrata.

 

Un'immagine del chiostro principale, a lavori ultimati.Il progetto della distribuzione interna dei locali si è prefisso una riproposizione dei collegamenti antichi, sia orizzontali che verticali, rispettando i porticati e i corridoi esistenti nella loro forma e dimensione e scegliendo di costruire una nuova scala (necessaria come via di fuga per la prevenzione incendi), nel luogo dove ne era collocata una in origine, demolita forse perché angusta e fatiscente.
Il resto esisteva già: le antiche celle sono divenute le nuove camere da letto di una struttura ricettiva e anche l'inserimento dei servizi igienici è stato possibile senza stravolgimento dell'impianto originario, che rimane pur sempre leggibile.

Unico vezzo: nelle stanze a ovest al primo piano del chiostro più piccolo, che non avevano possibilità di aerazione e illuminazione sui muri verticali (l'uno perché in confine con altre proprietà e l'altro perché affacciantesi sul corridoio del chiostro), poiché l'altezza lo consentiva, sono stati realizzati dei piccoli soppalchi, con strutture del tetto a vista e lucernai (peraltro già esistenti, anche se insufficienti e non funzionali) adeguati e facilmente manovrabili.

Quando mi sono accostata al progetto di recupero del complesso, mi sono trovata di fronte a due realtà: l'una, attorno al chiostro più piccolo, in cui interventi recenti già avevano caratterizzato l'insieme, adeguandolo alle esigenze di una struttura ricettiva (era pensionato per studentesse universitarie); l'altra, fra il cortile d'ingresso e il chiostro più grande di forma rettangolare, dismessa dal dopoguerra (gli ultimi ad abitarla, gli sfollati, che si erano ricavati mini alloggi di due camere, con costruzione anche di superfetazioni), ma che ancora conservava - recuperabile - l'impianto antico.

 

Un'immagine del chiostro principale, a lavori ultimati.Se per la prima, l'intervento poteva riassumersi in una ristrutturazione che, prendendo atto del "già fatto", poteva, forse, migliorarlo funzionalmente ed esteticamente, nella seconda, la scelta d'intervento era d'obbligo: restauro e adeguamento conservativo. Tutte due insieme, queste realtà, però, chiamavano una omogeneizzazione che poteva ottenersi solo cercando di recuperare, nella zona più manomessa, l'aspetto originario degli elementi architettonici e di finitura.

Così, le finiture, in tutti gli ambienti interni, hanno voluto essere motivo collegante di tutto il contesto: tinteggiatura a calce con riproposizione delle antiche cromìe; pavimenti in cotto per le camere, i bagni, le sale, i corridoi, i porticati, i loggiati, le scale; infissi esterni e interni (tranne le già citate vetrate dei chiostri) in legno verniciato con smalto opaco di colore scuro, secondo l'uso antico e seguendo tutte le prescrizioni della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici competente per territorio. Inoltre, si è voluto renderlo accessibile ai portatori di handicap.

L'ex convento durante il periodo giubilare ha accolto i pellegrini di passaggio a Ferrara, in un contesto che, per le sue peculiarità architettoniche e artistiche, è improntato alla semplicità e all'umiltà, intonandosi perfettamente alle predisposizioni di animo che l'evento si è proposto di ispirare, affiancandosi, a questo, gli ulteriori vantaggi dati dalla centralità del sito e dalla sua prossimità a tutti i luoghi di visita ferraresi.

Sono tornata là, ma non mi sono soffermata a guardarlo. Altri lavori, forse, sono stati eseguiti e la manutenzione stessa degli ambienti temo riflettano il necessario, spietato interesse ad avere un contesto sempre più funzionale per un'attività di accoglienza, facile da usare e mantenere, con l'inevitabile sopravvento sulla sensibilità e il rispetto dovuti a un luogo così bello e santo, memoria storica dell'arte e della religione. Lo ricordo come l'ho consegnato e gli auguro di essere ancora amato, ma non auguro a nessuno di amarlo come l'ho amato io.