La prima impressione che se ne ricava è che la fortuna della casa è strettamente legata al servizio della corte, presso cui i Giglioli si distinguono come abili amministratori, ricoprendo cariche pubbliche di delicata importanza e responsabilità. Tra le grandi famiglie che accompagnano l'ascesa della dinastia estense i Giglioli non hanno la risonanza dei Contrari, dei Turchi o dei Bentivoglio, ma la loro azione, direttamente rivolta ALL'amministrazione, li rende potenti e soprattutto ricchi.
La famiglia non seguirà il Duca a Modena, ma si metterà al servizio dei cardinali legati nel periodo successivo alla devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio. Comincia una nuova vocazione del casato di tipo artistico-letterario, specie tra Sette e Ottocento, quando per via matrimoniale la famiglia si imparenterà con i Cicognara e con l'allora celeberrimo Leopoldo, il primo e più illustre studioso dell'opera di Canova (Carolina Cicognara, cugina dello studioso, sposerà Gaetano Giglioli).
Il palazzo di San Francesco, d'origine rinascimentale, sarà la nuova dimora dei Giglioli e verrà ristrutturato secondo i principi di un tardo neoclassicismo, ben evidente negli affreschi del Migliari e della sua scuola. L'attenzione al mondo dell'arte è continuata fino al conte Arturo che scrisse un non dimenticato libro sulla Cattedrale di Ferrara e ricoprì incarichi importanti come la direzione della odierna Galleria di Palazzo dei Diamanti.
La storia che ci interessa ha un principio poco chiaro. Giacomo Giglioli, che sotto il marchesato di Niccolò III Estense raggiunge la carica di Segretario, o meglio Referendario del Marchese, è al colmo del potere quando, scrivono le cronache, viene accusato di alto tradimento assieme al figlio Gigliolo, capitano di Reggio Emilia, e tradotto in carcere con il figlio. Il Diarium Ferrariense, che trascrive gli avvenimenti più importanti dello stato estense dal 1409 al 1502 - probabilmente redatto da Bernardino Zambotto intorno al 1482- così vivacemente descrive l'arresto dei due imputati:
1434, a dì XVII Zenaro fu preso Messer Jacopo Ziliolo de Este, Secretario de lo Illustrissimo Marchexe Nicolò de Este, e in quello giorno proprio fu preso Messer Ziliolo suo figliuolo, il quale era Capitaneo de Reggio e fu menato a Ferrara e fu messo in Castello in la torre Marchexana e fu dicto per tradimento che volevano fare al dicto Marchese, et fulli attrovato tra denari et roba la valuta di dusento miara (milia) di ducati computando denari che avea a Fiorenza e a Rimine et possessioni et mobile de casa; e fu venduta la sua casa a Zoanne Gualengo per lire seimila. El dicto Jacomo fu attrovato impiccado per la gola.
Ancor più esplicita la Cronica di fra' Paolo di Lignago che, dopo avere riportato l'arresto e la rovina della famiglia ("Et XIIIII dì continui non si fece mai altro che cum XV carete vodar la sua casa e portar a corte la sua roba", esplicito riferimento ad un concetto machiavelliano ormai passato in proverbio, cioè che l'offesa più grande non è colpire il nemico negli affetti o nelle persone, ma toccarlo nella roba), descrive la sorte riservata al figlio Ziliolo o Gigliolo.
Et Messer Ziliolo stete detenuto in Castello in un fundo de torre anni XII continui: lo quale poi ave gratia et uscito morse di morte subitanea.
Padre impiccato, figlio detenuto per tredici anni e una liberazione che, ironia della sorte, si trasforma in una "morte subitanea". Ricorrono alla mente celebri altri momenti della fosca leggenda estense: la congiura di Don Giulio d'Este che assieme al fratello trama la ribellione contro Alfonso I e il cardinal Ippolito. Detenuti nella torre del Castello ne usciranno vecchissimi sotto il regno dell'ultimo pronipote, il senza prole Alfonso II che, estinguendo il ramo diretto estense, provocherà la devoluzione allo stato della Chiesa.
Ma ancor più fosche vicende si consumano a corte sotto il marchesato di Niccolò III, l'abile signore che consoliderà la sua stirpe fino ad assicurarle il potere ininterrotto sugli stati estensi. Ed è la terribile storia di Ugo, figlio del marchese e della matrigna Parisina, decapitati perché accusati di amori incestuosi o quasi. In una girandola di successioni, amanti, mogli, anche molto moderna, in cui i figli non legittimi assumono il potere, come Leonello e Borso avuti dall'amatissima Stella Dell'Assassino, amante in carica nonostante la prole legittima (avuta da Ricciarda di Saluzzo) che salirà al potere con Ercole solo dopo il regno dei due fratellastri.
Una grande famiglia dove le passioni estreme (che fecero la delizia di D'Annunzio) si mescolano alla ferocia dei tempi e all'abilità politica di colui che era additato come il macho per eccellenza dello stato: Niccolò, il gallo di Ferrara, con i suoi trentasei figli legittimi e no. In questo contesto, come vedremo, la vicenda di Ziliolo non appare eccezionale, tenendo conto e dando credito a quello che gli storici di corte dicono delle vicende politiche e delle battaglie che scandiscono la vita del signore di Ferrara.
Ecco la sorte riservata a un nemico in una delle innumerevoli campagne condotte da Niccolò per ampliare e consolidare lo stato, così come la racconta il Sardi, nelle sue Historie ferraresi. È una delle tante guerre tra i grandi capitani di ventura, come Muzio Attendolo Sforza e Otho Ottobuono che si era impadronito di Modena. Ecco cosa capita al nemico: assalito proditoriamente Ottobuono, il marchese "lo occise":
Ad Ottobuon morto furono tratte le interiora da' villani Modonesi; et il fegato cotto, et mangiato: il corpo squartato, et i pezzi mangiarono quelli, ch'erano stati offesi da lui: il capo confitto in una lancia fu da' Rossi posto nel Castello loro di Felino.
Se questa è la sorte riservata ai traditori, potrebbe apparire clemenza quella riservata a Ziliolo. Ma, in verità, Niccolò non è solo lo spietato esecutore di vendette verso chi lo tradisce; è l'illuminato sovrano che, pur nella rozzezza della sua educazione capisce, valuta e apprezza l'importanza del sapere e il sogno umanistico del ritorno alle humanae litterae e alla classicità.
È per suo merito che Ferrara si appresta a divenire uno dei grandi centri umanistico-rinascimentali: si deve a lui se il grande Guarino veronese insegnerà nello studio ferrarese e diventerà il precettore del principe, coltivando con un raffinatissimo programma educativo le inclinazioni di Leonello destinato a succedere al padre e a instaurare l'età dell'oro a Ferrara. E alla scuola di Guarino andrà pure Ziliolo e quel Petto da Baisio che, da sodale e compagno di studi, diverrà il suo carceriere e il suo torturatore.
Chi legga le lettere di Guarino ai suoi allievi potrà rendersi conto come il maestro volesse instillare nei suoi allievi la dignità della persona, quella humanitas una volta per tutte esercitata dagli antichi, che rende l'uomo degno del suo nome e che trasforma la ferocia naturale in rispetto e dignità di sé e degli altri.
Della infelice vicenda di Ziliolo resta un documento conosciuto da pochi, perché solo un venticinquennio o poco più separa i nostri giorni dalla pubblicazione della Comediola Michaelida, edita nel 1975 da due importanti filologi, Walther Ludwig e Maristella De Panizza Lorch.
Il manoscritto, ritrovato nel 1966 su un'indicazione di Oskar Kristeller, il massimo studioso del nostro Rinascimento, alla Biblioteca Vaticana sotto la dicitura Codex Reginenses Latinus 1609, è opera di mano (e di sangue) di Ziliolo che impetra, sotto le spoglie del personaggio Thimo, la liberazione da uno stato di prigionia a cui lo sottopone il crudele Fanius, proprio quel Petto che esercita la carica di capitano del Castello, un tempo suo amico e sodale alla scuola del Guarino; altri personaggi, come il rex, alludono chiaramente a Niccolò, e il regius filius, a Leonello.
La "comediola", che in realtà è una tragedia, tenta di riportare Fanio sulla strada dell'umanità verso se stesso e gli altri prigionieri, secondo i principi appresi alla scuola dei classici. Dalle lettere di Guarino e dalle ricerche d'archivio, risulta che la vicenda ha un sostanziale fondo storico. L'amicizia tra Giacomo Giglioli, padre dello sfortunato Ziliolo, e Guarino è testimoniata dalle lettere che si scambiano tanto da far supporre alla Lorch che Giacomo stesso fu ordinatore dell'epistolario guariniano; vale a dire, a comporre attraverso le lettere quel ritratto umanistico che diverrà modello e specchio dell'umanista letterato e uomo politico.
Ironia vuole che proprio i fedeli seguaci di quell'etica venissero accusati di tradimento e dovessero scontare un'accusa infamante che sconfessava la lealtà verso il principe. Anche la figura di Petto non è poi così negativa come potrebbe apparire ad un giudizio superficiale. Petto è compagno di Leonello, Petto non è un rozzo carceriere, ma un raffinato cultore della nuova sensibilità umanistica, Petto diventa implacabile solo dopo che Ziliolo ha tradito la sua fiducia e ha organizzato una fuga dal carcere non ancora così duro come quello che subirà dopo lo sventato tentativo.
Ziliolo, infatti, è carcerato in una torre del Castello Vecchio, la Marchesana o di San Michele, dove ha un trattamento abbastanza umano: riceve la visita della moglie, può scrivere, può farsi recapitare un cibo degno della sua condizione. Il tentativo di fuga scatena l'inflessibile durezza di Petto-Fanius che, nella torre di san Michele (e da qui il titolo di Michaelida), eserciterà sul prigioniero una crudeltà negatrice di quei valori un tempo perseguiti.
Se dunque si intravede assai agevolmente sotto l'esile trama della vicenda un reale fondamento storico, la richiesta di umanità che l'autore lancia nella lettera dedicatoria al custode del Castello, non va taciuta la fierezza con cui Ziliolo si rivolge all'antico amico: gli orrori della prigionia non hanno intaccato quella fiducia nella nobiltà dello spirito che rappresentava l'aspetto più alto della lezione di Guarino e la supplica si trasforma in una discussione alla pari sul concetto di humanitas.
Che poi Ziliolo fosse stato colpevole o meno, non lo sapremo mai. I diritti della letteratura qui nascondono la biografia; forse non sapremo mai neanche se le torture che il prigioniero subisce siano tali come le descrive: legato alla catena, privo di scarpe, sommerso dall'acqua che invade la cella a intervalli - scene che purtroppo ancora oggi sono attuali; quel che l'opera, invece, ci tramanda è la richiesta di una giustizia umana che si concretizza, nell'opera, come personaggio, quella Justitia che potrà sollevare dall'orrore del presente chi un tempo fu persona di rango e di capacità intellettuali.
Si può dubitare se il ritratto che di sé Ziliolo traccia, confermato dalle commosse parole della curatrice, sia reale e non letterario. I tempi per quanto ferrei e crudeli non sono certo tali da poter arguire un'innocenza totale in chi esercita il potere, ma è certo che pur nella durezza estrema della pena Ziliolo decida di sopravvivere e scriva, cinque anni dopo la sua carcerazione, nel 1439, questa sua richiesta di compassione e di dignità, a volte addirittura con il proprio sangue usato a modo d'inchiostro.
La Michaelida
Scritto da Gianni VenturiUna storia estense, fra ferocia dei tempi e sogni di humanitas.
La storia della famiglia Giglioli è antica, ma ancora misteriosa, nonostante la pubblicazione recentissima dell'archivio di casa, voluta e attuata dall'Istituto di studi rinascimentali di Ferrara che custodisce come l'acquisto più prezioso i documenti di una vicenda ferrarese ancora tutta da studiare. Chi fosse la famiglia Giglioli ce lo dice per primo Antonio Frizzi nelle sue Memorie storiche della nobile famiglia Bevilacqua: "Si pretende, che i Giglioli fossero chiamati prima dei Pellicciai, e che dal padre Gigliolo Pellicciai, cortigiano, e favorito del marchese Alberto Signor di Ferrara, nel fine del secolo XV, cominciasse a dirsi de' Giglioli", ma ancor più attendibile il testo manoscritto di Arturo Giglioli, Memorie storiche della nobile famiglia Giglioli, consultabile presso l'Istituto.
Una famiglia potente le cui origini sono anteriori a quelle Estensi, se, come afferma Arturo Giglioli sulla scorta degli Annali estensi, e poi del Sardi, del Frizzi e del Cittadella, "la dicono discendente dai Pellicciari anteriori agli Estensi". Le notizie storiche vengono confermate dalla consultazione dell'Archivio di famiglia, composto di documenti relativi alle successioni patrimoniali e alla gestione delle terre acquisite in tanti secoli dalla famiglia.