Fra sacro e profano

Scritto da  Elettra Testi

Bartolomeo Veneto: Lucrezia Borgia, Collection of the University of Notre Dame, Indiana, Usa.La tormentata vicenda umana di Lucrezia Borgia.

La mattina del 9 ottobre 1502 lungo la Contrada del Praisolo due cavalli bianchi fendono la nebbia, i loro zoccoli infrangono il silenzio: quel baluginare di colori nella poca luce è la lettiga ducale diretta al Convento del Corpus Domini. Il breve viaggio di Lucrezia è un evento: l'accompagna Alfonso che era stato in ansia per la salute della sposa a causa di quel parto sventurato e di quel corpicino di bimba nata morta; la seguono i fratelli, ai lati della via l'acclama il popolo, ma lei ha bisogno di pace.

Fin da quando vi era giunta, il 2 febbraio, non aveva amato il Castello vecchio: le sale erano fredde e umide, salivano dai fossati miasmi paludosi. Il Convento del Corpus Domini fu da allora il luogo del ritiro e della quiete, come era stato a Roma il monastero delle domenicane di San Sisto dove Lucrezia si era rifugiata a sedici anni nella nuova condizione di contessa di Pesaro.


Certo, non doveva amarlo quel marito Giovanni Sforza che la ragion di Stato le aveva imposto, a Pesaro non era felice e guardava spesso verso Roma che era laggiù, oltre le montagne. Tutta la corrispondenza tra padre e figlia è segnata dalla nostalgia: giungono da Roma i brevi papali a sollecitare il ritorno degli sposi, da Pesaro risponde qualche sospiro. Appena finita la guerra, Lucrezia fece ritorno all'adorata casa romana di Santa Maria del Portico.

E allora, perché il convento, quel luogo di silenzio, immerso tra gli orti e le vigne di fronte alle Terme di Caracalla? Le cronache del monastero narrano una storia segreta e bellissima. Non è difficile immaginare che Lucrezia udisse nelle parole delle monache fanciulle una specie di contrappunto alla propria esistenza mondana, contrappunto nient'affatto sgradito, che andava a nutrire la sua anima di spagnola e di Borgia, eternamente in bilico tra sensualità e misticismo.

La presunta casa di Lucrezia Borgia a Ferrara, in via Capo delle Volte 50.Fu, dunque, la dimora a San Sisto una premonizione delle successive soste presso il Convento del Corpus Domini a Ferrara? Fu un presentimento di quella veste di terziaria francescana voluta per l'ultima apparizione, scelta per lo spettacolo definitivo dopo i velluti, i broccati, i rasi orditi d' "oro riccio", i gioielli? E, ancora, perché Lucrezia a 16 anni fuggiva dalla dorata corte papale dove era regina? A quali ripugnanze intendeva sottrarsi?

L'accusa di incesto venne formulata da Giovanni Sforza durante le pratiche per il divorzio voluto dal papa per un rovesciamento delle alleanze e rifiutato da Giovanni. C'era solo un modo per ottenerlo, ricorrere all'antico decretale che proclamava nullo il matrimonio se entro tre anni non fosse stato consumato. Lucrezia dichiarò di essere vissuta per più di tre anni "senza congiunzione carnale e senza copula" e di essere pronta a sottoporsi alla visita di un ostetrico. Allora a Giovanni saltarono i nervi, negli ambienti romani circolò per la prima volta l'accusa maledetta: il papa gli toglieva la moglie perché la voleva libera e sottomessa alle sue voglie.

Gli storici borgiani attribuiscono l'accusa al rancore di un uomo offeso, mentre Sannazzaro scrive: "Lucrezia di Alessandro figlia, sposa, nuora". Ma, per tentare di capire, ritorniamo alla storia segreta di San Sisto. Lucrezia aveva vietato a chiunque di raggiungerla, l'unica voce che proveniva dal mondo era quella dei messi pontifici tra i quali uno, Pedro Caldès o Perotto, aveva l'incarico dei messaggi particolari che abituarono Lucrezia alla sua presenza giornaliera.

Nella cella imbiancata a calce con il letto chiuso da cortine di mussola chiara, l'impiantito a mattoni rossi coperto da un tappeto di canapa ruvida, Lucrezia ascoltò parole sconosciute. Perotto, lo Spagnolo, aveva ventidue anni, si rivolgeva a lei nella lingua delle sue nostalgie, il volto bello gli ardeva: brani di lettere e cronache autorizzano a parlare di una passione giovane tra i due.

Pinturicchio, Lucrezia Borgia, nell'appartamento Borgia in VaticanoCosì, quando il 22 dicembre 1497 la figlia del papa comparve in Vaticano per assistere alla sentenza che la dichiarava fanciulla "intatta" e pertanto sciolta dal vincolo matrimoniale, per fortuna faceva molto freddo: vesti e sopravvesti invernali nascondevano il ventre che si stava gonfiando di quell'amore furtivo, mentre il volto della diciassettenne, che conosceva l'arte borgiana della dissimulazione, non tradì il minimo imbarazzo. Tre mesi dopo la notizia: "la figliola del papa ha partorito". Perotto pagò con la vita.

A queste cose pensava Lucrezia nelle giornate trascorse al Corpus Domini, all'alone di scandalo che l'aveva circondata e intanto ascoltava il frate Ludovico della Torre che la guidava nell'ascesi. Da una lettera riportata da Teodoro Lombardi risulta che Lucrezia si fece terziaria francescana in quei giorni del 1502 e non, come afferma Maria Bellonci, negli ultimi anni di vita. La sua non fu, dunque, una "conversione" tardiva. In realtà, Lucrezia aveva motivo di rammaricarsi pensando agli anni romani, quando i cronisti antiborgiani l'avevano bollata come "la più puttana che sia IN Roma", come "colei che ha dormito con li fratelli". 

Eppure, il papa mirava in alto per quella sua figlia amatissima e questa volta le ragioni della politica coincisero con quelle del cuore. Alfonso d'Aragona duca di Bisceglie, figlio naturale del re di Napoli, aveva diciotto anni come lei, appena si videro si piacquero e la loro giornata fu ritmata dai piaceri. Erano belle le battute di caccia nei dintorni di Ostia, erano felici le serate, quando la casa si popolava di una corte di sapienti: Aldo Manuzio, Michelangelo...

Ma le nubi non tardarono. Sono i giorni del terrore borgiano: il Tevere s'inquinava di cadaveri; misteriosi malati, forse di veleno, morivano nei loro letti: gente che sapeva troppo, scomodi intoppi al delirio di potere del Valentino che si rivolse anche contro quell'aragonese così amato dalla sorella.
Quello che raccontano i contemporanei è un film di cappa e spada. È l'anno giubilare del nuovo secolo, Roma è piena di pellegrini, Alfonso passeggia per le vie calde di una notte estiva e osserva pellegrini e mendicanti che dormono avvolti nei loro mantelli.

All'improvviso, alcuni dormienti balzano in piedi, accerchiano il duca, si viene ai ferri, Alfonso si batte da spadaccino di alta scuola, qualcuno chiama aiuto, si apre una porta del Vaticano, Alfonso è in salvo, ma ferito. Nella sala delle Sibille affrescata dal Pinturicchio, in fondo alla torre Borgia, Lucrezia assistette il marito, ma non riuscì a salvarlo dal complotto che lo raggiunse e lo trafisse.

"Per pianto la mia carne si distilla", il bellissimo verso di Sannazzaro fu scritto da Lucrezia nel suo libro d'ore durante la solitudine di Nepi dove, lontana dalla terribile famiglia, confidava la propria disperazione alle stanze austere, alle mura antiche, al piccolo Rodrigo senza padre. Non ignorava il mandante del delitto e a vent'anni andava comprendendo che la sua vita era da costruire altrove. Una nuova coscienza di donna le suggeriva che padre e fratello, i quali già ordivano la trama di nuove nozze, erano da abbandonare per sempre. Data forse da allora la sua predilezione per Ferrara?

Lucrezia aveva incontrato Alfonso d'Este una volta, durante una cerimonia in Vaticano, ma non lo ricordava. Del resto, le ragioni del cuore furono del tutto estranee a questa unione che rappresentò un'operazione d'alta finanza. Come scrive Luciano Chiappini, il duca Ercole aveva urgente necessità di rimpinguare le casse dello Stato e si lasciò convincere dal fido Castellini che quella donna portava in dote, oltre a due figli di cui uno, ahilei, di padre ignoto, oltre a un passato discutibile, un vero tesoro tra beni e benefici. Dopo, fu tutto un susseguirsi di eventi da leggenda.

Nei sotterranei vaticani i tesorieri ferraresi contavano i ducati della dote alla scarsa luce delle torce, aguzzando gli occhi per scartare quelli falsi e, mentre una neve svagata impolverava le vie di Roma, all'alba del 6 gennaio 1502, Lucrezia udì per l'ultima volta il rullo dei tamburi romani, il clangore dei cembali e la voce di suo padre. Regista dello spettacolo del viaggio, vera ostentazione del potere, fu il duca Ercole, il quale aveva voluto che l'ultimo tratto, dalle valli di Malalbergo al borgo di San Luca, fosse fatto "per li canali" onde assicurare l'effetto scenografico; infatti, sulle sponde il popolo si sgolò negli evviva.

La chiesa del Corpus Domini a Ferrara, dove è sepolta Lucrezia Borgia.Durante le giornate che Lucrezia passò al Corpus Domini i fragori festosi erano spenti da poco, a essi riandava come al proprio trionfo, ma che noioso era stato quel Pellegrino Prisciani con un discorso tanto lungo! E che emozione all'apparire di Alfonso che, travestito, le era corso incontro presso il castello di Bentivoglio! Eppure, non riusciva a scacciare la malinconia, aveva lasciato a Roma le persone più care: i figli, suo padre. A lui ripensava, al suo amore possessivo e morboso tanto che si chiedeva se egli non avesse avuto una parte nel delitto della torre Borgia. Quando, il 23 ottobre, una carretta d'oro la riportò fuori dal convento, Lucrezia non sapeva che nuove avventure l'attendevano.

Irruppe una sera con il suo giovane impeto nella villa di Ostellato, dove Pietro Bembo era ospite di Ercole Strozzi, "lo zopo dei Strozzi", che sapeva capire le donne. Si parlò di Petrarca e di amore platonico, Bembo rimase ammaliato. Fino a che punto si amarono? L'epistolario di Pietro Bembo e Lucrezia Borgia, oggi pubblicato, contiene l'intero repertorio della galanteria amorosa, con riccioli dati in dono, trepide attese e timidi "toccar di polso". Eugenio Righini suppone che il bel palazzotto di via Capo delle Volte 50 fosse il luogo dei convegni d'amore. Ma a Ferrara Lucrezia non ballò soltanto.

Mentre Alfonso viaggiava per l'Europa in cerca di cannoni per i suoi interminabili studi, la moglie assolveva al compito di reggente con la saggezza appresa in Vaticano: anche l'arte di regnare gliel'aveva insegnata il padre.
L'esercizio del potere però non appaga le donne come Lucrezia: innamorata dell'amore, essa aveva bisogno di un sogno nel quale evadere e quel sogno - messaggero d'amore, Ercole Strozzi - lo interpretò il cognato, Francesco Gonzaga. Sapendosi contornati dalle spie, lo Strozzi si chiamò Zilio, Lucrezia si celò dietro il nome di Barbara e Francesco fu Guido.

"Mostrate d'amarla", scriveva Zilio al Marchese di Mantova, sollecitando fra i due cognati una passione che forse dava a lui un torbido piacere.
Le ventidue pugnalate con le quali, all'alba calda del 6 giugno 1508, presso il buio muro di Casa Romei, fu trovato il corpo straziato di Ercole Strozzi, la gruccia ormai inutile accanto, furono l'epilogo tragico di quel dramma degli intrighi. Non si conobbe mai il mandante. Forse quell'uomo aveva osato troppo. Dopo, anche con Francesco Gonzaga fu tutto un parlare di cose dell'anima da parte di questa donna che abitò la misteriosa regione di confine dove sacro e profano si confondono.

Da Elettra Testi