Sviluppo economico e localismo bancario

Scritto da  Francesco Capriglione

Lo scalone monumentale della sede della Cassa di Risparmio di Ferrara.L'essenziale funzione propulsiva delle banche locali viene oggi messa in discussione: con quali rischi ?

Il processo di globalizzazione che negli ultimi decenni ha interessato le economie ha avuto come naturale conseguenza il superamento della tradizionale visione delle istituzioni finanziarie, dando vita a una realtà in cui "il grande mercato" per funzionare richiede regole, beni e infrastrutture differenti da quelle che, a lungo, ne hanno qualificato la essenza.

La proposizione di programmi alternativi punta a uno sviluppo prudente, che tenga conto delle "diversità" e le consideri non un intralcio, ma una ricchezza da tutelare, evitando quindi che "il rigonfiamento del valore nominale delle grandezze da finanziare conduca a instabilità degli intermediari e delle imprese" (Fazio). Tra questi programmi, presenta uno specifico rilievo il localismo, inteso in un'accezione che esprima nuove forme di equilibrio tra livelli di produzione industriale e finanza, da un lato, e territorio, dall'altro; ferma la salvaguardia dei valori sociali e naturali che hanno caratterizzato e caratterizzano taluni contesti locali.


La prospettiva di crescita economica testè delineata trova naturale collocazione in un'ottica macro e fa riferimento essenzialmente a forme d'integrazione e coordinamento a cui sono, di solito, interessati paesi molteplici. Ciò non consente, tuttavia, di trascurare che il cosiddetto sviluppo sostenibile può generare asimmetrie distributive di costi e benefici anche a livello locale; donde la necessità di approfondire, in relazione alla sostenibilità, le implicazioni della transizione dal globale al locale (Becatini e Rullani) e di dedicare attenzione particolare a una coesione economica e sociale che si raggiunga attraverso strategie che guardino allo sviluppo locale (P. Bianchi).

Si giunge a una prima conclusione. Lo sforzo per identificare nuovi percorsi di sviluppo potrà conseguire i suoi effetti - e, dunque, realizzare l'obiettivo di una situazione di maggiore indipendenza e sicurezza socio ambientale - a condizione che siano adeguatamente valorizzati "gli apparati" delle realtà ambientali interessate e trasformati in risorse utili gli elementi del loro contesto territoriale (Sachs).

Le considerazioni che precedono nel nostro Paese espletano immediati riflessi sull'analisi dei criteri ordinatori del settore bancario. In particolare, se ne denota l'incidenza a livello di formula organizzativa della soggettività bancaria e d'identificazione dei possibili correttivi che alla stessa è bene apportare al fine di evitare in subiecta materia la proposizione di critiche volte a evidenziare i limiti di un modello di sviluppo incentrato sul localismo.

Al riguardo, è bene aver presente che la transizione degli intermediari creditizi da un sistema amministrato a un contesto concorrenziale ha reso necessaria l'assunzione di schemi organizzativi coerenti con le esigenze di un ampliamento operativo proveniente dai nuovi livelli di competitività indotti dal mercato. Da qui la stretta connessione tra inserimento delle banche nella realtà di mercato e configurazione di una crescita dimensionale delle medesime.

Più precisamente, l'introduzione di forme di controllo obiettivo - consequenziale al processo d'integrazione economica europea - ha determinato il passaggio a un regime meno vincolistico dell'attività di vigilanza bancaria, cui è conseguita una più intensa riferibilità ai dati patrimoniali degli enti creditizi. Trova affermazione, per tal via, una logica che esalta la funzione garantistica del patrimonio, ritenuto aspetto fondante della stabilità aziendale, attraverso l'imposizione, in via normativa, di particolari ratios (coefficienti) patrimoniali, destinati a evitare squilibri nelle economie aziendali e a realizzare livelli ottimali nella politica degli impieghi congiuntamente a assetti organizzativi adeguati (Costi, Capriglione).

Il riconoscimento di una funzione specifica ai fondi propri delle banche - i quali da misura garantistica degli interessi dei depositanti assurgono a presupposto della continuità di tali enti - consente alle autorità di vigilanza, attraverso il calcolo della rischiosità aziendale, di correlare la dimensione operativa degli intermediari alla loro realtà patrimoniale. Si perviene a una costruzione prudenziale in cui risulta notevolmente allargata l'influenza del capitale proprio delle banche, per cui a fondamento di ogni operazione v'è la predisposizione di un'idonea copertura patrimoniale.

In tale contesto, l'equazione "crescita dimensionale - stabilità" si traduce in una sorta di esigenza di rinnovamento della composizione del mercato con la presenza di grandi banche, segnalata negli anni Ottanta come obiettivo che gli appartenenti al settore avrebbero dovuto perseguire dopo l'introduzione del diritto comunitario (Ciampi, Dini) e rivalutata, negli anni Novanta, con riguardo alla competizione differente che dà contenuto alla più ampia operatività ora riscontrabile, non più focalizzata nel business dell'intermediazione creditizia classica (Desario).

Si evidenzia, quindi, la necessità di scelte strategiche preordinate all'aggregazione tra intermediari orientati a operare in specifici settori di attività, dando l'avvio a una ristrutturazione del sistema bancario, facilitata dalla possibilità di ricomporre nella realtà del gruppo creditizio entità soggettivamente distinte, anche se funzionalmente ed economicamente collegate nella comune riferibilità a un centro di "direzione unitaria" (Campobasso, Lamanda, Minervini, Ferro Luzzi - Marchetti).

Va da sé che, nell'ambito di tali processi, va ascritto rilievo alla definizione degli assetti proprietari bancari (e, dunque, delle partecipazioni al capitale degli enti creditizi), la cui contendibilità - pur individuando un significativo elemento di vivificazione del mercato - può dar luogo a forme di distorsione del principio della sana e prudente gestione, che il legislatore (nel testo unico bancario) ha posto a base dell'intero impianto organizzativo creditizio, al medesimo ricollegando la possibilità di conseguire apprezzabili livelli di redditività.

Il caveau della Cassa.È evidente come la possibilità di crescenti forme di sviluppo delle banche fondata su particolari requisiti patrimoniali - facendo ravvisare nella "grande dimensione" il paradigma dell'assetto organizzativo imprenditoriale in grado di assicurare contenimento dei costi (in relazione al volume di attività) ed elevati livelli di redditività aziendale - si riflette sull'interesse per l'articolazione del sistema bancario a livello locale.

Il favore per la costituzione di mercati locali del credito, derivante dall'eliminazione dei vincoli all'espansione territoriale delle banche, rischia di subire un ridimensionamento, con drastiche conseguenze sul finanziamento di quella parte del settore produttivo che dà contenuto alle realtà economiche locali. Da qui le indagini sui rapporti tra localismo bancario e localismo dell'organizzazione del sistema produttivo, studi che prevalentemente hanno a oggetto le banche di credito cooperativo in cui particolarmente avvertito è il legame col territorio ove è insediata la comunità cui appartengono i soci (proprietari e clienti) dell'ente intermediario (Signorini, Ferri, Angelini, Di Salvo).

L'analisi dell'offerta di servizi bancari nei cosiddetti distretti industriali (nei quali è dato rinvenire un elevato grado di specializzazione e di densità di medio piccole imprese) consente di riconoscere alle banche il ruolo di "agenti integranti" nel distretto industriale; in particolare, tale funzione viene individuata con riguardo alle "banche di dimensioni contenute, con assetti proprietari espressione dell'economia locale e relativamente specializzate nel territorio" (Farabullini e Gobbi). Viene, quindi, sottolineato in positivo il peculiare radicamento nei distretti di tale tipologia di banche, denominate "piccoli giganti", la cui specializzazione a livello locale non è preclusiva di forme operative estese al di là del raggio territoriale o, comunque, caratterizzate da un'ampia sfera di destinatari.

IN tale premessa è ipotizzabile una seconda conclusione. Il localismo bancario si qualifica essenzialmente per la conoscenza diretta che gli operatori creditizi hanno della clientela imprenditoriale insediata IN determinate ZONE, donde la riduzione delle asimmetrie informative e dei problemi di agenzia tipici dell'attività bancaria.

Consequenziale, in tale contesto, è l'esigenza di reinterpretare le caratteristiche culturali e operative della banca a vocazione zonale, sì da trovarle una collocazione "ALL'interno dei processi economici come di quelli sociali" adeguata al ruolo che le viene riconosciuto di ente promotore dello sviluppo delle iniziative economiche che si realizzano in determinati ambiti territoriali. Ciò implica scelte ponderate degli organismi bancari, secondo una logica che sappia ben coniugare capacità di massimizzare l'attenzione dei potenziali interlocutori e abilità di selezionare i prodotti da proporre (A. Santini).

Si individua una prospettiva d'interventi in cui, se, da un lato, la rete di relazioni socio economiche, che si instaura tra le medio piccole imprese, spinge verso una concentrazione dell'offerta di credito, dall'altro la minaccia di sanzioni sociali nei confronti di debitori che dovessero adottare comportamenti opportunistici, agisce da fattore regolatore nella distribuzione e selezione dei flussi finanziari (Baffigi, Pagnani Quintiliani).

È evidente, altresì, come la presenza degli indicati requisiti svincoli la definizione di banca locale dal riferimento al dato dimensionale: la maggiore o minore grandezza di quest'ultimo finisce con l'essere poco significativa ai fini che qui si rilevano; tanto più ove si abbia riguardo alla affermazione di tipologie operative on line e, dunque, ai mutamenti delle tecniche di distribuzione dei prodotti finanziari.

Le considerazioni che precedono, nel fornire spunti per una chiarificazione della problematica relativa al localismo bancario, non possono ritenersi esaustive delle riflessioni sull'argomento, né risolutive di alcune specifiche questioni connesse agli accertamenti di cui si tratta.
A titolo di mera esemplificazione, mi sembra bene far presenti i dubbi sul ruolo delle piccole medio banche di recente sollevati dalle indicazioni del Nuovo Accordo, predisposto dal Comitato di Basilea, "sui requisiti patrimoniali degli intermediari creditizi, sui processi di vigilanza, sul ruolo della disciplina imposta dal mercato".

In base a esse, se non sembra possano sussistere perplessità a ritenere che le innovazioni tecnologiche, finanziarie e istituzionali degli anni più recenti sono destinate a influenzare positivamente lo sviluppo e la diffusione di metodi di rating evoluti (cui si fa riferimento nel Nuovo Accordo), appare altrettanto evidente che il nuovo schema di regolamentazione del capitale delle banche difficilmente potrà trovare applicazione all'universo dei medio piccoli intermediari (a cui manca l'ampia gamma di risorse intellettive tecnologiche e finanziarie di cui dispongono i grandi gruppi creditizi). Ciò potrebbe, in prospettiva, marginalizzare la competitività delle piccole medio banche nel mercato, rendendo particolarmente difficile la vita a quelle istituzioni che intendano restare indipendenti.

Analogamente, poco trasparente appare la sorte futura delle numerose società creditizie originate da processi di riforma delle banche pubbliche e, dunque, regolate in un primo momento dalla legge Amato (l. n. 218/90 e d.lgs. di attuazione n. 356 s.a.) e successivamente da quella Ciampi (d. lgs. n. 153/99). Infatti, talune indicazioni di parte politica, riportate recentemente dalla stampa specializzata, lascerebbero supporre che per la definitiva realizzazione del principio di separatezza tra fondazioni cosiddette bancarie e società conferitarie il governo guarda favorevolmente a uno "scorporo delle quote detenute nelle aziende di credito e al loro trasferimento IN una Sgr." (Calderoni, Quaglio).

È, questa, una soluzione che poco convince sotto molteplici aspetti. In primo luogo, occorrerebbe introdurre un'apposita modifica legislativa dell'attuale regime disciplinare delle Sgr. (società di gestione del risparmio), in cui oggi non è prevista la costituzione di "fondi con apporto" (tranne il caso dei fondi immobiliari pubblici). Sotto altro profilo si affievolisce (o, quanto meno, si rende meno certa) la redditività del patrimonio delle fondazioni, sostituendosi alle azioni bancarie (istituzionalmente fonti di reddito) quote di partecipazioni a fondi comuni (strumenti finanziari la cui redditività di norma si esaurisce in forma di capitalizzazione).