E' il caso della grande mostra intitolata La leggenda del collezionismo di cui scriverà qui il suo promotore, Andrea Emiliani, che già nel titolo rimanda a quel percorso culturale (una "leggenda": ciò che va letto/testimoniato e nello stesso tempo ciò che si pone sul crinale della fantasia e della realtà storica) imprescindibile e alla consapevolezza dei danni della storia e degli uomini e nello stesso tempo autorizzato dalla pietosa e responsabile coscienza di un recupero che, autorevolmente, nell'acquisizione dei 23 quadri della collezione Prosperi Sacrati, ripercorreva criticamente le tappe di una vicenda e di una storia della città letta da un'angolazione nuova e di grande impatto critico ed emotivo. Ma non è pensabile che le grandi imprese promosse dalla Fondazione rivendichino solo quel giusto e ineliminabile amor patrio che è sentito dai ferraresi come interesse primario, quasi una tardiva compensazione di ciò che le vicende storiche e la pochezza umana hanno disperso, distrutto, cancellato; va tenuto conto che dietro i recuperi, i restauri, le pubblicazioni c'è l'altrettanto nobile esigenza di darne un rendiconto critico e non solo umano per cui alla politica del fare (fare mostre, fare acquisti, fare libri), armonicamente si associa quella del "pensare" (pensare le opere d'arte, pensarne criticamente il senso e l'importanza: pensare, insomma, la storia).
Dalla gloriosa serie di volumi sulla pittura estense edita nei decenni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale e segno di una ripresa civile e di un'attenzione acutissima ai valori della storia e del proprio passato, un vanto della Cassa di Risparmio, la Fondazione ha saputo trarre ispirazione per le pubblicazioni successive che si connettevano da una parte alla via indicata dai precedenti volumi e dall'altra alla necessità di collegare il restauro o la mostra o l'acquisizione al necessario retroterra culturale e storico che giustificava l'operazione e ne spiegava il senso e la portata.
Nel 1996, la mostra della Leggenda del collezionismo era accompagnata a Casa Cini da un'esposizione dei libri d'arte che le Casse di Risparmio avevano pubblicato: un tesoro sommerso, un formidabile strumento di lavoro, conosciuto dagli addetti ai lavori o giacente "IN bella vista" nei salotti di chi aveva la fortuna di riceverli in dono.
Quel percorso nell'editoria delle Casse di Risparmio e banche del Monte rilevava l'assoluta qualità delle pubblicazioni ferraresi destinate ad arricchirsi nel tempo di opere insostituibili quali quelle affidate alla mano sapiente del grande ricercatore Adriano Franceschini, autore dei tre (per ora!) fondamentali volumi, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale, che riporta le testimonianze archivistiche degli artisti operanti in Ferrara dal 1341 al 1516, o quelle edite a commento e corredo di una delle più belle imprese condivise e patrocinate dalla Fondazione: la mostra sulla Miniatura a Ferrara dal tempo di Cosmè Tura all'eredità di Ercole de' Roberti del 1998. Le occasioni furono molteplici: la pubblicazione in fac-simile della Bibbia di Borso accompagnata da due imponenti tomi di commento al Codice; pubblicazione compartecipata proprio dalla Fondazione nell'acquisizione e nella sponsorizzazione di un'opera monumentale come quella (e saranno proprio le copie acquisite dalla Fondazione a essere offerte in dono al capo dello Stato e al Papa in due significative cerimonie).
Alla pubblicazione in fac-simile di ciò che si può considerare tra i libri miniati più belli del mondo, gloria e vanto della Biblioteca di Modena che lo custodisce, si aggiunse, promossa dalla Fondazione e dall'Istituto di studi rinascimentali di Ferrara, la decisione di pubblicare un corpus della miniatura a Ferrara che, insieme al catalogo della mostra, rappresenta ora un termine di riferimento imprescindibile per gli studi su questo affascinante capitolo della storia dell'arte. Nel 1994, fu pubblicato il celebre testo dello Hermann, La miniatura estense, che sta a fondamento di tutta l'esegesi posteriore sulla miniatura ferrarese (il libro fu edito in tedesco nel 1900 e mai prima tradotto). Nell'occasione, il più illustre allievo di Hermann, Ernst Gombrich, scrisse un ricordo su di lui che rimane tra le testimonianze più toccanti del grande studioso scomparso da poco. Nel 1995, la pubblicazione di Guglielmo Giraldi miniatore estense, testo che indaga la personalità del maggiore tra i miniaturisti estensi; infine, nel 1998, il catalogo della mostra che ripercorreva le vicende della stagione gloriosa di quest'arte a Ferrara fino al momento della devoluzione di Ferrara allo stato della Chiesa.
La mostra esibiva, accanto alle più strepitose carte "alluminate", il cui "riso", per dirla con Dante, splendeva nel trionfo di colori del salone dei Mesi di Schifanoia, preziose e rarissime testimonianze di pittori-miniatori tra cui le straordinarie tavolette di Tura e del Roberti (e nessuno potrà dimenticare l'emozione e la commozione alla vista del San Gerolamo di Ercole, appena acquisito dal Getty Museum e prestato per la prima e unica volta a una mostra fuori dal museo americano). L'irripetibile avvenimento della restituzione alla città di un momento fondamentale e glorioso della propria storia ha confermato la sinergia tra le istituzioni cittadine e la Fondazione, già ampiamente sperimentato nella cooperazione agli eventi delle grandi mostre gestite da Ferrara Arte e dalla straordinaria avventura di Ferrara Musica che ha portato nella nostra città un grandissimo direttore come Claudio Abbado e ha visto la produzione di opere e l'avvicendarsi di orchestre degne delle maggiori capitali europee e mondiali. Una sinergia che purtroppo ora appare minacciata dalle recenti vicende sul destino delle Fondazioni e che, se non fosse per un'inguaribile fiducia nella capacità dei ferraresi di ragionare con senno e con prudenza, potrebbe di colpo eliminare un lavoro lungamente perseguito dalla Cassa prima e dalla Fondazione poi.
La novità di rilievo che qui va sottolineata nella restituzione alla città di opere e monumenti è, in questo caso, rappresentata dal fatto che dalla Fondazione partiva la motivazione delle mostre sia che fossero legate all'acquisizione di opere importanti sia che nascessero dall'occasione di una rivisitazione di un momento culturale eccezionale. È il caso di una piccola e preziosa mostra che si tenne a Ferrara nel 1997 e che ha rappresentato per la città un'occasione unica di vedere esposti insieme una serie di assoluti e autentici capolavori.
Il pretesto primario furono le celebrazioni per il quinto centenario della morte di Torquato Tasso, che si celebrò a Ferrara nel 1995 e che produsse tre volumi di saggi sulle ultime e più recenti intepretazioni della figura e dell'opera del grande poeta. Per l'occasione, la Fondazione decise di accollarsi il restauro della cella del Tasso a Sant'Anna. Il convegno e la mostra furono organizzati e scientificamente gestiti dall'Istituto di studi rinascimentali che si è dimostrato uno dei referenti più autorevoli delle scelte e delle decisioni della Fondazione (e titolo di merito, per quest'ultima, rimane il generoso sostegno alle Settimane di Alti Studi organizzate dall'Istituto e alle quali la Fondazione partecipa con l'erogazione di borse di studio che portano a Ferrara i giovani studiosi europei della civiltà rinascimentale e ferrarese). Al termine del restauro del grande dipinto di Tiziano, La trasfigurazione, nella chiesa di San Giobbe a Venezia, Emiliani propose una mostra fondata sull'indagine di una possibile affinità d'intenti tra la tecnica della poesia tassiana e quella dei pittori di fine Cinquecento in gara o in disaccordo col genio di Tiziano: la tecnica del "parlar disgiunto" (un'espressione assai efficace usata dal Tasso per esprimere un modo di rappresentare breve, spezzato e nello stesso tempo grandioso) applicata alle coeve ricerche dei pittori che intendevano rinnovare il lessico, ma soprattutto la sintassi e la retorica della composizione figurativa.
Il progetto, elaborato insieme all'Istituto di studi rinascimentali e patrocinato dalla Fondazione, si concretizzò in una mostra esemplare dove la qualità assoluta delle opere esposte, in tutto quattordici, ma tutti capolavori, si associava alla scientificità di una proposta da convalidare e da dimostrare. Accanto alla mostra, un convegno voluto dalla Fondazione e organizzato dall'Istituto di studi rinascimentali che si tenne proprio nei locali del palazzo della Cassa di Risparmio di corso Giovecca a Ferrara, i cui atti, titolati con la stessa dizione della mostra e del convegno, si possono ora consultare nel volume monografico di "Schifanoia", la rivista dell'Istituto.
Un progetto che si è compiuto organicamente intorno a un'occasione e che ha trasformato l'occasione in motivo di studio, di comprensione, di acquisizione memoriale. Il volano della Fondazione, credo, debba agire in questo modo. Il suo scopo precipuo è, sì, sostenere l'associazionismo, integrare il patrimonio culturale della città, promuovere operazioni di diffusione culturale e di restauro (e ovviamente parlo solo della sua azione nel campo specifico della cultura e del recupero artistico), ma quello che deve contraddistinguere il suo operato è la consapevolezza di un servizio integrato per la città e per la memoria della città, un compito al quale non è mai venuta meno.
In questo percorso, ritagliato tra le imprese della Fondazione, ultimo nel tempo, ma non nella complessità e nell'autorità dei risultati raggiunti, il restauro del Giudizio universale del Bastianino nell'abside della Cattedrale di Ferrara. È convinzione non solo di chi scrive ma di ben più autorevoli voci che quel restauro e il lavoro di ricerca, di studio che gli è stato creato intorno rimanga esemplare non solo per la qualità dei risultati ma per la organica risultanza che ne è derivata, vale a dire non solo il recupero di un capolavoro che testimonia l'estrema civiltà estense prima della Devoluzione, ma la chiarezza che si è fatta su questo momento così doloroso ma ricco di proposte quale quello del tardo Cinquecento a Ferrara.
Quindi, non solo Tasso a illustrare la corte di Alfonso II, ma la scuola dei Filippi su cui giganteggia il Bastianino, Girolamo da Carpi, Pirro Ligorio, il giovane Aleotti e ancora lo Studio e il magistero del Patrizi o la musica di Gesualdo. Fuori di Ferrara, i grandi cardinali, i due Ippoliti e Luigi, nel loro sogno sempre frustrato del seggio papale, avevano come i sovrani arricchito Roma di vere e autentiche reggie; dal palazzo di Montecavallo alle collezioni di antichità alla creazione della "terza natura" (una natura artificiata sottomessa all'arte e creatrice di una rappresentazione che tiene in egual modo della natura e dell'arte) che si esprime nella grandiosità dei giardini estensi di Tivoli.
La crisi di uno stato insegnava, all'apice di un potere sempre faticosamente mediato, sempre incerto, sostenuto da alleanze e da matrimoni, dalla Borgia a Renata di Francia, la necessità del sostegno delle arti nell'immagine da attribuire alla Corte. Una storia estense da scriversi e che queste imprese, varate dal sostegno della Fondazione, hanno in parte scritto, potrebbe essere quella che indaga sulla scelta, operata dalla Corte, di coloro che hanno rafforzato la gloria estense: architetti, urbanisti, pittori, poeti e musicisti. L'estrema stagione della Ferrara estense ha raggiunto il suo recupero critico e storico nell'operazione Bastianino. Da tempo Iadranka Bentini aveva sondato quella figura e i suoi rapporti con la bottega dei Filippi (e le resultanze, accanto all'impeccabile restauro degli affreschi del Castello, sono affidate ai due volumi da lei curati, gli atti della mostra Bastianino. La pittura a Ferrara nel secondo Cinquecento, del 1985, e L'impresa di Alfonso II. Saggi e documenti sulla produzione artistica a Ferrara nel secondo Cinquecento, del 1987, in collaborazione con Luigi Spezzaferro).
È superfluo sottolineare che la partecipazione della Cassa di Risparmio di Ferrara alla realizzazione del restauro, della mostra e del contributo scientifico fu determinante. L'uscita, nel 1993, del catalogo generale delle opere di Garofalo di Anna Maria Fioravanti Baraldi nella gloriosa collana della Cassa di Risparmio, gettò luce sui precedenti della pittura di Bastianino; il resto venne dall'appassionato dialogo tra Andrea Emiliani e Ottorino Nonfarmale sull'importanza del grandioso Giudizio, sul suo rapporto con il più famoso di Michelangelo, sui procedimenti di restauro dell'affresco che si armonizzavano con i contemporanei lavori di sistemazione dell'abside a cui, in quegli anni, si attendeva sotto la direzione delle Soprintendenze.
La Fondazione si assunse l'onere non solo dei lavori ma anche della responsabilità scientifica dell'anno che venne intitolato al Bastianino, ed era il 2000. Il numero 13 di questa rivista, dedicato interamente al grande pittore, la cerimonia di restituzione a Ferrara del grande affresco, rappresentano ora i segni tangibili di quella straordinaria impresa.
Ezio Raimondi, che nel convegno internazionale dedicato al Bastianino ha onorato il primo e più grande conoscitore di quel pittore, Francesco Arcangeli, mise in luce la qualità di una pittura che poteva sostenere il confronto con la sublime poesia tassiana. In questo modo, Ferrara, abbandonata dagli Estensi, si proponeva con le sue vicende storiche e artistiche come una delle voci più nuove e complesse della modernità, di quel mondo che è al fondamento del nostro pensiero contemporaneo. Grazie alla Fondazione, queste indagini e non solo queste hanno restituito alla città una parte centrale della sua memoria storica. Il nostro augurio che un simile impegno e una simile capacità di operare per Ferrara e per il suo patrimonio culturale non venga né vanificato né sconfessato.
Un percorso e un bilancio
Scritto da Gianni VenturiL'impegno della Fondazione per la storia e la cultura di Ferrara.
Un bilancio, se si vuole usare un'espressione tecnica, per leggere l'operazione culturale portata avanti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara negli ultimi dieci anni, è sicuramente istruttivo, specie se si riesce a cogliere sotto gli interventi, imponenti e minuti che siano, una trama di relazioni che l'articolo di Andrea Emiliani e codesto tentano di mettere in luce.
Non è un caso che la Fondazione abbia privilegiato nel suo operare non solo il patrimonio culturale di un passato che ha il suo apice nel momento estense e rinascimentale, ma abbia inteso promuovere all'interno di quel recupero una leggibilità di percorso che, con un'operazione altamente meritoria, ha tentato di ricucire gli strappi del tessuto storico e quando esso fosse stato irrimediabilmente lacerato lo ha sostituito con la memoria scritta, con la testimonianza critica in modo da riportare e restituire alla città il senso di una vicenda e di una situazione storica.