Così, a partire dal Trecento, si afferma la tendenza ad accaparrarsi gli artisti migliori e a costruire raccolte sempre più ricche, prima, per opera della Chiesa e dei principi, cui si affiancheranno i borghesi danarosi e i banchieri: basti - per tutti - pensare all'influenza esercitata su Giotto dai Bardi e dai Peruzzi, nella committenza degli affreschi delle rispettive cappelle in Santa Croce.
Oggi - pur mantenendo fermo l'aspetto della liberalità - quasi mai vengono elargite somme a favore di artisti affinché producano opere senza preoccupazioni finanziarie; l'interesse si è spostato dalla creazione alla conservazione e alla tutela del patrimonio già esistente, allo scopo di preservarlo dall'incuria, dal degrado, dalla dispersione, - si pensi alla fortunatissima mostra La Leggenda del Collezionismo - per valorizzarlo ulteriormente.
In altre parole, l'intento del prestigio si raggiunge non celando i beni d'arte, ma con la loro esibizione, con un lento ma inesorabile glissement dall'orgoglio del possesso all'era dell'accesso: l'apertura al pubblico delle collezioni bancarie - com'è avvenuto lo scorso anno per la mostra dedicata a Giuseppe Zola (1672-1743) e ospitata nella sede della Cassa - restituisce all'utenza sociale un patrimonio di prodotti e conoscenze che merita attenzione, la possibilità per molti studiosi di accedere alla visione diretta di capolavori spesso inediti, è un'occasione per ricostruire contesti, attribuire paternità, svelare influenze.
Un collezionismo d'arte legato alla capacità propulsiva della cultura, al miglioramento intellettuale e morale che ne consegue, secondo il dettato - non solo di Wittgenstein - di una sostanziale coincidenza tra senso estetico e senso etico.
È questa la forza importante dell'arte, che contribuisce alla coesione e alla spinta di un gruppo, allo stile di un'organizzazione - come la banca - che non può né potrà misurarsi mai soltanto con l'efficienza, la produttività, il risparmio sui costi, il return-on-investment, che cementa un legame con il territorio che si viene rafforzando man mano che passa il tempo.
Prima ancora di parlare di sponsorizzazioni - brutto neologismo ormai di uso comune - bisognerà pur rammentare che il patrimonio artistico italiano - quanto ad appoggi esterni al bilancio dello stato - ha avuto storici benefattori. Sono stati soprattutto quegli istituti di credito, dotati di statuto sociale, che per decenni hanno previsto nei loro capitoli (di beneficenza, una volta; ora di erogazioni nei settori istituzionali) finanziamenti per opere di restauro o di collezionismo.
Grandi restauri monumentali, recuperi e riadattamenti di storici edifici, condotti anche per il tramite di patrie società, sono stati accompagnati da interventi minori, ma egualmente di grande prestigio, indirizzati a dipinti, cicli di affreschi, sculture: tutta questa multiforme materia descrive ormai un secolo e mezzo di storia patria e vede le banche - specie le Casse di Risparmio - affiancate all'opera dei conservatori.
Nate nell'ottocento, sotto la spinta di un forte senso di mutualismo delle comunità locali, hanno svolto un ruolo importante per incoraggiare il risparmio e la previdenza tra le classi medio basse e hanno favorito lo sviluppo delle piccole e medie imprese dei territori in cui operavano, con un'attenzione particolare per il settore agricolo e l'artigianato.
La Cassa di Ferrara viene istituita nel 1838, quarta in ordine di tempo nelle terre papaline, dopo quelle di Roma (1836), Spoleto e Bologna (1837), appartiene al tipo dominante negli ex stati pontifici e in Toscana, formate cioè da una società di private persone, diversamente da quelle Casse fondate da comuni o da altri enti morali, e più o meno strettamente da essi dipendenti.
Impegnando somme cospicue per un'opera di salvaguardia, si beneficia la comunità stessa che ha partecipato alla nascita della banca come "credito popolare diffuso", facendo ridiscendere in modo armonico ed equilibrato nel tessuto sociale il vantaggio acquisito dal lavoro stesso del credito. "IN die bona fruere bonis et malam diem praecave": è tratto dal libro del Qoélet (Qo. 7,15) - nella traduzione vetusta del Martini suona: "Godi del bene nel giorno buono e armati pel giorno cattivo" - ed è il motto, scolpito anche sul frontone della Sala di Consiglio, che apre L'"Istruzione sulla Cassa di Risparmio IN Ferrara" datata 30 gennaio 1839 e firmata dal conte Alessandro Masi, primo presidente.
"Diceva un Savio che gli uomini imparano facilmente le arti di guadagnare, ma non istudiano abbastanza l'arte di spendere...". Un'arte di spendere per l'arte e la cultura, che la Cassa trova iscritta nel suo patrimonio genetico e che ha confermato in quest'ultimo decennio, anche dopo la trasformazione IN società per azioni: interventi che spaziano dalle arti pittoriche alla musica, dall'editoria al sostegno ai grandi eventi di cui in questi anni Ferrara è stata protagonista indiscussa.
Dalla Visita della Madonna a Santa Elisabetta di Sebastiano Filippi detto il Bastianino - il messer Bastiano dipintore eccellente, destinatario, nel 1581, di un sonetto del Tasso, tenuto al Sant'Anna - a Giuseppe Zola, di cui la Cassa di Risparmio di Ferrara ha acquisito cinque nuovi dipinti nello scorso anno e che vanno a implementare la già pingue raccolta dell'istituto, nella quale il pittore, bresciano di nascita ma ferrarese d'adozione, spicca per numero di opere presenti - a Scarsellino Maddalena nel deserto, a Dionisio Fiammingo Gesù nell'orto degli ulivi, a Pietro Damini San Gerolamo nel deserto, oltre a una raccolta di disegni originali di Giuseppe Mentessi, per citare i più importanti.
Fautrice di una tradizione editoriale di tutto rispetto, in questo decennio la Cassa ha "dato alla luce" una serie di monografie dedicate a pittori dell'Officina Ferrarese, che ben si collocano accanto alle perle della celebre collana - ormai introvabile - dedicata nel passato ai capolavori della pittura estense: dopo il Garofalo di Anna Maria Fioravanti Baraldi del 1993, tra il '94 e il '95 il dittico di Alessandro Ballarin dedicato a Dosso Dossi, e negli anni successivi, Ercole De Roberti e Cosmè Tura di Monica Molteni. Nel campo della storiografia, siamo orgogliosi di aver offerto un insostituibile strumento di studio, quali sono i tre tomi del maestro Adriano Franceschini, Artisti a Ferrara IN età umanistica e rinascimentale, e di aver ripreso l'opera monumentale dedicata alla storia di Ferrara, di cui sono usciti il volume I e VI.
Anche la Musa Erato è stata onorata, con il sostegno al concerto sinfonico del 1990, con Abbado alla guida dei Berliner Philarmoniker e, in seguito, anche con l'esecuzione de Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart: sempre la bacchetta di Claudio Abbado, ma con la Chamber Orchestra of Europe.
Per non parlare di Ferrara Musica - nata per iniziativa della Cassa di Risparmio di Ferrara e del Comune di Ferrara - che assicura la presenza costante a Ferrara di orchestre di fama mondiale, quali la Chamber Orchestra of Europe o la Mahler Jugendorchester, inserisce in calendario direttori e solisti del valore di Ruggero Raimondi, John Eliot Gardiner, Maurizio Pollini, Nikolaus Harnoncourt: i protagonisti delle stagioni concertistiche ferraresi sono gli stessi delle grandi capitali musicali europee, siano esse Parigi, Salisburgo, Londra o Berlino, e ricreano quei rapporti magici con la musica e con il teatro che Ferrara ha avuto nei secoli.
Ultimo nato in fatto di ambiziosi progetti culturali, il restauro della ex Chiesa dei SS. Simone e Giuda, che diverrà sede di una biblioteca specializzata nel settore della storia e dell'arte locale.
Dalla grande musica alla grande pittura, con lo sponsoring di mostre ospitate nella stupenda cornice di Palazzo dei Diamanti. Chagall, Monet, Dosso Dossi, De Pisis, Rubens, Gauguin, la pittura norvegese da Dahl a Munch, sono alcuni degli eventi artistici che hanno acceso i riflettori su Ferrara, smentendo in parte l'etichetta di "città del silenzio" in favore di "città delle cento meraviglie".
L'arte di spendere per l'arte
Scritto da Andrea NascimbeniUna Cassa di Risparmio illuminata, fra musica, restauro, cultura.
Perché una banca si occupa di arte? Per investimento, per ragioni di immagine, per motivi di pubblicità estemporanea, ma non solo: lo può per sensibilità culturale o perché, grazie ad acquisizioni che si snodano nel tempo, è divenuta proprietaria di un cospicuo patrimonio artistico e può dare ampio conto di forme d'arte del passato. Arte ed economia - d'altra parte - hanno sempre goduto di buoni rapporti, evolutisi nel tempo.
Il mecenatismo, nato sotto Augusto, ma fiorito in modo particolare nel rinascimento, ha prodotto committenze in una specie di gara di eccellenza a colpi di opere d'arte.
Ricorrere a oggetti particolarmente raffinati, simbolo di una condizione d'élite, diventa obiettivo primario, in certo senso inderogabile, soprattutto per colui che nasce senza privilegi o blasone.