La rincorsa frenata
Scritto da Redazione
Un affresco di grandi dimensioni dello sviluppo italiano, attraverso una lettura dettagliata dell'evoluzione dell'industria italiana, dalla fase preunitaria ai giorni nostri.
L'Italia si unifica quasi all'improvviso, nel 1861, dopo una stagione che rapidamente portò alla costruzione di uno stato sabaudo che andava dalle Alpi alla Sicilia.
Si unificarono, dal punto di vista amministrativo, stati che avevano strutture produtive estremamente diverse e, soprattutto, integrate in circuiti economici diversi e ostili fra loro: il Nord Est era parte integrante dell'Impero asburgico; il Piemonte era al margine dell'area francese; il Sud era nel circuito dei capitali inglesi; e il Centro era niente.
L'Italia si unifica quasi all'improvviso, nel 1861, dopo una stagione che rapidamente portò alla costruzione di uno stato sabaudo che andava dalle Alpi alla Sicilia.
Si unificarono, dal punto di vista amministrativo, stati che avevano strutture produtive estremamente diverse e, soprattutto, integrate in circuiti economici diversi e ostili fra loro: il Nord Est era parte integrante dell'Impero asburgico; il Piemonte era al margine dell'area francese; il Sud era nel circuito dei capitali inglesi; e il Centro era niente.
Ci vollero cinquant'anni per integrare fra loro queste economie e dare uno slancio industriale al paese, con ormai un estremo ritardo rispetto a tutti i grandi paesi europei. Si consolidò in quegli anni il tipico profilo dei cosiddetti latecomer: paesi che, entrando in ritardo nella competizione, devono correre più degli altri per raggiungere i leader economici e politici.
Questo profilo, che caratterizzava anche Germania e Giappone, porta lo stato ad accelerare la costruzione di un'industria nazionale attraverso commesse pubbliche per infrastrutture e spese militari. L'intreccio fra imprese e domanda pubblica diviene parossistico durante la Prima guerra mondiale, e non regge alla successiva grande crisi.
In quella crisi, nei primi anni Trenta, in Italia vengono definiti due perni regolatori che divennero i veri elementi di stabilità del sistema: l'impresa pubblica e la proprietà pubblica delle banche. Alla fine della Seconda guerra mondiale, si discusse, in sede costituente, se eliminare questi due retaggi del fascismo, ma fu proprio la grande industria a chiederne con vigore in mantenimento, a sostegno di un settore privato che doveva affrontare la concorrenza internazionale: se la Fiat doveva concentrarsi sulle automobili, qualcuno doveva preoccuparsi dell'acciaio, delle autostrade e dei servizi modernizzanti per il paese. Su questo connubio si costruì il miracolo economico.
L'Italia del miracolo economico trae il massimo vantaggio dal Mercato Comune: crescono nuove imprese, come i produttori di elettrodomestici, venuti dal nulla, mentre l'aristocrazia dell'industria italiana, legata all'auto, alla chimica, alla meccanica di precisione, continua a rimanere legata strettamente a poche, vecchie famiglie.
La successiva crisi degli anni Settanta mette in evidenza quanto breve sia stato quel miracolo. Il rilancio europeo, la globalizzazione, la nuova situazione internazionale portarono alla necessità di cambiare, privatizzando impresa pubblica e proprietà delle banche, nella speranza di creare un paese in cui si potessero trovare un alto numero di grandi gruppi capaci di competere in Europa nei nuovi settori, nella ricerca, nella tencologia e nella finanza; si è invece generato un meccanismo che ha rafforzato la proprietà familiare delle grandi imprese; si sta ritentando di sottoporre il sistema bancario, e le casse in particolare, al controllo pubblico; si rimane specializzati in settori a basso contenuto di ricerca; mentre cala la competitività complessiva di un Paese che continua a presentarsi come inseguitore, quando dovrebbe essere invece, ormai, leader.
Patrizio Bianchi è stato uno dei fondatori, ed è attualmente preside della Facoltà di economia dell'Università di Ferrara.
Patrizio Bianchi - La rincorsa frenata. L'industria italiana dall'unità nazionale all'unificazione europea - Bologna, Il Mulino, 2002.
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Pubblicato in
Num. 16