Suore piuttosto atipiche queste Orsoline, fondate come compagnia laica all'inizio del sedicesimo secolo da Angela Merici e accettate e riconosciute a Ferrara nel 1584 dal vescovo Paolo Leoni. Suore atipiche, soprattutto per quel periodo di controriforma perché ponevano, anche nella nostra città, un'alternativa a quella che allora per le donne "oneste" era una scelta obbligata: matrimonio o convento di clausura.
Una presenza nuova la loro, nella città, ma anche quindi una diversa presenza e significato della donna nella città e per la città. Un vivere il loro, a cui chiamarono altre compagne, che le vedeva in ruolo attivo nella custodia del proprio corpo e del proprio onore, partecipi del rinnovamento della Chiesa e della diffusione della dottrina cristiana, ma sulla base di un voto privato e mantenendo un inserimento, seppur vigile e misurato, nella società cittadina e del suo territorio.
Ancora, altro carattere innovativo, fu quello che le vedeva e le vedrà impegnate nell'elevazione non solo religiosa, ma anche intellettuale e poi culturale della donna. Una vera conquista di spazi la loro, e non solo fisici, della città. Gli ultimi spazi, quelli concreti del collegio di via Cosmè Tura li avevano occupati nel 1800, sostituendosi ai frati di Santa Maria dei Servi. Questi frati avevano già allora forzatamente abbandonato quel loro convento a seguito delle soppressioni napoleoniche del 1797, mettendo così anche fine allo sviluppo di quella fabbrica che, iniziata nel 1635, aveva visto inglobare casette circostanti e occupare spazi verdi.
Una sorte che quei religiosi avevano già vissuto prima di trasferirsi in via Cosmè Tura, allora via Colombara, quando, all'inizio del Seicento, erano stati obbligati ad abbandonare il loro primo convento, situato nel rione di Castel Tedaldo, per permettere una ben più importante e traumatica trasformazione della città: l'emergere della Fortezza Pontificia. Ma anche le Orsoline venivano da altra sede, quella che si erano date nel 1647, in via Alberto Lollio, allora via Spazzarusco, per vivere e operare insieme e che poi avevano appunto lasciato, perché non più funzionale, nel 1800.
Anche di quella parte della città, a partire da quel 1647, i ferraresi avevano dovuto prendere atto di un mutamento singolarmente operato da donne e per lo più religiose: ancora la trasformazione di un gruppo di casette in un "convento". In un "convento" che non si sapeva più se chiamare come tale, visto che le donne che lo abitavano o lo frequentavano non erano più rinserrate, come sino allora era stato, dai chiavistelli della clausura.
Il luogo, poi, su cui era posto quel primo convento delle Orsoline a due passi da simboli del potere maschile, il Castello Estense e il Palazzo Arcivescovile, sembrava mettere, e in realtà metteva in discussione, l'assetto della città, interiorizzato da secoli dai suoi abitanti, e far presagire non solo sue diverse configurazioni, ma anche diversi significati.
Infatti, si prendeva atto che l'idea che sino allora si aveva avuto di un convento non corrispondeva a questa nuova realtà, creata da religiose impegnate anche nel sociale, e forse, anche a temere, che altre istituzioni potessero modificare la loro funzione e perciò il significato stesso degli edifici cittadini che le ospitavano. La nuova sede delle Orsoline di via Cosmè Tura ne era un esempio lampante.
Il grande edificio non soltanto allora ospitava chi mediava il rapporto della società con Dio, ma svolgeva, con l'opera innovativa di quelle religiose, una decisa funzione di rinnovamento della realtà cittadina. Le religiose, infatti, anche nei rapidi e a volte traumatici eventi di questi ultimi due secoli, interpretavano i segni dei tempi e operavano di conseguenza, diventando lievito per la città.
Oggi, Ferrara ha mutato, come altre, assetti, designazioni, abitanti e continuamente li muta. Anche il collegio delle Orsoline, abbandonato dalle suore, e ora in procinto di essere trasformato in residence, sarebbe costretto a divenire presenza muta e indecifrabile, se queste nostre ricercatrici non riattivassero quella "lettura e cucito", primi strumenti messi in atto da quelle suore per il riscatto della condizione delle donne e più in generale della società.
"Lettura e cucito" intesi ora nel significato di ripristino della memoria e del dialogo della città con i suoi abitanti, soprattutto per le giovani generazioni che richiedono cultura e rapporti sociali da inverare realmente.