Fu così che conobbi Luciano Chailly, tuttavia fu soltanto un anno dopo che, grazie a quel premio ricevuto dalle sue mani, ebbi l'occasione di approfondire quell'incontro lavorando al suo fianco nella giuria dello stesso concorso di composizione a cui avevo partecipato l'anno precedente.
Fummo i primi ad arrivare in albergo e il Maestro vinse la mia timidezza ricordando il giorno della premiazione.
Nacque così un cordiale rapporto durante il quale Luciano Chailly mi accennò qualche volta al suo passato, ma sempre con quella discrezione e quella riservatezza che, nonostante mi avesse proposto di darci del "tu" e il dialogo amichevole facesse pensare a una vecchia amicizia, non consentiva mai di intraprendere una conversazione troppo confidenziale o di entrare veramente nella sua vita privata.
Una volta mi chiese se avessi mai conosciuto il violinista ferrarese Pakner Pareschi. Gli dissi che avevo avuto occasione di suonare con lui, in passato (avevo appena compiuto i sedici anni), in una circostanza curiosa e insolita: per tutta una sera lo avevo accompagnato al pianoforte senza sapere chi fosse, suonando a orecchio o a prima vista, e senza aver mai provato il repertorio di vecchie canzoni di cui lui aveva procurato vetusti spartiti. Colmammo così l'assenza di un'orchestrina nel cortile interno di una vecchia osteria ("la piola IN fondo a Porta Mare"come allora veniva chiamata; ora è stata sostituita da un ristorante) e solo alla fine ci presentammo.
Il violinista mi chiese di suonare con lui in altre occasioni, matrimoni compresi. Chailly mi disse che Pakner era stato uno straordinario musicista, che aveva suonato in diverse orchestre e che, quando erano compagni di studi al Liceo Musicale "Frescobaldi" di Ferrara, Pareschi era invidiato da tutti per uno strabiliante orecchio assoluto. Quel ricordo sembrò quasi rattristarlo. Mi spiegò che molti validi musicisti che aveva conosciuto non avevano, poi, nella vita, conseguito il meritato successo e che gli sarebbe piaciuto rincontrarne qualcuno.
Luciano Chailly era nato a Ferrara: "venni alla luce alle ore 15 e 5 minuti del 19 gennaio 1920, a Ferrara IN via dei Lucchesi al n.10" scrisse lo stesso Maestro nell'autobiografia, Le variazioni della fortuna, pubblicata da Camunia nel 1989. Studiò violino al liceo musicale "G. Frescobaldi" con Antonio Boscoli, ottimo violinista che insegnò parecchi anni presso l'Istituto musicale ferrarese. Seguirono gli studi di composizione, prima a Ferrara con Carlo Righini, poi al Conservatorio di Milano, dove si diplomò giovanissimo con Renzo Bossi.
Al Maestro piaceva ricordare, non senza una punta di compiacimento e di orgoglio, gli anni di perfezionamento al Mozarteum di Salisburgo con Paul Hindemith. Talvolta mi diceva di quanto fossero stati importanti i consigli che Hindemith elargiva ai suoi allievi - di cui Luciano Chailly, in quel periodo, rappresentava l'eccellenza -, e di come avesse ereditato dal grande compositore la scrittura puntigliosa, attenta a ogni dettagio più minuto, l'importanza della differenza di una sia pur sottile scelta dinamica.
Poi vennero i successi e gli incarichi artistici e istituzionali importanti; fu una vita intensa e interamente dedita alla musica: consulente, poi direttore, di programmi musicali della RAI Radio Televisione Italiana dal 1951 al 1968, prima a Milano - città da cui Chailly ricevette moltissimo ma che contraccambiò in larga misura anche con un particolare affetto dopo Ferrara -, poi a Roma presso la Direzione Generale della RAI; direttore artistico del Teatro alla Scala dal 1968 al 1971; nel 1972 consulente del Regio di Torino; direttore artistico dal 1973 al 1975 dell'Angelicum di Milano e, nel biennio 1975-1976, dell'Arena di Verona; docente di composizione prima al Conservatorio di Perugia poi al Conservatorio di Milano. Innumerevoli i riconoscimenti artistici (tra questi una medaglia d'oro del Presidente della Repubblica, ricevuta nel 1984).
Fu certamente una scelta, quella di fare il musicista, che lo condusse a esprimersi in molteplici settori musicali, dalla composizione alla direzione artistica, dalla critica militante alla didattica, dalla saggistica alla musicologia; sì, perché Chailly era anche un abile scrittore, dalla penna facile e arguta.
Se a Ferrara si era diplomato in violino, a Bologna si era laureato in lettere con una tesi sui Trovatori. Molti aspetti dello scibile musicale, dunque, gli appartenevano con naturalezza; l'onestà intellettuale e morale e la dedizione al proprio lavoro lo fecero amare e rispettare come uomo e come musicista dai più grandi personaggi della musica e della cultura del suo tempo.
Anche il ricordo che il Maestro conservava della sua città natale e che lo legava profondamente alle sue origini, era intriso di quella semplicità e lealtà che può appartenere solo a chi del proprio talento e della sua professione ha fatto una vocazione, con passione, ma senza mai tradire le radici di appartenenza, consapevole che la terra in cui nacque, tra i fumi della nebbia autunnale, il gelo del lungo inverno e l'afa delle calde estati, lo aveva forgiato, plasmato, infondendogli carattere e talento necessari per emergere.
E Chailly, di talento e vena creativa ne aveva da vendere. Questa creatività si espresse in mille rivoli che diventarono fiumi, soprattutto nella musica lirica. Già tra i 15 e i 19 anni, Chailly aveva composto quattro opere che, considerate lavori giovanili con carattere quasi di studio, non furono mai pubblicate, ma che rappresentarono un buon auspicio per il futuro teatrale del Maestro. La prima opera lirica importante fu Ferrovia sopraelevata, un atto e sei quadri di Dino Buzzati, scrittore che Chailly incontrò a Milano nel 1954 e con il quale avrebbe coltivato una lunga e profonda amicizia. Delle 13 opere che Chailly compose - ispirato da testi di celebri autori che furono, oltre a Buzzati, Pirandello, Dostoevskij e Cechov -, l'ultima fu La cantatrice calva il cui libretto fu tratto da Jonesco.
Senza voler compiere una analisi della produzione musicale di Luciano Chailly, è bene ricordare quella che è stata definita "la costante più significativa nella personalità del compositore": la poetica dell'irrealtà.
L'astrazione onirica di molti lavori teatrali confluisce in Sogno (ma forse no), opera in un atto che il compositore aveva dedicato alla moglie Anna Maria, che, come scrisse lo stesso Chailly in "Taccuino segreto di un musicista": "[...] segnò un momento importante della mia evoluzione, e precisamente l'inizio - se non è troppo presuntuosa la definizione - di una terza maniera.
La prima era stata quella neoclassica, posthindemithiana. La seconda era stata di marca dodecafonica. Questa terza, da un punto di vista espressivo, era di "allucinazione sonora" e da un punto di vista tecnico di stemperamento del serialismo su strutture, se non sempre deformate, deformalizzate."
Queste poche righe sintetizzano perfettamente il percorso compositivo di Chailly; un percorso coerente e non certo agevole, durante il quale il Maestro non condivise mai gli eccessi avanguardistici di molti compositori contemporanei ma affrontò la ricerca di nuovi mezzi espressivi con consapevolezza, con compostezza e quel rigore che gli appartenevano naturalmente. La sua produzione, soprattutto quella più matura degli ultimi lavori teatrali e cameristici, manifesta una coscienza critica che è frutto anche dell'eredità culturale di Chailly, di un humus che aveva origine negli studi umanistici.
Si è parlato spesso della facilità di scrittura del Maestro. Egli stesso scrisse: "Quando compongo musica sono molto veloce. Medito a lungo prima di iniziare il lavoro ma poi mi ci butto dentro a capofitto, fino a sfibrarmi, a non dormire di notte, nell'ossessionante timore che il fantasma si dilegui, che il filo dell'opra si spezzi."
La chiave di lettura credo consista in quel "meditare a lungo prima di iniziare", ovvero nella maturazione interiore dell'opera prima che la si estrinsechi sulla carta pentagrammata e la musica conquisti lo spazio sonoro. La facilità di scrittura è un dono che non tutti i compositori possiedono e naturalmente non significa che ciò che si scrive sia facile o superficiale. La scrittura musicale di Chailly, infatti, non è né semplice né banale.
Ancor più sostanziale è il pensiero musicale ch'egli va esprimendo attraverso un linguaggio e una tecnica compositiva che richiede agli esecutori notevoli doti tecniche e interpretative, ma che straordinariamente riesce a trasformarsi per il pubblico in messaggio intellegibile, momento evocativo e chiara struttura architettonica. Il contrappunto raffinato ed elegante - merito anche dell'esperienza e della vicinanza spirituale, nei suoi anni di formazione artistica più evoluta, di un musicista come Hindemith -, lo studio e l'impiego della tecnica dodecafonica e della atonalità (o non-tonalità, come preferiva chiamarla Schönberg) applicati a un principio di comunicabilità a cui Chailly rimase sempre fedele, gli consentirono di porsi in contatto con l'ascoltatore, di creare un momento di complicità.
La forma, la dinamica, l'agogica e ogni singolo suono nell'opera di Chailly sono misurati, ponderati e quindi insostituibili. Senza mai perdere di vista la realtà, animato da un impegno etico e sorretto dalla forza di una lucida ragione, cercando costantemente di indagare le pieghe più riposte della storia, del mito come della realtà quotidiana, il compositore ferrarese cerca innanzi tutto di farsi comprendere, di aprire un dialogo con l'ascoltatore senza mai scendere a compromessi, soprattutto con se stesso.
Per questo e per tutte le altre ragioni sopra esposte, Luciano Chailly è il Musicus di Boezio, colui che "[...] si è dedicato al sapere musicale non con la schiavitù dell'azione, ma con la signoria della speculazione" (De institutione musica); il Magister artium dell'ars musica, ma nel contempo è il cantor dell'ars cantus. Insomma, in lui confluirono tutte le peculiarità di chi la musica la visse nelle sue più variegate sfaccettature, sul campo, senza mai tirarsi indietro. E lo fece con sensibilità, discrezione, signorilità, grande generosità - era sempre prodigo nell'offrire consigli e sostegno agli allievi e a tutti coloro i quali bussavano alla sua porta - da vero Maestro di vita, ancor prima di essere Maestro dell'arte musicale.
Chailly non ci ha lasciati: vivrà nel nostro ricordo ogni volta che udremo la sua musica, studieremo le sue partiture, leggeremo i suoi scritti. Così voglio ricordarlo. Ci scrivevamo abbastanza spesso, qualche lunga telefonata, ma non ci frequentavamo quanto avrei desiderato. L'ho conosciuto forse meno di altri e tuttavia di una cosa son certo: Chailly, da vero musicista, non sopportava "l'imbecillità e il dilettantismo musicale". Forse anche per questo tra noi c'è stata un'amichevole intesa. Grazie, Luciano.