Nell'Antico Testamento, "Il Libro di Ester" racconta che dopo aver ripudiato la moglie Vasti, durante un fastoso banchetto, il re Assuero sceglie Ester tra le più belle fanciulle presentategli, incoronandola regina. Ester è un'orfana allevata come figlia adottiva dallo zio Mardocheo. Influente dignitario di corte, Mardocheo si rifiuta di inginocchiarsi e di prostrarsi davanti al potente primo ministro Aman; questi, ritenendosi offeso da tale atteggiamento, promulga una legge secondo la quale tutti gli ebrei del regno devono essere uccisi. Mardocheo si rivolge quindi a Ester per sollecitarla a intervenire presso Assuero in favore del suo popolo.
La giovane regina, nonostante il decreto per il quale chiunque si fosse presentato spontaneamente davanti al re sarebbe stato punito con la morte, abbigliatasi in modo splendido, si reca nella sala delle udienze. Alla presenza di Assuero, incollerito per tanto ardimento, Ester sviene tra le braccia di un'ancella; il re si commuove e, salvandole la vita, si dispone ad ascoltarla.
A questo punto, Ester invita a un banchetto Assuero insieme ad Aman che, nel frattempo, ha fatto preparare una forca per giustiziare l'odiato Mardocheo. Ma, nel corso della notte insonne, durante la quale si fa leggere gli annali del regno, il re viene a sapere che Mardocheo deve essere ancora ricompensato per aver sventato una congiura di palazzo, e fatto chiamare Aman gli ordina di portare su un carro, con tutti gli onori, per le strade della città, il dignitario di corte.
Durante il banchetto Ester, rivelata al re la sua origine ebraica, gli chiede la salvezza per il suo popolo; e il sovrano, annullato l'ordine di persecuzione degli ebrei, fa impiccare Aman.
Il racconto di questa salvezza che vede Ester accomunata ad altre eroine della storia ebraica, come per esempio Giuditta e Susanna, sembra sia all'origine della festa giudaica di Purim, durante la quale per tradizione si leggeva "Il Libro di Ester".
Nelle quattro grandi tele della collezione della Cassa di Risparmio di Ferrara, dipinte a tempera e realizzate certamente per essere inserite negli stucchi delle pareti di un prestigioso salone di rappresentanza, l'iconografia narrativa dei diversi episodi è del tutto originale rispetto alla conosciuta tradizione pittorica veneta, o emiliana o romana.
Le magniloquenti scene ferraresi raffiguranti Il carro trionfale di Assuero ed Ester incoronata regina, La toeletta di Ester, Lo svenimento di Ester, Assuero ordina ad Aman il trionfo di Mardocheo, sono ambientate tutte in un vasto paesaggio dolcemente degradante su sfondi di paese rusticano e bucolico insieme.
I diversi elementi vegetali, dai tronchi d'albero, dai fiori e dai frutti ordinatamente composti, al fogliame sapientemente modulato, sono disposti a inquadrare gli episodi della storia per metterne in risalto i protagonisti come su un palcoscenico. E un preciso riferimento teatrale, a mo' di quinta o di sipario aperto, ha pure l'elegante decorazione chiaroscurata a monocromo (quasi un finto stucco) che corre tutto intorno alle cornici dall'andamento spezzato, seguendo le caratteristiche di un repertorio decorativo largamente riproposto nella cosiddetta "grande decorazione" parietale settecentesca, sia profana che religiosa.
L'attuale restauro, che ha brillantemente recuperato la bellezza ornamentale di queste tempere di un tonalismo cromatico quasi da arazzo, ha riportato in luce il monogramma GF con cui l'autore ha siglato tutte e quattro le tele; ed è proprio la firma del pittore a fare di questi dipinti un'opera di preziosa e significativa rarità nel contesto più generale della pittura ferrarese del XVIII secolo, dal momento che, finora, null'altro è stato ritrovato di confrontabile, non solo all'interno dell'attività dell'artista stesso.
GF sta per Giuseppe Facchinetti, nato a Ferrara nel 1694, "Maestro di prospettiva e di Architettura nella pubblica Accademia dell'Università", al quale il Cittadella nel volume IV del Catalogo istorico de' pittori e scultori ferraresi (1782-83) dedica ben sedici pagine. Pagine dedicate alla vita e alle opere di colui che veniva considerato «il più eccellente tra i scolari di Antonio Felice Ferrari» e che aveva introdotto nell'affresco «un grandioso modo di ornare, un non più usato colorito con sì vaghe, e morbide tinte, che nel suo stesso grande resta leggiero, e vuoto»; il Facchinetti "tinteggiava con tanta delicatezza", aggiunge Cesare Cittadella, "cercando il vero rilievo, che le sue cose ingannano, ed in ciò ad imitazione del Ferrari suo Precettore. Si lasciò indietro gli altri suoi condiscepoli di gran lunga, e fu particolare per la sua maniera di granir le ombre per maggiormente staccar dal piano il dipinto, ripiegar le foglie, e le volute."
Giuseppe Facchinetti è quindi, prima di tutto, un "quadraturista", secondo il termine allora corrente per definire un artista che dipinge pareti, volte, soffitti con decorazioni caratterizzate da prospettive architettoniche illusionistiche quasi sempre a monocromo, quasi sempre intorno a immagini 'di storia', realizzate da pittori più considerati e celebrati.
Le fonti ferraresi ricordano molti lavori del Facchinetti realizzati con "leggerezza" nella definizione delle ombre dei finti rilievi delle sue caratteristiche quadrature, «nelle Case e ne' Palazzi, e fin ne' sacri luoghi», a completamento e decorazione degli affreschi di Giacomo e Francesco Parolini, di Francesco Pellegrini, del bolognese Vittorio Maria Bigari e, soprattutto, di Giuseppe Antonio Ghedini. Purtroppo gran parte di queste decorazioni si sono perse, sono andate distrutte o appaiono, oggi, molto deteriorate.
Una delle prime opere del Facchinetti, descritte anche da Carlo Brisighella, sono gli ornati intorno alla serie dei santi francescani dipinti a mezza figura da Giacomo Parolini, nel convento di Santo Spirito, e le quadrature delle porte e delle sovrapporte, con figure allegoriche e vedute illusionistiche, che in parte si possono vedere nel corridoio grande sempre di Santo Spirito. Lavoro giovanile questo, in cui l'artista tuttavia mostra già una maturità di stile, nel maestoso dinamismo dell'ornato con grandi volute e riccioli accartocciati.
Ancora esistenti, ma molto danneggiate, sono le quadrature eseguite dal Facchinetti intorno al 1724 nella chiesa di Sant'Apollonia (oggi chiusa al culto), che incorniciano affreschi di Francesco Parolini e sono completate dagli stucchi di Pietro Turchi; uno scultore quest'ultimo spesso associato all'artista in imprese decorative chiesastiche, come ad esempio nella Chiesa di Santa Maria del Suffragio.
Negli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento si collocano le più numerose e le più importanti realizzazioni del Facchinetti, come le quadrature della volta dell'ex Oratorio dei Ss. Crispino e Crispiniano; le pitture eseguite insieme al Bigari nel palazzo di Renata di Francia; gli ornati architettonici della sala di lettura di Palazzo Paradiso; le "cornici" intorno agli affreschi (oggi in parte ridipinti) del Pellegrini e di Girolamo Gregori in alcune cappelle di San Domenico; ancora in collaborazione con il Pellegrini, la decorazione della cappella del SS. Sacramento nella chiesa di San Paolo; il raffinato ornato a monocromo di finestre e di porte in San Girolamo; e molti altri lavori descritti dalle fonti, oggi non più esistenti.
La più complessa e impegnativa impresa dipinta da Giuseppe Facchinetti, di grandioso effetto illusionistico, sono certamente le quadrature di quattro soffitti del palazzo di Renata di Francia (odierna sede dell'Università degli Studi). In questi affreschi, raffiguranti al centro soggetti mitologici, realizzati tra il 1758 e il 1766 in collaborazione con il bolognese Vittorio Maria Bigari per la parte figurativa, è ben visibile la personale tecnica ad affresco del Facchinetti, insieme alla sua straordinaria abilità di articolare tutti quegli elementi tipici della finzione quadraturistica, volti alla teatralità dell'inganno architettonico, come timpani spezzati, grosse urne in prospettiva, medaglioni, nicchie, ghirlande e cartigli, e le consuete volute accartocciate.
Il sodalizio più congeniale e dai risultati più spettacolari è stato quello tra il Facchinetti, ormai affermato quadraturista, e Giuseppe Antonio Ghedini, il miglior pittore della Ferrara settecentesca. Sodalizio iniziato fin dal 1740, quando i due si erano trovati in palazzo Bevilacqua (oggi Massari) ad affrescare un soffitto con la rappresentazione allegorica dell'Olimpo.
Il maggior intervento del Facchinetti, oggi riportato a nuovo splendore dal recente restauro, in evidente perfetta armonia con le qualità pittorico-narrative del Ghedini, è sulle pareti del seicentesco transetto della chiesa di Santa Maria in Vado; la vastità di questa decorazione, conclusa alla sommità da un venezianissimo doppio drappeggio rosso e verde sorretto da angeli, non trova nessun altro riscontro nella Ferrara del tempo, per ampiezza di quadratura e per importanza del tema esposto.
Qui sono splendidamente riconoscibili alcuni brani di pittura, come alcune fisionomie e alcuni finti elementi architettonici già visti in palazzo Bevilacqua; in particolare, le caratteristiche volute accartocciate, l'ampio fogliame allungato, le ghirlande fiorite, le anfore dorate con fresche, coloratissime composizioni di fiori, tipiche della dinamica finzione ancora baroccheggiante del Facchinetti. E proprio al soffitto dell'Olimpo e alle figure a monocromo del transetto di Santa Maria in Vado rimandano con precisione le dolcissime, giovanili fattezze di Ester e delle sue ancelle, l'elegante fluidità delle vesti morbidamente chiaroscurate, la graziosa levità degli atteggiamenti, la pacata solennità dell'inganno spaziale.
Inoltre, la plastica monumentalità e l'enfatica gestualità di Assuero e del soldato in primo piano nelle due tele del Trionfo, risentono fortemente della consumata collaborazione dell'artista con Giuseppe Antonio Ghedini, nel momento della realizzazione dei due grandiosi dipinti con Il mendico cacciato dal convito di nozze e Il sacrificio di Melchisedec, posti nella cappella oggi dedicata alla Beata Vergine del Calice, sempre in Santa Maria in Vado. Il Facchinetti, che partecipa all'invenzione narrativa del convito, per la parte di ambientazione architettonica, nelle storie di Ester si ricorda con attenta e devota condivisione artistica della convincente presenza narrativa dei personaggi ghediniani.